I 30 mila bimbi italiani clandestini in Svizzera
di Gian Antonio Stella
“Corriere della Sera” del 2 dicembre 2008
Le mogli e i bambini degli immigrati? «Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che
minacciano nello spettro d'una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini. Dobbiamo liberarci del
fardello». Chi l'ha detto: qualche xenofobo nostrano contro marocchini o albanesi? No: quel razzista
svizzero di James Schwarzenbach. Contro gli italiani che portavano di nascosto decine di migliaia
di figlioletti in Svizzera. E non nell' 800 dei dagherrotipi: negli anni Settanta e Ottanta del '900.
Quando Berlusconi aveva già le tivù e Gianfranco Fini era già in pista per diventare il leader del
Msi.
Per questo è stupefacente la rivolta di un pezzo della destra contro la sentenza della Cassazione,
firmata da Edoardo Fazzioli, che ha assolto l'immigrato macedone Ilco Ristoc, denunciato e
processato perché non si era accontentato di portare in Italia con tutte le carte in regola (permesso di
soggiorno, lavoro regolare, abitazione decorosa) solo la moglie e il bambino più piccolo ma anche
la figlioletta Silvana, che aveva 12 anni. Cosa avrebbe dovuto fare: aspettare di avere un giorno o
l'altro l'autorizzazione ulteriore e intanto lasciare la piccola in Macedonia? A dodici anni?
Rischiando addirittura, al di là del trauma, il reato di abbandono di minore? Macché. Il leghista
Paolo Grimoldi, indignato, si è chiesto «se la magistratura sia ancora un baluardo della legalità
oppure il fortino dell'eversione». E la forzista Isabella Bertolini ha bollato il verdetto come «un'altra
mazzata alla legalità» e censurato la «legittimazione di un comportamento palesemente illegale».
Lo «stato di necessità» previsto dalla legge e richiamato dalla suprema Corte, a loro avviso, non è in
linea con le scelte del Parlamento.
L'uno e l'altra, come quelli che fanno loro da sponda, non conoscono niente della grande
emigrazione italiana. Niente. Non sanno che larga parte dei nostri emigrati, almeno quattro milioni
di persone, è stata clandestina. Lo ricordano molte copertine della Domenica del Corriere, il
capolavoro di Pietro Germi «Il cammino della speranza», decine di studi ricchi di dettagli (tra cui
quello di Simonetta Tombaccini dell'Università di Nizza o quello di Sandro Rinauro sulla rivista
«Altreitalie» della Fondazione Agnelli) o lo strepitoso reportage in cui Egisto Corradi raccontò sul
Corriere d'Informazione
del 1947 come aveva attraversato il Piccolo San Bernardo sui sentieri dei«passeur» e degli illegali.
Non conoscono storie come quella di Paolo Iannillo, che fu costretto ad assumere sua moglie come
domestica per portarla a vivere con lui a Zurigo. Ma ignorano in particolare, come dicevamo, che la
Svizzera ospitò per decenni decine di migliaia di bambini italiani clandestini. Portati a Berna o
Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi elvetiche
contro i ricongiungimenti familiari. Leggi durissime che Schwarzenbach, il leader razzista che
scatenò tre referendum contro i nostri emigrati, voleva ancora più infami: «Dobbiamo respingere
dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di
pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la
loro posizione sociale. Scalano i posti più comodi, studiano, s'ingegnano: mettono addirittura in
crisi la tranquillità dell'operaio svizzero medio, che resta inchiodato al suo sgabello con davanti,
magari in poltrona, l'ex guitto italiano».
Marina Frigerio e Simone Burgherr, due studiosi elvetici, hanno scritto un libro in tedesco intitolato
«
Versteckte Kinder» (Bambini nascosti) per raccontare la storia di quei nostri figlioletti. Costretti avivere come Anna Frank. Sepolti vivi, per anni, nei loro bugigattoli alle periferie delle città
industriali. Coi genitori che, terrorizzati dalle denunce dei vicini, raccomandavano loro: non fare
rumore, non ridere, non giocare, non piangere. Lucia, raccontano Burgherr e la Frigerio, fu chiusa a
chiave nella stanza di un appartamento affittato in comune con altre famiglie, per una vita intera:
«Uscì fuori per la prima volta quando aveva tredici anni». Un'altra, dopo essere caduta, restò per ore
ad aspettare la mamma con due costole rotte. Senza un lamento.
Trentamila erano, a metà degli anni Settanta, i bambini italiani clandestini in Svizzera: trentamila.
Al punto che l'ambasciata e i consolati organizzavano attraverso le parrocchie e certe organizzazioni
umanitarie addirittura delle scuole clandestine. E i nostri orfanotrofi di frontiera erano pieni di
piccoli che, denunciati dalla delazione di qualche zelante vicino di casa, erano stati portati dai
genitori appena al di qua dei nostri confini e affidati al buon cuore degli assistenti: «Tenete mio
figlio, vi prego, non faccio in tempo a riportarlo a casa in Italia, è troppo lontana, perderei il lavoro:
vi prego, tenetelo». Una foto del settimanale
Tempo illustrato n. 7 del 1971 mostra dietro una grataalcuni figli di emigranti alla Casa del fanciullo di Domodossola: di 120 ospiti una novantina erano
«orfani di frontiera». Bimbi clandestini espulsi. Figli nostri. Che oggi hanno l'età di Grimoldi e
della Bertolini.
Dicono: la legge è legge. Giusto. Ma qui il principio dei due pesi e delle due misure nella
Costituzione non c'è. E la realtà dice che almeno un milione di italiani vivono oggi in condizioni di
sovraffollamento nelle sole case popolari senza essere, come è ovvio, colpiti da alcuna sanzione:
non si ammanettano i poveri perché sono poveri. A un immigrato regolare e a posto con tutti i
documenti che sogna di farsi raggiungere dalla moglie e dai figli esattamente come sognavano i
nostri emigrati, la nuova legge chiede invece non solo di dimostrare un reddito di 5.142 euro più
altri 2.571 per la moglie e ciascuno dei figli ma di avere a disposizione una casa di un certo tipo. E
qui la faccenda varia da regione a regione. In Liguria ad esempio, denuncia l'avvocato Alessandra
Ballerini, in prima linea sui diritti degli immigrati, occorre avere una stanza per ogni membro della
famiglia con più di 14 anni più un vano supplementare libero (esempio: il salotto) più la cucina e
più i servizi igienici. Il che significa che una famiglia composta da padre, madre e quattro figli
adolescenti dovrebbe avere una casa con almeno sei stanze. Quanti italiani hanno la possibilità di
vivere così? Quando vinse la Coppa dei Campioni, coi soldi dell' ingaggio e del premio per la
coppa, Gianni Rivera comprò un appartamento a San Siro.
Il papà e la mamma dormivano nella camera matrimoniale, il fratello nella cameretta e lui in un
divano letto in salotto. Se invece che di Alessandria fosse stato di Belgrado, sarebbe stato
fuorilegge. Ed era Gianni Rivera. Il campione più amato da un'Italia certo più povera. Ma anche più
serena di adesso.