Tutti i diavoli della Bibbia
Giuseppe
Barbaglio
chi è Giuseppe BARBAGLIO
il manifesto, 25 settembre 1986
Questa
estate, durante le udienze del mercoledì, il papa si è soffermato a lungo
sulla credenza cattolica negli angeli e nel diavolo. Ne è nata,
sorprendentemente, una vivace discussione sui giornali, limitata però al motivo
demoniaco, con interventi di «laici» e di credenti: si sono ascoltate voci di
consenso e prese di posizione di dissenso (anche di matrice cattolica); chi si
è spinto a deridere il punto di vista del papa e chi ha creduto di vedervi un
dogma cattolico al pari di altri e quindi un patrimonio della chiesa, degno
comunque di rispetto se non di accettazione. Non sono mancate neppure
disquisizioni sottili a quale dei due fronti opposti spettasse l'onus probandi.
In
realtà, il papa si era costantemente appellato alla Bibbia, fonte religiosa
quanto mai autorevole agli occhi dei credenti, siano essi cristiani o ebrei. A
questo punto si potrebbe essere tentati di concludere che, per i credenti, è già
stata detta l'ultima parola e che la credenza negli angeli e nel diavolo appare
un dato inattaccabile. Eppure sembra necessario porre l'interrogativo: la
credenza suddetta fa parte integrante del messaggio religioso della Bibbia,
oppure è da annoverare tra i detriti di natura culturale che un'interpretazione
rigorosamente storica dei testi sacri si lascia dietro senza rimpianti? Certo, a
una lettura cosiddetta fondamentalista della Bibbia, creduto libro calato
direttamente dal cielo sulla terra, questo punto di domanda apparirà
addirittura blasfemo. Ma così, volenti o nolenti, saremmo risospinti al tempo
delle discussioni sul famoso «Fermati, o sole!» di Giosué e della condanna
ecclesiastica di Galileo.
Oggi
anche per i cattolici la lettura storica dei testi biblici rappresenta
un'acquisizione di pacifico possesso. Solo che la stessa cosa non si può dire
dei risultati concreti del metodo astrattamente accettato. Ebbene, sembra di
poter sostenere, con cognizione di causa, che quanto
In
concreto, se si crede in un Dio trascendente, appare logico che uomini di
cultura monarchicoorientale se lo rappresentino nelle vesti di un potente
sovrano seduto in trono e circondato da una variopinta corte di angeli che lo
esaltano e lo servono (cf. Isaia 6,1ss). Se si è particolarmente sensibili alla
trascendenza e spiritualità di Dio, con ogni cura si eviterà di metterlo a
immediato contatto con il mondo e gli uomini, introducendovi quali mediatori gli
angeli. Questi, intatti, sono per definizione messaggeri di annunci divini. Al
contrario, la corrente cosiddetta javistica, per esempio, non tradisce alcuno
scrupolo nell'umanizzare Dio e quindi non ha bisogno di ricorrere agli angeli
per confessare ed esprimere la sua fede in Dio che si comunica agli uomini.
Soprattutto, è fuori dubbio che le Sacre Scritture ebraiche conoscono, come
mediatori paradigmatici tra Dio e il suo popolo, Mosé e i profeti, dunque degli
uomini.
Procedendo
sempre per esemplificazioni, se nei vangeli di Marco, Matteo e Luca è un angelo
che annuncia alle donne stupefatte di fronte al sepolcro vuoto di Gesù: «Il
crocifisso è risorto!»; da parte sua, Paolo, teologo avvertito e raffinato,
afferma con forza di aver ricevuto l'annuncio della risurrezione di Gesù per
diretta rivelazione divina, mentre arriva all'umanità attraverso la parola
degli apostoli. In ogni modo le Scritture cristiane stanno uniformemente ad
attestare che Gesù di Nazaret è l'unico mediatore tra Dio e l'uomo (cf. prima
lettera a Timoteo 2,5) e il messaggero, dunque l'«angelo», della parola
definitiva del Padre al mondo (cf. il vangelo di Giovanni). Per questo forse non
è casuale che nelle tradizioni evangeliche più antiche, delle quali non fanno
parte i racconti del natale e dell'epifania di Gesù, sia assente qualsiasi «svolazzo»
angelico.
Quanto
al diavolo o a Satana, le stesse testimonianze bibliche mostrano uno sviluppo
culturale di approccio al problema, assai avvertito, della sollecitazione al
male. Nel libro della Genesi il linguaggio appare di timbro decisamente
mitologico: è il serpente, «il più astuto animale della campagna», che
induce i progenitori alla ribellione contro Dio (cf. cap. 3). Molti secoli dopo,
secondo il libro della Sapienza, scritto originariamente in greco e nato
nell'illuminata diaspora ebraica di Alessandria d'Egitto, il peccato originale
di Adamo ed Eva fu consumato «per invidia del diavolo» (cf. 2,24). Scrivendo
ai cristiani dl Roma, Paolo di Tarso spiegherà la tragedia originaria
dell'umanità facendo appello a un meccanismo perverso interno all'uomo, a una
specie di Superio schiavizzante la persona, da lui chiamato teologicamente «il
Peccato» (cf. 5,12ss). In sintesi, tre modi diversi per spiegare la medesima
realtà: un male oscuro è presente nell'esistenza e nella storia umana fin
dalle origini.
Il
prologo del libro di Giobbe mette in campo, come tentatore del pio protagonista
di questo dramma religioso, un essere celeste appartenente alla corte di Dio,
appunto Satana, vale a dire il tentatore. Più tardi, ormai pienamente «demonizzato»,
Satana ha fatto la sua apparizione nella vita di Gesù: così i racconti
evangelici delle sue tentazioni. Ma il vangelo di Matteo ci ha conservato la
seguente invettiva del Maestro a Pietro: «Vattene via da me, Satana!» (16,23).
E' stato dunque l'apostolo a rivestire storicamente il ruolo del grande
tentatore di Cristo. E la lettera di Giacomo chiarisce, in linea di principio,
da dove viene l'istigazione al male: dall'interno dell'uomo, esattamente dalla
sua cupidigia (cf.1,14).
Perciò
non sembra un azzardo ipotizzare che il diavolo o Satana sia una proiezione
all'esterno di un dinamismo interno che spinge la persona al male. In ogni modo,
al di là delle differenze culturali che li separano, i testi biblici concordano
nel respingere ogni banalizzazione delle forze del male presenti e operanti
nell'esistenza umana e nella storia. Esse hanno appunto un volto «demoniaco»,terribile;
sono l'adeguato contraltare alla potenza della grazia liberatrice, che ogni
pagina biblica proclama quale vangelo, lieto annuncio.