I mendicanti di Firenze
di Enzo Mazzi
in “l'Unità” dell'8 aprile 2008
L’ordinanza del Comune di Firenze contro i lavavetri suscitò un clamore mediatico che fece il giro
del mondo ben al di là della sua reale consistenza. La cosa si ripete oggi al solo accenno di una
intenzione di regolamentazione restrittiva dell’accattonaggio. Gli amministratori si risentono contro
la superficialità dei media pronti ad amplificare e distorcere i fatti per far cassa. Siamo stati
fraintesi, in realtà abbiamo fatto solo il nostro dovere, «assumendoci la nostra parte di responsabilità
sociale, senza eclissarsi di fronte alle sfide inedite del mondo e delle città in cui viviamo», scriveva
l’altro giorno su Repubblica il sindaco Leonardo Domenici.
Dovrebbero invece riflettere, gli amministratori della città, sul fatto che fra le sfide del nostro tempo
c’è anche la necessità di attenersi a codici comunicativi adeguati alla società dell’immagine.
Firenze, perfino lei, la città gentile dell’armonia e della misura sta cambiando volto, sta assumendo
le sembianze arcigne della società della guerra mercantile globale di tutti contro tutti.
Non solo sul metro della funzionalità ma anche su quello simbolico vanno valutate le decisioni
politiche e amministrative. Questo dato fa parte di un principio più generale della convivenza
umana: la forma è sostanza. Lo era ieri quando le torri e i campanili, che rappresentavano
simbolicamente l’onnipotenza virile paterna, e le cupole, che erano il simbolo dell’abbraccio
amorosamente ossessivo della madre, dominavano i tempi e gli spazi e determinavano le identità
delle comunità. Tanto più la forma è sostanza nell’epoca moderna. La modernità ha reso
insignificanti i vecchi simboli, le torri merlate e i campanili eretti verso il cielo, ma non ha rimesso
al centro la sostanza dell’essere umano e delle sue relazioni, anzi ha sostituito quei simboli con altri
ancor più astratti e potenti. L’astrazione simbolica del danaro è il nuovo principio di autorità. La
cosa più astratta e formale, il danaro appunto, è diventata la realtà più sostanziosa, pietra angolare,
fondamento del nuovo ordine. Anche Firenze si piega alla necessità di «garantire una certa
immagine a una città che si offre al turismo, ovviamente in una logica prevalentemente
commerciale» (mons. A. Plotti ancora su Repubblica). È questo il messaggio che inevitabilmente
rimbalza dai media e diventa la notizia di interesse mondiale. La “città sul monte”, che nel secolo
scorso ha animato e nutrito, nell’intero Paese e a livello internazionale, la cultura della solidarietà,
dell’accoglienza, della pace nella giustizia, grida la propria sconfitta di fronte al montare della
violenza, dell’insicurezza e della paura e si piega fino a diventare apripista e capofila di una politica
repressiva e intollerante che suscita ammirazione e bisogno di emulazione nelle stesse
amministrazioni più chiuse. Non potendo aggredire le vere cause dell’insicurezza ci si affida al
collaudato meccanismo del capro espiatorio: risorsa potente dell’impotenza politica.
L’associazionismo solidale che tenta giorno per giorno, faticosamente, di risolvere i problemi
dell’emarginazione con esperienze concrete e positive di integrazione, che dà forma, visibilità e
concretezza a un’anima della città tollerante, accogliente, non di rado in collaborazione con le
istituzioni (ha ragione l’assessore Graziano Cioni a rilevare la qualità e quantità di politiche sociali,
tacendo però il fatto della partecipazione dal basso) anche in questa occasione deve assolvere il suo
compito ed esprimere la propria contrarietà verso uno strumento puramente repressivo, privo di
senso di umanità e inefficace che rischia di bruciare un lavoro positivo di anni