“E
chi è il mio prossimo?” Lc. 10,29
Introduzione al vangelo di Luca: una lettura che
interroga gli uomini e le donne delle nostre società opulente.
Sbobinatura,
non rivista dall’autore, dell’incontro con don Franco Barbero sul vangelo di
Luca, il tema degli incontri biblici su cui sta riflettendo la cdb di Chieri.
Questa sera parleremo dell’opera lucana: vangelo e Atti. Questa è una prima particolarità, infatti né Marco, né Giovanni, né Matteo hanno una seconda opera. L’altra è che nell’uno e nell’altro dei due libri viene in campo l’Io dell’autore, per cui c’è una premessa, un prologo. L’avete presente nel vangelo di Luca?: “poiché molti hanno intrapreso ad esporre con ordine un racconto degli avvenimenti che si sono compiuti tra noi come ce li hanno tramandati coloro che fin da principio furono testimoni oculari e servitori della parola, è parso bene anche a me…di scriverne per te un resoconto ordinato…”. Simile è l’introduzione che egli premette al libro degli Atti con la dedica al caro Teofilo nel primo versetto. Nel vangelo di Luca noi non abbiamo con esattezza il nome dell’autore, abbiamo un Io, ma il vangelo resta anonimo, vedremo perché. Il vangelo secondo Luca lo riceviamo dalla tradizione, a partire dall’inizio del III secolo. Ma dobbiamo dire che, per tutti e 4 gli autori dei vangeli, com’era nello stile di allora, ciò che premeva era l’opera, non tanto la firma, e le ricerche rigorose compiute per sceverare chi erano gli autori sono state sostanzialmente improduttive.
Devo dire
che sono usciti recentemente dei libri molto interessanti: gli 11 volumi che
Noi ci troviamo quindi di fronte ad un’opera in due atti: i due libri. La ripresa di Atti 1, con la dedica, si rifà allo stile del vangelo. E’ chiaro quindi che abbiamo di fronte a noi un autore che ha composto con un progetto molto chiaro, una continuità che è espressa bene dai due prologhi, dove dice la sua intenzione di costruire un percorso. C’è un elemento che è estremamente interessante: nei manoscritti, sia papiracei che pergamenacei, noi non abbiamo mai il vangelo con gli Atti, perchè? La cosa sembra evidente. Quando venne in mente di cominciare la raccolta degli scritti, per le lettere di Paolo c’era la tradizione paolina. Gli evangeli bisognava invece staccarli da tutto il resto per dare loro particolare rilievo; ed allora, in capo a tutta la raccolta delle scritture, che cosa si mise nei codici di raccolta? Si misero i vangeli, per dire che questo era il principio, il monumento più alto, a livello letterario e anche a livello di annuncio.
La storia delle raccolte dei testi è in qualche modo oscura, ma anche ragionevole e affascinante. Paolo muore attorno agli anni 60 e noi abbiamo un momento in cui, morto lo scrittore, le comunità che ebbero la ventura di lavorare con lui cominciarono a pensare alla possibilità di non lasciare deperire quel materiale che, valutato come prezioso, non poteva essere affidato solo alla memoria. I due fulcri dell’azione di Paolo, Efeso e Corinto, furono luoghi di raccolta. Molte delle lettere di Paolo possiamo pensare che andarono perse. Altre invece furono raccolte e tuttora sono le lettere autentiche di Paolo: sei. L’iniziale corpus paolino ne comprendeva 14; la prima ad essere depennata è stata “La lettera agli ebrei” perché si capì che il greco era tutto un altro, quindi non poteva essere la stessa penna, la stessa mano. E poi si capì molto presto, nella discussione che finì solo nel 1966, che c’era una parte del cosiddetto “corpus paolino” che era da addebitarsi a qualcuno della scuola di Paolo, della tradizione di Paolo.
Abbiamo una prima data importante: il 144. Marcione, che è a Roma ed è visto come uno che vuole disfarsi dell’ebraismo, vuole selezionare le scritture. Egli parla delle Scritture soltanto enumerando il vangelo di Luca, a partire dal 3° capitolo, e dieci lettere di Paolo. Ed è allora che, per resistere a Marcione che “tagliava” le scritture, noi abbiamo l’inizio della raccolta. Le lettere di Paolo lentamente vengono raccolte e la più difficile di tutte, la seconda lettera ai Corinti, è probabilmente il risultato di tanti frammenti di lettere uniti insieme. Altre probabilmente andarono smarrite, altre forse furono “rattoppate” raccogliendo quello che si riuscì a raccogliere. Questo, per essere onesti con i riferimenti della ricerca, ci fa dire che sull’interpretazione dei versetti dobbiamo essere molto umili, per non vendere per certo ciò che è probabile. Nel 180, dagli scritti di Ireneo, noi sappiamo che c’è la collezione delle lettere di Paolo.
