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I testimoni di Gesù. Le origini del cristianesimo

di Corrado Augias

“la Repubblica” del 30 agosto 2008

Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome; mai

ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, per ristabilire

cioè l'alleanza fra Dio e gli uomini; non ha mai detto di essere nato da una vergine che lo aveva

concepito per intervento di un dio; mai ha detto di essere unica e indistinta sostanza con suo padre,

Dio in persona, e con una vaga entità immateriale denominata Spirito. Gesù non ha mai dato al

battesimo un particolare valore; non ha istituito alcuna gerarchia ecclesiastica finché fu in vita; mai

ha parlato di precetti, norme, cariche, vestimenti, ordini di successione, liturgie, formule; mai ha

pensato di creare una sterminata falange di santi. Non è stato lui a chiedere che alcuni testi, i

vangeli, riferissero i suoi discorsi e le sue azioni, né ha mai scritto personalmente alcunché, salvo

poche parole vergate col dito nella polvere. Gesù era un ebreo, e lo è rimasto sempre; sia quando, in

Matteo 5,17, ha detto: «Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono

venuto per abolire ma per dare compimento»; sia quando, sul punto ormai di spirare, ha ripetuto

l'attacco straziante del Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Davanti a queste incontestabili verità sorge con forza la domanda, la curiosità di sapere: ma allora

com'è nato il cristianesimo? Chi e quando ne ha stabilito norme e procedure, riti e dogmi? Gesù non

ha mai pensato di rendere obbligatori un comportamento o una verità certificati per decreto. Ha

esortato, ha pregato, ha dato l'esempio. Soprattutto, nulla era più lontano da lui di una congerie di

leggi, un'organizzazione monarchica, uno Stato sovrano dotato di territorio, moneta, esercito,

polizia e giurisdizione, sia pure ridotti - ma solo dopo aspre lotte - a dimensioni simboliche. Torna

di nuovo la domanda: ma allora chi ha elaborato tutto questo? perché? quando?

La vicenda del cristianesimo, ricostruita nel suo effettivo svolgimento secondo le leggi della ricerca

storica e non della teologia, rappresenta una complessa avventura umana ricca di drammi, di

contrasti, di correnti d'opinione che si sono scontrate sui piani più diversi: la dialettica, l'invenzione

ingegnosa, la ricostruzione ipotetica di eventi sconosciuti a costo di affrontare i più inverosimili

paradossi; l'amore per gli uomini, certo, nella convinzione di fare il loro bene, ma anche gli interessi

politici, gli arbitrii e gli inganni; non di rado l'opposizione al mutamento spinta fino allo

spargimento di sangue.

In breve: se si esaminano i fatti con la sola ottica della storia, nulla distingue la lenta e contrastata

nascita di questa religione da quella di un qualsiasi altro movimento in grado di smuovere coscienze

e interessi, di coinvolgere la società nel suo insieme e le singole persone che nella e della società

vivono. Sigmund Freud ha scritto nel suo L'avvenire di un'illusione: «Dove sono coinvolte questioni

religiose, gli uomini si rendono colpevoli di ogni sorta di disonestà e di illecito intellettuale». Forse

l'espressione è eccessiva, nel senso che non sempre e non per tutti è stato così. E, se di disonestà si

può parlare, si è spesso trattato di una «disonestà» particolare, concepita cioè per offrire agli esseri

umani una consolazione che la vita raramente concede. Di sicuro, però, è vero il reciproco della

frase di Freud e cioè che la ricerca storico-scientifica, condotta con criteri rigorosi, obbedendo solo

alla propria deontologia, esclude ogni «disonestà», il suo fine essendo di arrivare a risultati certi.

Momentaneamente certi, aggiungo. Certi, cioè, fino a quando altre ricerche, altre scoperte, altri

documenti falsificheranno quei risultati per proporne di nuovi.

La differenza fra la storia (e qualunque altra attività scientifica) e la teologia è infatti soprattutto in

questo: la scienza tende a un instancabile avvicinamento a verità perfettibili, la teologia tende a

considerare immutabile la sua verità perfino quando le scoperte della scienza la rendono

palesemente inverosimile. La ricerca scientifica e la fede religiosa, il perfezionamento di conferme

verificabili e la fiducia in verità assolute si muovono su piani distinti. Per ognuna delle due ci sono

spazio e legittimità nella coscienza e nei sentimenti degli individui, assai meno nel campo delle

attività razionali e pubbliche. La verità della politica e della convivenza, fatta di mediazioni e di

incontri, è diversa dalla verità della fede, fatta di dogmi immutabili. Il filosofo Rousseau era

arrivato a dire: «Il cristiano non può essere un buon cittadino. Se lo è, lo è di fatto, ma non di

principio, perché la patria del cristiano non è di questo mondo». Vedremo quanto sia vero tale

giudizio e quanto il principio abbia pesato nel momento in cui il cristianesimo lentamente si

allontanò dal giudaismo originario per diventare una religione a sé.

