LA CIVILTÀ OCCIDENTALE? NON SAREBBE ESISTITA SENZA L'ISLAM
Sabina Moranti
Liberazione - 13-4-2008
Filosofia, matematica, medicina, astronomia... mentre l'Europa si dibatteva nell'oscurantismo la cultura araba fioriva in libertà
E' l'alba di un giorno scuro e piovoso. Un
ragazzo si nasconde fra la folla per assistere alla tortura e all'esecuzione del
suo maestro, la cui unica colpa è stata quella di avere diffuso le conoscenze
sacrileghe e blasfeme degli antichi filosofi greci. Sul rogo, insieme al
filosofo, bruciano infatti le traduzioni proibite in un'Europa dominata dalla
superstizione e dalla violenza dei signori della guerra che regnano
incontrastati. Dopo avere assistito all'atroce spettacolo il ragazzo scappa
verso Sud portando con sé alcune opere del maestro, deciso ad abbandonare
quelle terre di oppressione e di oscurantismo. Quando finalmente riesce a
valicare i Pirenei gli si apre davanti una terra ricca e pacifica, dove le donne
discutono alla pari con gli uomini e dove i libri, invece di essere distrutti,
vengono conservati nelle biblioteche pubbliche.
E' l'inizio de Il destino , un film di qualche anno fa ambientato nei secoli più
bui del Medioevo che il regista egiziano Youssef Chahine ha dedicato alla vita
di uno dei più importanti filosofi della storia, Averroè, il cui razionalismo
influenzò fortemente gli intellettuali occidentali dell'epoca. Dante, fra gli
altri, si considerava un "averroista" convinto e l'intero pensiero
islamico era una vera e propria boccata di ossigeno fra i cristiani illuminati
che mal sopportavano la soffocante cappa di censura e superstizione che era,
all'epoca, la caratteristica principale della cristianità. I libri di Averroè
venivano contrabbandati, le sue dottrine trasmesse e le sue parole imparate a
memoria per non incorrere nelle ire dell'Inquisizione. Spostando il punto di
vista come ha fatto il regista, e riportando alla luce la storia rimossa di quei
secoli oscuri, si capisce che la religione ha ben poco a che fare con i
fondamentalismi di ogni epoca e di ogni latitudine.
Lo spiazzamento del pubblico occidentale nei confronti di un film girato per
denunciare il fondamentalismo islamico attuale, non stupisce. Ci hanno insegnato
che i secoli che separano la caduta dell'impero romano dal rinascimento sono
stati anni di paura e barbarie, ma non ci è stato spiegato che ne siamo usciti
unicamente perché siamo venuti in contatto con la civiltà più ricca e più
evoluta dell'epoca, appunto l'Islam. Pochi occidentali sanno che, mentre
l'Europa veniva spopolata dalle malattie e dalla fame, a Sud fioriva una civiltà
che aveva come capitali Baghdad e Damasco, una civiltà cui noi occidentali
dobbiamo la salvezza del patrimonio che consideriamo fondativo per la nostra
cultura: la filosofia greca. Se gli studiosi dell'epoca di Solimano e del
Saladino non avessero fatto propria la grande filosofia antica non avremmo né
Platone né Aristotele perché la raffinata rete dei traduttori arabi,
attraverso i quali ci sono pervenute le loro opere, non sarebbe esistita. Né,
del resto, sarebbe potuta nascere la scienza moderna senza la libertà di
studiare e sperimentare concessa ai matematici e agli scienziati arabi, il cui
contributo è stato completamente cancellato per fare posto alla propaganda
dello scontro fra civiltà.
Nell'ottica di Allah
Beltegeuse, Rigel, Aldebaran, Algol e Sirrah. Le stelle parlano arabo da secoli,
da quando scienza, civiltà e tecnologia se ne stavano al di là del
Mediterraneo, e i barbari sporchi, ignoranti e poveri che calavano per razziare
le ricche città o per emanciparsi attraverso lo studio nelle rinomate università
locali, eravamo noi. Per secoli la filosofia, la matematica e la medicina, per
non parlare dell'astronomia, della chimica o dell'ottica, sono state islamiche,
nel senso che l'Islam ha trasmesso e rielaborato le antiche discipline egizie,
babilonesi, indiane e greche, e ne ha fondate di proprie. Un debito, quello nei
confronti della scienza islamica, di cui si trovano innumerevoli tracce nel
linguaggio stesso di molte discipline moderne che consideriamo, a torto, figlie
della superiore "civiltà occidentale" ma che i nostri progenitori
riconoscevano appieno, facendo di tutto per procurarsi i testi scientifici degli
"infedeli".