Nel 1740 Antonio Muratori, questo grande studioso italiano, pubblica il cosiddetto “canone muratoriano”, da lui scoperto nella Biblioteca Ambrosiana: una copia della più vecchia lista dei libri del Nuovo Testamento. Si tratta di un manoscritto del VII secolo con la traduzione dal greco di un originale, datato circa 170 d. C., in cui sono presenti i 4 vangeli. Si sono poi trovati centinaia di manoscritti e di pergamene successivamente catalogati. I codici più antichi con tutte le Scritture Cristiane sono il Sinaitico e il Vaticano, e noi li abbiamo in onciale e in minuscolo. Onciale è la scrittura grande, maiuscola, che fu sostanzialmente in vigore fino al IX secolo, non dappertutto. Invece la scrittura minuscola è quella che è “minus”, la più piccola, che poi è entrata in vigore e si è diffusa a partire dal IX secolo. Evidentemente gli onciali non conoscevano né la punteggiatura, né l’uso che abbiamo noi del punto interrogativo, quindi potete capire quanto lavoro la cosiddetta “critica testuale” dovette fare. Ha lavorato molto in questo, da giovane, uno studioso che si chiama Carlo Maria Martini. Era un tecnico, non era tanto un interprete, ma era un grande tecnico del testo greco e difatti una delle edizioni che lui curò si chiama “Aland Martini” ed è una edizione critica del testo greco. Tutta la tradizione ha riconosciuto l”autenticità di questi studi, di questi reperti.
Noi
riceviamo il vangelo di Luca e il libro degli Atti in due versioni greche
lievemente diverse. Quali? Il Codice Alessandrino, il più riconosciuto, quello
che abbiamo nelle nostre traduzioni, e il codice Occidentale che è di un 10% più
lungo, con delle aggiunte, dei rimaneggiamenti, dei successivi interventi
letterari. Se voi prendete un qualunque testo greco vedrete che, oltre al testo
concordato nel 1966, noi abbiamo le cosiddette “note”. Cosa vogliono dire
queste note? Siccome abbiamo trovato decine e decine di manoscritti e di
pergamene, e se ne trovano ancora, gli studiosi e le studiose li hanno siglati
con il P o con il B, e hanno deciso dove si trova un tale codice, nella tale
biblioteca e come viene siglato. Voi troverete, per esempio, che il capitolo
primo di Marco, al versetto
Il vangelo di Luca è un monumento letterario di grandissimo valore. E’ il più bel greco che ci sia nella Bibbia, insieme alla “Lettera agli ebrei”. E’ un capolavoro di arte letteraria ellenistica di altissima qualità, di una grande capacità narrativa. Si noti che le due opere costituiscono un blocco di 37778 parole, molto più lungo del blocco paolino che è di 32333 parole. Luca ha un modello ed è il romanzo ellenistico. Il nostro autore vi fa un riferimento che è molto visibile leggendo altri capolavori del tempo che sono le vite dei filosofi. Daniel Marguerat nel suo libro “Introduzione al Nuovo Testamento” dice che: “L’autore si è sforzato di dotare il suo racconto di un quadro biografico che va dalla nascita dell’eroe alla separazione dai suoi; è così che nell’antichità si presentavano le vite dei filosofi.” E’ una storia? Certo che è una storia, ma più che informare vuole coinvolgere, più che trasmettere una cronaca, vuole invitare ad un percorso. E’ chiaro che l’eroe viene celebrato secondo i criteri della celebrazione; c’è tutta un’enfatizzazione, c’è tutto un modo letterario che è estremamente prezioso. Vedrete subito che il vocabolario è esteso e c’è un’attenzione anche letteraria molto, molto organizzata. Per esempio: quando si tratta di Gerusalemme, in linguaggio religioso, per indicare il centro della fede ebraica si parla di Jerusalem, che è in ebraico indeclinabile. Quando si parla invece della missione che parte da Gerusalemme per il mondo, si usa il greco Jerusalema che è anche l’accusativo in “a” finale.
