Tutto
sbagliato, tutto da rifare
di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma
gennaio 2008
Di fronte a quello che sta
succedendo a seguito dell’invito rivolto al Papa a presiedere l’apertura
dell’anno accademico all’Università
Le critiche
all’iniziativa del rettore vengono - da destra e sinistra, da cattolici
militanti e da chierichetti atei - stigmatizzate come violazione della libertà
di parola. Tutti - compresi gli ex fascisti e gli ex-comunisti, dunque gli eredi
delle culture non liberali - diventano profeti di liberalismo.
Ritenere non opportuno un
invito a tenere un discorso è cosa diversa dall’impedire a qualcuno di
esprimere le proprie opinioni.
Il Papa non è un semplice
accademico che sostiene tesi controverse o formula ipotesi non condivise da
pochi o da molti. Il Papa parla di valori non negoziabili, non formula ipotesi;
pretende di esplicitare la verità; si pronuncia non come esponente di una delle
varie religioni e confessioni presenti sulla agorà, ma come esperto di umanità
in grado di indicare i fondamenti dello stato e i criteri di una corretta laicità.
Il Papa pretende di sapere per tutti noi come si debbano rettamente coniugare
fede e ragione. Se vogliamo, il Papa è anche l’ultimo sovrano assoluto per
diritto divino. Benedetto XVI bolla la ricerca del pensiero scientifico e
filosofico della modernità "post-cristiana" come dittatura del
relativismo. Cioè pronuncia una drastica censura nei confronti di quello che è
lo spirito della ricerca libera e senza presupposti che spero presieda
all’insegnamento nelle nostre università. Benedetto XVI persegue, con grande
intelligenza, una strategia di rimonta nei confronti della società laica e
pluralista.
Tutto questo andava
ricordato nel momento in cui lo si invitava. Si doveva sapere che il Papa non
viene a discutere o a confrontarsi, ma viene per essere ascoltato con reverenza
ed eventualmente accolto con una genuflessione. Si doveva sapere che era
legittimo dissentire dall’invito, non perché si è oscurantisti ma perché
non si può né si vuole riconoscere la pretesa che egli statutariamente e
quindi inevitabilmente porta con sé. Per queste ragioni io non l’avrei
invitato a presiedere l’apertura dell’anno accademico. Lo inviterei però,
domani stesso, a partecipare come uno dei relatori ad un dies academicus:
si darebbe un bellissimo esempio di cosa può essere una università libera e
laica e veramente plurale. Perché - sebbene gli italiani, in primis gli
atei devoti, di destra come di sinistra, non lo sappiano - qualunque "capo
religioso", persino il Papa, nella democrazia discorsiva è "uno dei
relatori". Nulla di meno - e va detto con forza e io lo faccio con assoluta
convinzione - ma neanche nulla di più.
Una volta che l’invito -
inopportuno a mio avviso - era stato rivolto, il Papa doveva parlare. Il
dissenso era legittimo; se il dissenso poneva problemi di ordine pubblico - in
una università il dissenso si esprime con il dibattito delle idee e con un
po’ di humour - essi dovevano essere risolti come ogni altro problema
di ordine pubblico. Nessuno, tuttavia, può essere posto al riparo dal dissenso
che si manifesta nelle forme legittime. Tra l’altro, giova ricordare che Gesù
si espose sulla pubblica piazza, senza aver prima negoziato con l’autorità le
condizioni consone alla sua visita. Anzi parlò senza essere invitato. Ci
pensino quelli che nel Papa ravvisano il Vicario e che oggi vedono in lui la
vittima di un sopruso.
Chi pensava che Benedetto
XVI fosse meno capace di "comunicare" del suo predecessore, ha oggi
una bella smentita. Non andando alla Sapienza, il Papa diventa una vittima
dell’intolleranza laica, la nuova inquisizione lo sta portando al rogo.
Bisogna vegliare per lui. Me lo si lasci dire, visto che i miei antenati di
inquisizione ne sapevano qualcosa: quando c’è l’inquisizione non si tratta
di qualche sberleffo o magari di qualche insulto in mezzo ad un folla compunta e
persino adorante.
Per giorni non si parlerà d’altro. E anche senza questo incidente, ogni giorno, dalla mattina alla sera, le televisioni italiane (l’Europa e il mondo sono un’altra cosa) parlano del Papa e dei suoi moniti e dei suoi rimbrotti e dei suoi non possumus che vogliono dire "non dovete". Ora tutti faranno a gara per riparare, per scusarsi, per far vedere che - per quanto atei - si sa dare alla chiesa e al papa il dovuto riconoscimento. Per fortuna le occasioni non mancheranno: c’è una legge sulla libertà religiosa da lasciar sepolta; la 194 da rivedere; il riconoscimento delle unioni civili da non prendere neppure in considerazione; la vita da tutelare. Forse si potrebbe anche porre qualche limite alla diffusione dei contraccettivi. E poi siamo italiani, la fantasia non ci manca, sapremo come farci perdonare. D’altronde, se non abbiamo avuto Lutero, Kant e Jefferson non è colpa nostra