L'origine della scienza islamica affonda nei nostri secoli più bui. Gli arabi
avevano già preso a studiare il cielo, raccogliendo l'eredità dei greci e
degli indiani, già nel VIII° secolo e nell'828 fu costruito a Baghdad il primo
osservatorio astronomico del mondo. L'astronomia andava di pari passo con
l'ottica e con lo studio della fisiologia dell'occhio: se ne ritrovano tracce
nell'origine araba di termini medici come "retina" o
"cataratta". L'amore della cultura musulmana per tutto ciò che aveva
a che fare con la visione ha indubbiamente radici religiose, ma l'afflato
mistico non deve trarre in inganno: la scienza islamica era sostanzialmente
empirica - cioè amava sperimentare - e fortemente matematizzata, cosa questa
che fa affermare ad alcuni storici che siano stati proprio gli arabi a
insegnarci i primi rudimenti della formalizzazione matematica, caratteristica
principale della scienza occidentale doc. Ibn Al-Haitham, ad esempio, noto in
occidente con il nome di Alhazen, è considerato il massimo esperto di ottica
tra Tolomeo e Witelo. L'alta considerazione di cui godeva anche fra i
contemporanei non deve stupire: già intorno all'anno Mille Alhazen combinava
elaborati trattamenti matematici con i modelli fisici e un'accurata
sperimentazione, dando così una svolta empirica all'indagine scientifica, cosa
che, in Occidente, avverrà solo dopo cinque secoli.
I calcoli degli astronomi e degli studiosi di ottica arabi furono possibili solo
perché gli strumenti matematici erano già altamente sviluppati. L'apporto
degli arabi alla scienza del calcolo fu così importante che non se ne è persa
memoria e infatti uno dei pochi debiti che gli occidentali non hanno dimenticato
è l'invenzione dello zero che rese possibile la nascita del calcolo
posizionale, quello in colonne per intenderci. L'introduzione dei numeri indiani
- da noi chiamati arabi - e lo sviluppo dell'algebra, fecero il resto. Un nome
per tutti è quello del grande matematico del IX° secolo, Al Khwarizmi, che
scrisse il Libro del compendio nel processo di calcolo per trasporto ed
equazione , più volte tradotto in latino e diffuso in Europa con il nome di
Liber Algorismi , una latinizzazione del suo nome da cui deriva il termine
"algoritmo".
La medicina
Per secoli la medicina araba è stata talmente più avanzata di quella
occidentale da indurre gli stessi crociati a servirsi dei dottori
cavallerescamente offerti dal nemico assediato. Gli arabi conoscevano infatti i
testi greci di Ippocrate e di Galeno, che l'Europa aveva perduto, insieme alle
molte nozioni derivanti dalle teorie e dagli esperimenti degli alessandrini che
si erano diffuse nell'Egitto ellenizzato e in Asia minore. L'arrivo in Occidente
delle traduzioni di Platone e Aristotele rese accessibile agli studiosi del
barbaro Nord anche le teorie dei filosofi e dei medici islamici. Per circa due
secoli la filosofia greca è stata infatti studiata nelle versioni arabizzate
tratte dai commenti del razionalista Averroè o del mistico Avicenna, i più
importanti filosofi dell'Islam, ed è a queste versioni che si riferivano i
nostri filosofi. A Bologna come a Parigi gli studenti, ma anche i padri del
dogma cattolico come San Tommaso d'Aquino, dovettero piegarsi alla superiorità
della sapienza araba del tempo.
Ma Avicenna non era soltanto un filosofo. Mentre nei villaggi nordici che in
seguito divennero noti con il nome di Parigi o di Londra, si curavano le
malattie con gli incantesimi, nel profondo Sud veniva fondata la medicina
moderna. Il Canon medicinae di Ibn Sina, nome originale appunto del grande
Avicenna, è stato praticamente l'unico libro di testo degli studenti di
medicina per quasi tre secoli e ha continuato, per tutto il Rinascimento, a
essere il libro più stampato in Europa. Ma Avicenna è in buona compagnia. Fu
l'arabo Al-Razi a fondare l'ostetricia e a fornire la prima descrizione
scientifica del vaiolo e del morbillo - e a prospettare la possibilità di
immunizzare i sani attraverso le secrezioni dei malati - mentre Ibn Nafis fu il
primo a descrivere il meccanismo della circolazione sanguigna. Tutti nomi
ignorati dai manuali di storia della medicina che riportano solo le date - e gli
autori - delle ri-scoperte occidentali.