Il professor Remo Cacitti insegna Letteratura cristiana antica e Storia del cristianesimo antico alla

Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, materie su cui ha grande

competenza. Nel dialogo raccolto in questo libro, egli ricostruisce le vicende che hanno

caratterizzato la nascita del cristianesimo secondo i risultati della più attendibile e aggiornata

ricerca. Nulla che non sia storicamente verificabile entra nel suo racconto. Non mancheranno quindi

al lettore le sorprese, come non sono mancate a me, mentre lo ascoltavo raccogliendo le sue parole.

Una narrazione basata su documenti è cosa molto diversa da una costruzione teologica, che per

suscitare la fede deve trasformare i fatti, filtrarli attraverso categorie sottratte al controllo della

ragione.

* * *

Quando e come comincia la nuova fede chiamata cristianesimo? È una domanda alla quale si

risponde malvolentieri sia perché non è facile sia perché la materia è controversa, per taluni aspetti

imbarazzante, basata su fonti aleatorie. Si può allora provare a formulare la questione in modo

diverso: quando si conclude la fase che possiamo considerare originaria, aurorale, di questa

religione? Ma soprattutto, per cominciare, a quale metodo si affidano gli storici per cercare di

ricostruire con fedeltà le varie fasi degli avvenimenti?

Per la dottrina esiste una data ufficiale di nascita della Chiesa: la Pentecoste. Cinquanta giorni dopo

la morte di Gesù, lo Spirito santo si manifestò prima come un vento, poi in forma di fiammelle che

si posarono sul capo di ciascuno dei discepoli riuniti in assemblea. Riattualizzando l'originale

significato ebraico della ricorrenza (legata alle primizie del raccolto e alla rivelazione di Dio sul

monte Sinai), la Pentecoste cristiana viene vista come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli.

Questo nella dottrina. Nella realtà storica le origini della nuova religione sono molto più

movimentate e incerte. Le due sole frasi che potrebbero far pensare all'intenzione di Gesù di

fondare una sua Chiesa sono o male interpretate («Tu sei Pietro e su questa pietra…») o aggiunte in

un secondo tempo al testo originario («Andate e predicate a tutte le genti…»).

Per la cerchia dei seguaci la realtà della sua morte - di quella morte - dovette rappresentare uno

shock tremendo. L'uomo, il profeta, se si vuole il messia tanto atteso, nel quale avevano riposto

ogni speranza, al cui messaggio avevano creduto con pienezza di cuore, era finito su un patibolo

ignominioso. Di colpo, tutti coloro che avevano creduto in lui erano diventati complici di un

criminale giustiziato. La sventura si era abbattuta su di loro e, nello stesso tempo, il regno dei cieli,

da lui annunciato come imminente, tardava ad arrivare. La loro risorsa, la loro salvezza fu rifugiarsi

nelle antiche scritture della Bibbia, dov'era detto che i giusti secondo Dio sarebbero stati salvati. A

questa consolazione si aggiunse la notizia che la sua tomba era stata trovata vuota: la salma

martoriata era scomparsa. Gesù doveva, dunque, essere risorto a nuova vita.

I vangeli affermano con assoluta certezza due cose: che Gesù era realmente morto sulla croce; che

molte persone lo videro dopo la resurrezione. Videro, cioè, un essere capace di passare attraverso

una porta chiusa, di materializzarsi all'improvviso davanti ai suoi seguaci proprio come fanno gli

spiriti, ma anche di mangiare del pesce e di far toccare le sue piaghe come un vero essere umano.

Secondo gli storici tali apparizioni non sono vere prove di un ritorno dalla morte, sono invece

testimonianze molto convincenti della fede che i suoi discepoli avevano in lui. L'annuncio del

risorto cominciò a diffondersi in un territorio sempre più vasto a mano a mano che coloro che

avevano creduto in lui presero a viaggiare, utilizzando a fini religiosi la fitta rete di comunicazioni

che l'Impero romano aveva creato a scopi militari e di commercio.

Tutte le indagini storiche e archeologiche dimostrano che la nuova religione si sviluppò in luoghi

diversi e con modalità differenti a seconda di come il racconto delle parole e delle azioni di Gesù

veniva riferito passando di bocca in bocca. Come sostengono gli storici, e conferma con

convinzione il professor Cacitti, all'inizio non ci fu un solo cristianesimo, ma diversi cristianesimi

che avevano rilevanti diversità l'uno dall'altro, erano più o meno radicali, più o meno vicini

all'originaria matrice ebraica. Alcune di queste differenze saranno dottrinalmente composte nel

corso dei secoli, di altre continua a esserci traccia anche oggi nelle diverse confessioni che si dicono

cristiane.