Quando erano italiani gli immigrati da linciare
di Gian Antonio Stella
“Corriere della Sera” del 10.10.2008
«Acque-Morte ci addita l'orrenda / Ecatombe di vittime inulte!/ No, jamais, sì ferale tregenda / In
Italia obliata sarà» tuona indignata la poesia
Il grido d'Italia per le stragi di Aigues-Mortes,scritta di getto da Alessandro Pagliari, nel 1893, a ridosso del massacro. Invece è successo. L'Italia
ha dimenticato quella feroce caccia all'italiano nelle saline della Camargue, alle foci del Rodano,
che vide la morte di un numero ancora imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani.
Basti dire che, stando all'archivio del
Corriere della Sera, le (rapide) citazioni della carneficina dal1988 a oggi sui nostri principali quotidiani e settimanali sono state otto. Per non dire degli articoli
dedicati espressamente al tema: due. Due articoli in venti anni. Contro i 57 riferimenti ad Adua, i
139 a El Alamein, i 172 a Cefalonia… Eppure, Dio sa quanto ci sarebbe bisogno, in Italia, di
recuperare la memoria.
Che cosa fu, Maurice Terras, il primo cittadino del paese, se non un «sindaco-sceriffo» che cercò
non di calmare gli animi ma di cavalcare le proteste xenofobe dei manovali francesi contro gli
«intrusi» italiani? Rileggiamo il suo primo comunicato, affisso sui muri dopo avere ottenuto che i
padroni delle saline, sotto il crescente rumoreggiare della folla, licenziassero gli immigrati: «Il
sindaco della città di Aigues-Mortes ha l'onore di portare a conoscenza dei suoi amministrati che la
Compagnia ha privato di lavoro le persone di nazionalità italiana e che da domani i vari cantieri
saranno aperti agli operai che si presenteranno. Il sindaco invita la popolazione alla calma e al
mantenimento dell'ordine. Ogni disordine deve infatti cessare, dopo la decisione della Compagnia».
Per non dire del secondo manifesto che, affisso dopo la strage, toglie il fiato: «Gli operai francesi
hanno avuto piena soddisfazione. Il sindaco della città di Aigues-Mortes invita tutta la popolazione
a ritrovare la calma e a riprendere il lavoro, tralasciati per un momento. (...) Raccogliamoci per
curare le nostre ferite e, recandoci tranquillamente al lavoro, dimostriamo come il nostro scopo sia
stato raggiunto e le nostre rivendicazioni accolte. Viva la Francia! Viva Aigues-Mortes!».
È vero, grazie al cielo da noi non sono mai divampati pogrom razzisti contro gli immigrati neppure
lontanamente paragonabili a quelli scatenati contro i nostri nonni. Non solo ad Aigues-Mortes ma a
Palestro, un paese fondato tra Algeri e Costantina da una cinquantina di famiglie trentine e spazzato
via nel 1871 da una sanguinosa rivolta dei Cabili. A Kalgoorlie, nel deserto a 600 chilometri da
Perth, dove gli australiani decisero di «festeggiare » l'Australian Day del 1934 scatenando tre giorni
di incendi, devastazioni, assalti contro i nostri emigrati. (...) Ma soprattutto negli Stati Uniti dove,
dal massacro di New Orleans a quello di Tallulah, siamo stati i più linciati dopo i negri. Al punto
che un giornale democratico, ironizzando amaro sui ridicoli risarcimenti concessi ai parenti dei
morti, arrivò a pubblicare una vignetta in cui il segretario di Stato americano porgeva una borsa
all'ambasciatore d'Italia e commentava: «Costano tanto poco questi italiani che vale la pena di
linciarli tutti».
È vero, da noi non sono mai state registrate esplosioni di violenza xenofoba così. È fuori
discussione, però, che i germi dell'aggressività verbale che infettarono le teste e i cuori di quei
francesi impazziti di odio nelle ore dell'eccidio somigliano maledettamente ai germi di aggressività
verbale emersi in questi anni nel nostro Paese. Anzi, sembrano perfino più sobri.
Maurice Barrès scriveva nell'articolo
Contre les étrangers su Le Figaro, che «il decremento dellanatalità e il processo di esaurimento della nostra energia (...) hanno portato all'invasione del nostro
territorio da parte di elementi stranieri che s'adoprano per sottometterci ». Umberto Bossi è andato
più in là, barrendo al congresso della Lega di qualche anno fa: «Nei prossimi dieci anni vogliono
portare in Padania tredici o quindici milioni di immigrati, per tenere nella colonia romanocongolese
questa maledetta razza padana, razza pura, razza eletta».
