di Michele Serra
in “
Il neologismo “badante”
avrà una lunga e meritata fortuna, perché colei o colui che bada alla
solitudine dei nostri vecchi non è
soltanto, come tanti altri stranieri, un lavoratore che supplisce alla
nostra turbinosa mancanza di tempo e di
umiltà. Lo scorcio d’epoca
lo ha fatto diventare,
qualitativamente e quantitativamente, il
simbolo “buono”
della nuova marea migrante, e per ciò
stesso il solo, solido argomento che fa
esitare il radicalismo xenofobo, che costringe a ragionare gli
impauriti, che aiuta a mitigare i
provvedimenti più drastici.
Perché si può anche omettere, quando fa
comodo, di ricordare la fabbrica o la miniera o la stalla
dentro le quali gli stranieri sgobbano e
ripetono fatiche un tempo nostre: la durezza del lavoro
manuale non è più riflessa, da tempo,
nel grande e asettico specchio della televisione, non è più
senso comune, non più esperienza
comunitaria, è una specie di enorme rimosso, cosa loro e non
cosa nostra. Ma quello che accade in casa,
e accade attorno agli affetti primari, alla madre e al
padre, in quel territorio così bene
irrorato dalla retorica italiana che è
siamo ancora così abilmente ipocriti o
così distratti da poterlo ignorare.
Può darsi (e si dà) il caso di
imprenditori che godono assai dell’apporto
di manodopera immigrata,
ma poi affidano il voto ai partiti più
duramente isolazionisti, perché evidentemente contano
sull’elasticità
di un mercato del lavoro del quale sanno di essere la parte forte. Ma la
prospettiva di
vedere sparire, per un rimpatrio forzato o
per altre tagliole burocratiche, la persona che assiste i
genitori, è qualcosa che fa davvero
crollare il fragile equilibrio del nostro castello sociale, fondato
sulla indipendenza e la libertà degli
individui in età produttiva (anche la libertà dalle sacre
incombenze affettive della Famiglia,
checché se ne dica).
Si può essere così egoisti da non voler
pagare, per paura e pigrizia, il prezzo dell’immigrazione
di
manodopera industriale e agricola, e
magari sorridere all’immigrato
dal lunedì al venerdì, quando
lavora in fabbrica, e poi ringhiargli
contro durante i weekend, quando invade con la sua famiglia i
luoghi pubblici e disturba la nostra
quieta consuetudine a sentirci “padroni
in casa nostra”.
Ma non si può essere così stupidi da non
sapere che l’inabilità
che conduce non solo ad accogliere,
ma anche a desiderare l’arrivo
delle badanti straniere, non è l’inabilità
dei vecchi, è evidentemente la
nostra. In un paese in cui la parola “ospizio”
è ancora un impietoso e spesso degradante ripiego
(mentre esistono, in Europa, residenze per
anziani di assoluta dignità sociale), l’esercito
ausiliario
delle badanti ha messo una gigantesca
pezza sullo strappo lacerante causato dalla fine della famiglia
tradizionale e patriarcale. Che se non può
essere rimpianta senza essere incoerenti con il nostro
concetto di autonomia individuale (la
famiglia patriarcale custodiva meglio i vecchi e i bambini, ma
imponeva gerarchie e promiscuità che ben
pochi oggi sopporterebbero), certo non ha lasciato, in
mezzo alle sue macerie, solide certezze,
prima tra tutte la certezza di dare assistenza e amore ai
vecchi soli, ai vecchi improduttivi e
dimenticati.
La sola certezza, nei fatti, è che mani
spesso delicate curano e sorreggono, in nostra vece, gli
anziani che non riusciamo più ad
assistere di persona. Che occhi attenti, orecchie vigili, osservano e
soccorrono. E che quando queste persone,
quasi sempre sottopagate, molto spesso non in regola,
chiedono di farsi raggiungere dal marito o
dai figli, improvvisamente scopriamo che il
ricongiungimento familiare non è un
subdolo tentativo di invasione, non un capriccio o una
prepotenza, ma un diritto tanto
fondamentale, tanto palpitante quando il nostro desiderio di vedere
ben curata e protetta “la
famiglia”.
La nostra.
Ne discende che la parola badante, in
questi giorni convulsi e acidi di regolamento dei conti con gli
stranieri, è per forza di cose una zona
franca, un territorio di cautela e (speriamo) di rispetto. Un
argine contro le intemperanze e le norme
più vessatorie. Così come le migrazioni passate, a prezzo
di molto sangue e molte umiliazioni, hanno
prodotto un’epica
operaia (gli edili sospesi su un trave
sullo
sky-line di Manhattan è ormai una classica icona novecentesca), l’immigrazione
del terzo
millennio prevede, in tempi brevi, un
monumento alla badante. Pensiamolo bello potente, bello
retorico, una ragazza china su un vecchio
e sulla sua solitudine, qualcosa che possa far esitare anche
il naziskin pronto a violarla con la sua
tanica nera, anche il politico offuscato che stia per firmare un
ordine di rimpatrio.