Con le sue grandi intuizioni, come l'ipotesi dell'esistenza dei microbi e i
primi esperimenti con i vaccini, la medicina araba era decisamente
all'avanguardia nella teoria così come lo era nell'insegnamento e nella
pratica. Nelle scuole di medicina islamiche si cominciò a pretendere che gli
studenti si misurassero con la pratica clinica oltre che con i testi e per
favorire l'apprendistato, oltre che per il controllo delle epidemie, venne
abbracciata un'idea del tutto nuova: raggruppare i malati in una struttura dove
i medici avrebbero potuto assisterli e gli studenti imparare dalla pratica dei
propri maestri. Venne inventato insomma quello che, per dirla con parole
moderne, è il policlinico universitario, che fece la sua comparsa in Europa
solo nel diciannovesimo secolo. A Damasco la prima struttura ospedaliera del
mondo venne costruita esattamente mille e cento anni prima: nel 707 dopo Cristo,
data che lascia un tantino allibiti visto che, a quell'epoca, dalle nostre parti
ancora non si pensava nemmeno ai lazzaretti.
Malgrado un'attenzione particolare per l'aspetto psicosomatico che colpisce per
la sua modernità, l'approccio medico islamico era sostanzialmente razionalista
e si basava su approfondite conoscenze anatomiche che gli europei, a cui non era
consentito lo studio dei cadaveri, non potevano avere. Del resto il tabù sulle
autopsie rimase valido in tutta la cristianità almeno fino al XVII° secolo e
oltre - come testimoniano le rocambolesche "avventure" dei pittori
rinascimentali, più note di quelle dei loro contemporanei medici. Ma un'altra
caratteristica che rendeva i dottori arabi estremamente efficienti rispetto ai
colleghi occidentali, era la possibilità di disporre di una quantità
incredibile di sostanze provenienti dagli estesi domini dei califfi - ovvero
sali, acidi, alcaloidi ed erbe - che rifornivano il prontuario con una serie di
rimedi degni di una moderna farmacia. L'alchimia, da cui trae origine la moderna
chimica, era infatti un altro settore particolarmente fecondo della scienza
islamica.
A tutta chimica
Lo sviluppo dell'alchimia proviene dall'altro grande filone culturale che si unì
a quello greco per dare luogo alla scienza islamica, ovvero le antichissime
conoscenze provenienti dall'India e dalla Cina. Nel periodo della sua massima
espansione, infatti, l'Islam si estendeva dall'India alla Spagna passando per la
Persia, il nord-Africa e la Sicilia. La capitale venne spostata da Damasco a
Baghdad dove, grazie alla grande tolleranza culturale del califfo Harum
al-Rashid (786-809 d.C.), cominciarono a convergere i saperi e le tradizioni dei
popoli conquistati. Sotto il regno dell'Illuminato, come venne chiamato il
califfo più volte citato in Le mille e una notte , venne fondata e sviluppata
la "Casa della sapienza", ovvero un centro di mecenatismo finanziato
dallo Stato che sorgeva intorno a una grandiosa biblioteca inter-religiosa.
Nella Casa della sapienza cominciarono ad affluire da tutto il mondo studiosi e
religiosi, pensatori e praticanti, in un'atmosfera di libertà intellettuale mai
conosciuta prima, e Baghdad diventò per la scienza quello che Atene era stata
per l'arte durante l'età di Pericle.
Fu in questo clima che l'alchimia si sviluppò e cominciò a cimentarsi con la
produzione di alcune sostanze utili. La chimica islamica, libera dalle condanne
e dai pregiudizi religiosi che in Europa la condannarono alla clandestinità
fino ai tempi di Newton, a Baghdad ebbe la possibilità di svilupparsi come una
scienza e una tecnologia specifica, separandosi molto presto dalle sue origini
magiche. Jabir ibn Hayyan, il più famoso alchimista arabo vissuto nella seconda
metà del VII° secolo, perfezionò il processo di distillazione dell'alcool (la
cui etimologia deriva appunto dalla parola araba "al-ghul"),
costruendo nuovi tipi di alambicchi. E' da notare che la preparazione e la
produzione dell'alcool a uso medicinale fu consentita, malgrado la ben nota
proibizione coranica.
Un altro importante frutto degli esperimenti dei chimici di Baghdad furono i
progressi relativi alla fabbricazione della carta, che utilizzarono e
migliorarono gli antichi metodi importati dalla Cina. Nel 793 venne fondata a
nella capitale una vera e propria fabbrica che, attraverso una produzione
semi-industriale, ricavava la carta da una pasta di fibre di canapa e di gelso
mescolate ad allume e colla. E con la produzione della carta su larga scala,
ovviamente, la diffusione dei libri nel mondo islamico divenne molto più rapida
e immensamente più economica, anche se bisognerà aspettare l'invenzione della
stampa in Occidente - più di sette secoli dopo - per arrivare alla possibilità
di un accesso davvero universale al sapere scritto.