Venendo al testo: noi lo troviamo già nel canone Muratoriano; abbiamo questo testo greco all’inizio del III secolo, ce
l’abbiamo
tutto. Nel IV e V secolo si scoprono altri testi che combaciano sostanzialmente,
con delle varianti. C’è un costrutto facilmente individuabile nel vangelo di
Luca: dopo il prologo ci sono tre grandi blocchi. Fino al capitolo 9 noi abbiamo
due sezioni molto diverse: cap. 1 e 2, i vangeli dell’infanzia, che ci sono
solo in Luca e in Matteo. Totalmente diversi però: Matteo incentrato sulla
figura di Giuseppe, Luca su quella di Maria. Due capitoli che probabilmente sono
stati aggiunti tardivamente: Marco e Giovanni non ne parlano, però, nella vita
dell’eroe, bisognava pure creare, descrivere un’infanzia. Dopo questi due
primi racconti midrashici, leggendari, però celebrativi della figura di Gesù,
dal capitolo 3 al 9,50 ci sono gli atti di Gesù in Galilea. Il ministero
pubblico di Gesù, come viene ufficialmente chiamato: Gesù che agisce, Gesù
che parla, che opera. Sono dei capitoli intensi: Gesù che incontra, che
annuncia il suo messaggio; qui abbiamo le parti del discorso della montagna.
Parole ed opere si intrecciano, mentre lui cammina per le strade della
Palestina. La seconda parte che va da
La terza parte, dal 19,29 fino alla fine, è la parte più lunga, a Gerusalemme, nella quale si dedica uno spazio considerevole alla passione, morte e resurrezione. Sono dei racconti straripanti di energia: pensate al racconto di Emmaus, tipicamente lucano. Sono dei racconti che restano proprio impressi. Luca in queste tre parti ha una sua organizzazione che continuerà nel libro degli Atti. Qui tutto rimane a Gerusalemme:“Ma voi mi renderete testimonianza fino ai confini della terra” e dove sono i confini della terra? Roma. Il libro degli Atti porterà Paolo progressivamente in questo grande viaggio.
Noi ci domandiamo: chi ha scritto queste due opere? Nella tradizione dalla documentazione della fine del II secolo-inizio del III secolo, acriticamente assunta, si dice che questo Luca fosse un discepolo di Paolo e che fosse un medico, perchè questa era l’attestazione di Papia e di un padre autorevole come Ireneo. Se non che, molto presto, quando iniziarono gli studi, queste due affermazioni vennero messe in aperta discussione, perché di medicina non si trova niente in Luca se non l’elenco, impreciso, di qualche malattia, ma nulla che possa far pensare ad un medico. Inoltre, come avrebbe potuto un compagno di viaggio di Paolo non sapere delle sue lettere, non citarne un pezzo, e ancora come avrebbe potuto non accorgersi che mentre Paolo dava una versione nelle sue lettere, lui ne dava un’altra nel libro degli Atti? Tutte queste domande hanno fatto crescere l’idea che aveva un senso definire Luca discepolo di Paolo solo nella logica di quella che si chiama la pseudo-epigrafia: per fare accettare uno scritto e conferirgli autorità, come soleva in tutta l’antichità, da Platone in giù e in su, si diceva: queste cose le ha scritte lui. In realtà era un metodo “affettivo”. Nell’antichità i discepoli di un grande maestro raccoglievano le sue opere e le firmavano come opere sue: era un modo per onorare il maestro e ascrivere alla sua storia la sua scuola, la sua tradizione, i pensieri successivi. Per fare un altro esempio si disse che il vangelo di Marco era stato scritto dal minutante di Pietro. Il metodo pseudo-epigrafico non era una menzogna, era un modo per dare autorevolezza, era una maniera di accreditare, per dire: non ce lo siamo inventati noi, non è una persona qualunque, è una persona, nel senso del messaggio, apostolicamente autorevole.