Le Mémorial d'Aix
scriveva che gli italiani «presto ci tratteranno come un Paese conquistato » e«fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi». Il sindaco di Treviso
Giancarlo Gentilini ha tuonato che «gli immigrati annacquano la nostra civiltà e rovinano la razza
Piave» e occorre «liberare l'Italia da queste orde selvagge che entrano da tutte le parti senza freni»
per «rifare l'Italia, l'Italia sana, in modo che non ci sia più inquinamento». (...) Per non dire del
problema della criminalità. Quella dei nostri emigranti accecava i francesi che sul
Memorial d'Aixdenunciavano come «la presenza degli stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente,
spesso questi operai sono delle spie; generalmente sono di dubbia moralità, il tasso di criminalità è
elevato: del 20%, mentre nei nostri non è che del 5». Quella degli immigrati in Italia, per quanto sia
reale, fonte di legittime preoccupazioni e giusta motivazione al varo di leggi più severe, acceca certi
italiani. Fino a spingere il futuro capogruppo al Senato del Popolo della Libertà, Maurizio Gasparri,
a sbraitare dopo il massacro di Erba parole allucinate: «Chi ha votato l'indulto ha contribuito a
questo eccidio. Complimenti. Ha fruito di quel provvedimento anche il tunisino che ha massacrato il
figlio di due anni, la moglie, la suocera e la vicina a Erba». L'europarlamentare Mario Borghezio
riuscì a essere perfino più volgare: «La spaventosa mattanza cui ha dato luogo a Erba un
delinquente spacciatore marocchino ci prospetta quello che sarà, molte altre volte, uno scenario a
cui dobbiamo abituarci. Al di là dell'“effetto indulto”, che qui come in altri casi dà la libertà a chi
certo non la merita, vi è e resta in tutta la sua spaventosa pericolosità una situazione determinata da
modi di agire e di reagire spazialmente lontani dalla nostra cultura e dalla nostra civiltà». Chi
fossero gli assassini si è poi scoperto: Rosa Bazzi e Olindo Romano, i vicini di casa xenofobi e
razzisti. Del tutto inseriti, apparentemente, nella «nostra cultura e nella nostra civiltà».
Insistiamo: nessun paragone. Ma gelano il sangue certe parole usate in questi anni. Come un
volantino nella bacheca di un'azienda di Pieve di Soligo: «Si comunica l'apertura della caccia per la
seguente selvaggina migratoria: rumeni, albanesi, kosovari, zingari, talebani, afghani ed
extracomunitari in genere. È consentito l'uso di fucili, carabine e pistole di grosso calibro. Si
consiglia l'abbattimento di capi giovani per estinguere più rapidamente le razze». (...) Per irridere
amaramente a certi toni tesi a cavalcare l'odio e la paura, l'attore Antonio Albanese ha creato
insieme con Michele Serra un personaggio ironicamente spaventoso: «Io sono il ministro della
paura e come ben sapete senza la paura non si vive. (…) Una società senza paura è come una casa
senza fondamenta. Per questo io starò sempre qua, nel mio ufficio bianco, alla mia scrivania bianca,
di fronte al mio poster bianco. Con tre pulsanti, i miei attrezzi da lavoro: pulsante giallo, pulsante
arancione, pulsante rosso. Rispettivamente poca paura, abbastanza paura, paurissima». C'è da
ridere, e si ride. Ma anche da spaventarsi. E ci si spaventa.
Ecco, in un contesto come questo, in cui perfino un presidente del Consiglio come Silvio Berlusconi
arriva a sbuffare a
Porta a Porta sulla xenofobia imputata alla sua coalizione dicendo di non capire«perché questa parola dovrebbe avere un significato così negativo », il libro di Enzo Barnabà sul
massacro dei nostri emigranti ad Aigues-Mortes è una boccata di ossigeno. Perché solo ricordando
che siamo stati un popolo di emigranti vittime di odio razzista, come ha fatto il vescovo di Padova
Antonio Mattiazzo denunciando «segni di paura e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e
la xenofobia, spesso cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un'informazione che deforma la
realtà», si può evitare che oggi, domani o dopodomani si ripetano altre cacce all'uomo. Mai più
Aigues- Mortes. Mai più.