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I banchieri di Dio salvi dalla bufera grazie a oro e fondi

di Vanni Cornero

“La Stampa” del 27 settembre 2008

Ispirazione divina o buoni consulenti con in piedi per terra? Nella bufera delle Borse le finanze del

Vaticano e della Chiesa Anglicana se la sarebbero cavata piuttosto bene: a Roma con una

provvidenziale inversione di rotta, che già nel 2007 aveva trasformato gli investimenti della Santa

Sede da titoli azionari in oro, obbligazioni e contanti. A Canterbury, invece, gli amministratori della

Chiesa d’Inghilterra avrebbero giocato pesante utilizzando lo «short selling», ossia vendite allo

scoperto con cui si punta a lucrare dal calo di un titolo. Le indiscrezioni vengono da due giornali

britannici: il «Tablet» per quanto riguarda le operazioni vaticane e il ben più noto «Financial

Times» per gli investimenti dei vescovi anglicani.

Il «Tablet», quotidiano cattolico, ha fatto esaminare agli analisti i dati dell’annuale rapporto sulla

gestione economica 2007 del Vaticano, reso pubblico nel luglio 2008. E dalla lettura degli esperti

emerge che la Santa Sede, sapientemente consigliata, aveva fiutato in anticipo i pericoli del mercato

e convertito i propri capitali in investimenti sicuri, tanto che ora possiede, tra l’altro, una tonnellata

d’oro (valore di mercato 19 milioni di euro). Oltre a ciò la Chiesa di Roma disporrebbe di 340

milioni di euro in valuta, di altri 520 milioni in obbligazioni e di un patrimonio immobiliare pari a

424 milioni di euro. Alla luce di questi dati, commenta l’esperto finanziario del «Tablet», la Santa

Sede «appare finanziariamente ben posizionata per raccogliere profitti, anche nell’attuale tempesta

finanziaria». Ma per monsignor Vincenzo Di Mauro, segretario della Prefettura vaticana degli Affari

Economici: «I risultati del primo periodo 2008 sono preoccupanti e non inducono all’ottimismo. Per

questo si rende sempre più necessario il richiamo alle amministrazioni della Santa Sede ad operare

con prudenza e massima oculatezza».

Per la Chiesa di Londra, invece il discorso è anche di principio: nei giorni scorsi da Canterbury

erano arrivate dure reprimende agli hedge fund che utilizzavano lo «short selling», soprattutto nelle

fasi più acute degli ultimi crolli delle Borse. Anche questo, probabilmente, ha contribuito al fatto

che negli Usa e in Gran Bretagna il lucroso meccanismo sia stato perfino sottoposto a drastiche

messe al bando. Ma i gestori dei fondi, generalmente defilati in ogni polemica, questa volta hanno

deciso di non incassare tacendo:«Gli arcivescovi anglicani - dichiara al Financial times Hungh

Hendry, della Eclectica Asset Management - additano il “peccato” dello short selling, ma poi

partecipano ai nostri profitti» e squaderna sulle pagine del famoso giornale finanziario una serie di

dati sulle operazioni nel settore della Chiesa d’Inghilterra, che accusa di «ipocrisia».

La controreplica arriva da Anrew Brown, a capo della gestione patrimoniale di Canterbury: «Non si

è mai fatto ricorso allo short selling e mai avverrà», garantisce. Intanto una fonte vicina

all’arcivescovo Williams, capo della Chiesa anglicana, aggiunge: «Nessuna ipocrisia, sono stati

semplicemente effettuati investimenti su vari settori con quella che è la classica pratica di

diversificare il portafoglio».