Oggi si sa con una certa precisione che il vangelo di Luca per il tema, il contesto, deve essere stato scritto intorno agli anni 85; ma chi sia questo autore è ancora un grande enigma, come per tutti i vangeli. Non era assolutamente importante per gli evangelisti porre una firma, ma trasmettere un messaggio. Quello che sembra molto evidente è che si tratta di una persona che non ha vissuto in Palestina, perché non conosce bene la geografia, e quando fa il viaggio verso Gerusalemme mette prima delle città che sono dopo. Ma certamente era a conoscenza delle tradizioni giudaiche del tempo. Era di cultura ellenistica, quindi era molto più attento al mondo in cui si parlava il greco, in cui c’era questa cultura. La sua sensibilità è nata nel contesto, cosiddetto pagano, di comunità miste a prevalenza di gente della cultura ellenistica. Anche per gli altri vangeli non abbiamo il nome e cognome: abbiamo il testo, autorevole, ma non abbiamo la firma. La tradizione ce li ha trasmessi “secondo Marco, secondo Matteo”, ecc.
Luca non ha inventato il genere
del vangelo perché, secondo i più rigorosi studi di oggi, ne esisteva già uno
precedentemente. Guardando più attentamente, dove ha preso questo materiale il
terzo evangelista? Luca avrebbe attinto a 4 fonti per il suo vangelo:
conteggiando i versetti, il 35% risulta di Marco, perché Marco è stata la
prima fonte. Una seconda, per il 20% del testo di Luca, è la fonte Q (in
tedesco Quelle = fonte). E’ così
denominata quella parte che non esiste in Marco ed è comune a Luca e Matteo.
Guardando i loro testi si vede che riportano alcune parti con le stesse parole
perciò, vivendo essi in zone
diverse, probabilmente devono avere potuto attingere ad una stessa fonte. La
terza è la parte originale, propria di Luca, 550 versetti, molto corposa: il
ricco Epulone, Emmaus, Zaccheo, Marta e Maria. Nella sua comunità questa aveva
un grande rilievo. La quarta fonte sono i racconti dell’infanzia, le leggende
della nascita verginale. Sono dei generi midrashici presenti anche in Matteo. Il
grande studioso in Italia dei racconti dell’infanzia è stato Ortensio da
Spinetoli; grandissime le sue opere, note in tutto il mondo. Queste 4 fonti sono
state organizzate nel modo che vi dicevo:
Ogni evangelista è stato un grande organizzatore del materiale e lo ha sistematizzato secondo un disegno vitale, oltre che letterario. Era il modo di rivivere l’esperienza di Gesù e del suo movimento proprio della sua comunità. L’evangelista non è una persona che si mette a tavolino, come diremmo noi oggi e scrive, no, è una persona che compie un’esperienza di sequela di Gesù, personalmente, in una comunità e poi restituisce letterariamente questo vissuto che ha caratterizzato la sua vita, insieme a quella di altre persone.
Vi consiglio di dare molta importanza alle parti originali di Luca, è li che si vede una parte consistente della sua genialità. Uno può porsi la domanda: le cose che dice sono storiche? E’ chiaro che le cose che Luca ci racconta appartengono ad una storiografia particolare: per lui è importante il messaggio, l’annuncio centrale. Se per storia noi intendiamo la precisione cronachistica, che tutto è proprio successo in questo modo, questa non era la preoccupazione degli evangelisti; il loro modo di fare storia era un modo diverso. Ma a noi interessa la sostanza del messaggio. Luca è molto attento già nel preambolo a dirci che lui non vuole narrarci delle cose qualunque, ma vuole farci vedere la “consistenza”. Nel suo prologo la “consistenza” non viene annunciata tanto come precisione dei fatti narrati, ad es. se i ciechi erano uno o due, ma come messaggio, cioè che Gesù ha portato liberazione dall’angoscia, dalla sofferenza, dal male. E’ una storiografia particolare, differente da quella di Paolo. Le lettere dettate da Paolo e scritte dai suoi amici, qualche volta le scriveva lui di suo pugno; sono delle scritture immediate, provocate da una situazione. Paolo quando deve descrivere uno scontro, nelle sue lettere dice che c’è stato uno scontro; lui doveva essere un temperamento piuttosto sanguigno, si incontra e si scontra, anche se altre volte è invece tenerissimo. Luca no, Luca ha questa grande paura di scandalizzare e allora lui, specialmente nel libro degli Atti, attenua tutti i conflitti: dice che ci fu un dissenso… ma poi erano andati tutti d’accordo; c’è una difficoltà…ma poi le cose vanno a finire bene. Per Luca, Paolo è un campione che le vince tutte: una vipera lo morde, ma quasi quasi fa morire la vipera - ricordate l’episodio a Malta?- Luca quando deve parlare di Paolo, di Pietro e delle comunità, fa una sviolinata. E’ un grande celebratore, non è un bugiardo. Luca ha una grande fede, e dice: se vi fidate, voi di questa terza generazione, degli anni 85/90, che attraversate un periodo di bassura, di scoraggiamento, bene, se vi fidate guardate che Dio vi accompagna. Luca non è mendace, Luca è un testimone. Questa sua enfasi non è un seppellire la realtà, ma vuole iniettare nel corpo vivo della realtà della sua comunità una grande fiducia. Lui non vuole tradire la realtà, vuole far vedere che Dio accompagna nonostante tutto. I passi giudicati shockanti vengono eliminati. E’ evidente che a Luca non piace tutto ciò che guasta l’immagine dei discepoli: per esempio quando Gesù chiama Pietro “Satana”, Luca lo toglie. “Come ha potuto chiamarlo Satana!”…Quindi in Luca non c’è questo passo, c’è invece in Marco. Lo stesso quando Gesù predice che saranno scandalizzati: “subirete scandalo nel mio nome”, o quando li trova per la terza volta addormentati nel Getzemani: Luca sopprime. E’ Marco che dice tutte queste cose in modo crudo: “Non avete potuto vegliare un’ora con me…”! A Luca sembra troppo e omette, ma sono delle omissioni significative. La cristologia lucana non sopporta nemmeno che il Signore sia dipinto duro, irritato, debole. Ne discende l’eliminazione di Marco 1,41 “arrabbiatosi, adiratosi”. Per Luca Gesù è misericordioso, mosso a compassione. Non descrive nemmeno la minaccia, nemmeno l’indignazione; Gesù non va mai in collera, cosa che invece in Marco è molto presente: ricordate davanti al fico secco? Gesù, che in Marco non conosce i tempi: “lo sa solo il padre mio…non lo sanno né il figlio né gli angeli”, per Luca rivela un’ignoranza troppo grave, quindi omette! Così pure per: “Gesù preso dall’angoscia…” Luca omette! E’ incredibilmente preso da questa mania di attenuare. Sono pochissime le sfumature in cui Luca riesce a mettere una debolezza nel vissuto di Gesù. E’ chiaro che il suo intento è esortare la sua comunità. Luca vive in un momento di estrema difficoltà, quando l’entusiasmo delle origini si è estinto, quando i primi testimoni di Gesù sono totalmente scomparsi, quando le comunità sentono la difficoltà di perseverare nel tempo e cominciano ad incontrare le prime difficoltà, le prime opposizioni. Luca fa vedere che la corsa della Parola di Dio è assolutamente inarrestabile. E allora questo elemento, se volete celebrativo, questo elemento che è particolarmente evidente nel libro degli Atti, ha una funzionalità parenetica, esortativa.
Ed ecco le piccole cose che volevo ancora dirvi. Luca è il teologo della preghiera, vedrete quante volte al centro della sua attenzione c’è questo aspetto: la preghiera in Luca è la forza che Gesù attinge da Dio, e che i discepoli e le discepole devono attingere da Dio. Gesù viene colto spessissimo mentre prega. Luca sottolinea questo aspetto della fede di Gesù e chiaramente lo fa per evidenziare il bisogno che la sua comunità ha di attingere da Dio. E qual è la caratteristica? “Pieno di spirito santo”! Maria, piena di spirito santo; Elisabetta, piena di spirito. La forza non è la forza degli eroi, ma è il vento, il soffio di Dio. In questo Luca in qualche modo è parente di Paolo; Paolo accentua molto questo elemento della presenza dell’azione di Dio.
Altre caratteristiche: la gioia: se aderisci sei un beato. La via di Gesù è la via delle beatitudini. I miracoli: Gesù nel vangelo di Luca compie dei miracoli, evidentemente da interpretare, ma il vero senso che ha il miracolo nei sinottici è che Dio può cambiare delle cose nella nostra vita. Luca ha soprattutto la teologia del viaggio. Quello che conta è proprio questa immagine del viaggio in cui bisogna essere dalla parte dei poveri, per dirla nel linguaggio della Teologia della Liberazione. Infatti vi accorgerete che Gesù è veramente l’inviato di Dio per la liberazione dei poveri. Luca è sempre attento a questa dimensione. E’ quello che nelle beatitudini non dirà: “beati i poveri in spirito”, ma:“beati i poveri”. E’ l’unico che dirà: “guai a voi o ricchi”, in questo senso molto vicino a Giacomo. Le tematiche sociali in Luca sono estremamente presenti. Si dice spesso, è un argomento questo molto controverso, che Luca è, dopo Paolo, quello che enumera più donne. Ma tra gli esegeti e le studiose della Bibbia, vi rimando al terzo volume della “Bibbia delle donne”, c’è una grande discussione perché, è vero che enumera spesso le donne ma, secondo talune studiose, sempre in posizioni subalterne. In ciò la differenza con Paolo è grande: Paolo enumera le donne spesso come missionarie, come operaie della comunità, mentre invece Luca sembra che le metta più come persone di soccorso, di ausilio. Questo è il concetto che anche la teologia femminista, in modo molto rigoroso e documentato, ha espresso nel volume appena citato. E’ una discussione molto aperta in cui non saprei prendere partito: forse c’è l’uno e l’altro, ci sono pagine interessanti e pagine contrastanti, dicono oggi gli studiosi.
Voglio finire con qualche
piccola considerazione. Leggendo Luca, la prima cosa che direi è che è il
vangelo più usato e più abusato. Occorre addentrarci nel testo e vedere bene
ciò che è midrashico e ciò che è storico. Nella tradizione delle chiese,
quando nel VI secolo si è inventato il Natale, Luca è diventato il
capostipite. Dal suo vangelo nasceranno la mariologia e i vangeli apocrifi,
tutta una serie di racconti belli, poetici, ma che vanno colti nella loro
valenza. Quello che mi sembra importante dirvi è che bisogna avere l’‹ermeneutica
dell’inciampo›. Che cosa è l’ermeneutica dell’inciampo? Nella Bibbia
bisogna inciampare e cadere: la nostra lettura della Bibbia corre il rischio di
essere scontata e ripetitiva. L’ermeneutica dell’inciampo è quando poniamo
problemi nuovi in rapporto al testo, in rapporto alla nostra vita, quando
cerchiamo proprio di cadere sulla Bibbia, di aprire un conflitto su temi come le
beatitudini, la povertà, la preghiera, la fiducia in Dio, l’opera di Dio in
questo mondo. Sono temi in cui bisogna inciampare, perché le risposte consuete
sono accomodanti; anche tra di noi, non solo nella grande chiesa, questo rischio
è sempre presente. Bisogna sempre che ci ricordiamo che non possediamo
L’ultima cosa che vorrei dire è di valorizzare, lo anticipavo, le parti proprie di Luca perché sono veramente, straordinariamente efficaci e sono sovente delle parti in cui c’è l’incontro con una persona. Nel vangelo di Luca sono bellissimi gli incontri, Gesù che incontra. E allora raccogliendo la sollecitazione dello psicoterapeuta e teologo Drewermann, vedere che Gesù viene all’incontro con il nostro cuore, con la nostra vita, che avviene un incontro e uno scontro. C’è un messaggio che devo recepire anche per me. Vedrete che sotto questo aspetto il vangelo di Luca non finirà mai di sconvolgere e anche di dare dei messaggi belli. C’è poi un grande lavoro da fare, con altre comunità e altri gruppi, per riscoprire il Gesù storico. Il vangelo di Luca e il vangelo di Giovanni sono proprio stati usati per imbellettare Gesù, per seppellire il Gesù della storia. L’aspetto che credo sia oggi più necessario perché Gesù torni ad innamorarci con la sua vita, è di cogliere la fecondità di questa mediazione teologica, letteraria, che è il ponte per andare a scoprire il Gesù della storia, che poi è un messaggio infinito di fiducia in Dio. Vi accorgerete che poi quando avrete la mia età, la cosa che vedrete nel vangelo di Luca è questa radicale fiducia in Dio. Gesù ci ha proprio consegnato una radicale fiducia in Dio: “ti benedico o Padre…”. Gesù è pieno di questa fiducia in Dio. Leggerla in Luca è un’occasione per riscoprirla ma anche per fare un lavoro teologico, biblico, di riscoperta del Gesù storico che è il grande problema delle chiese cristiane oggi. Su questo tema c’è la paura, c’è una grandissima paura in “alto loco”, e invece se uno fa una ricerca come quella di Barbaglio, di Rendtorff e tanti altri ti accorgi che la figura di Gesù ti innamora. E’ quello che oggi manca!