La
crisi: il silenzio della Chiesa
p.
José Maria Castillo, teologo
Diamo
per assunto che è rischioso affermare che il papa, i cardinali e i vescovi, così
come sono, non abbiano detto nulla riguardo un tema di cui
Ma
il fatto è che l’opinione pubblica conosce perfettamente la posizione della
gerarchia riguardo l’aborto, l’eutanasia, il divorzio, l’omosessualità,
l’uso dei contraccettivi, la scelta dell’istruzione per i
cittadini, ecc., mentre la gente non ha idea di ciò che pensino i
vescovi rispetto alla crisi del sistema finanziario, la crisi delle banche,
l’impennata dei prezzi, la disoccupazione, lo smaltimento dei rifiuti, la sete
di potere che, secondo il Commissario degli Affari Economici della Unione
Europea, Joaquìn Almunia, è alla radice di questa crisi, assai profonda,
oscura e di estrema gravità.
E’
vero che le questioni di ordine economico presuppongono conoscenze tecniche, che
non sono alla portata di tutti, né tanto meno dei vescovi che si suppone
abbiano ricevuto la necessaria formazione e preparazione ad informare, come
pastori, i fedeli su ciò che devono pensare in relazione alle proprie scelte di
vita e di coscienza.
Siamo
d’accordo sul fatto che siano gli economisti a parlare di economia. Ma, se
questo criterio è corretto, saranno i biologi a parlare di biologia.
Perché
allora i vescovi si esprimono con tanta sicurezza su questioni come le cellule
staminali, il termine della vita, gli esperimenti scientifici su embrioni e
sulla fecondazione in vitro, se la maggior parte dei prelati si intende di
biologia meno di quanto non si intenda di economia ?
Sinceramente,
temo che il silenzio dei vescovi sui temi economici non sia dovuto a semplice
ignoranza, ma ad altre oscure motivazioni. Perché affermo questo ?
Pochi
giorni fa, il presidente del Parlamento Europeo ha dichiarato senza giri di
parole: «Non si possono dare 700.000 milioni (di dollari) alle banche e
dimenticarsi dell’uomo».
Perché
questa somma così grande di denaro viene riservata ai ricchi affinché si
sentano più sicuri e tranquilli nella loro condizione privilegiata, mentre,
come ben sappiamo, abbiamo ancora 800 milioni di esseri umani che vivono con
meno di un dollaro al giorno, che quindi vivono in condizioni disumane con
limitate prospettive di vita.
Ebbene,
lo scandalo è che i politici denunciano l’atrocità di una “economia
canaglia” (Loretta Napoleoni), proprio quando coloro che si ritengono i
rappresentanti ufficiali di Cristo in terra non alzano la voce contro una
vergogna simile. E’ scontato che io non abbia le soluzioni necessarie per
questa situazione critica che stiamo vivendo, e non sia preparato a fornirne di
adeguate.
L’unica
cosa che posso (e devo) dire è che nella Chiesa abbondano i funzionari e
scarseggiano i profeti. Ho l’impressione che, in questo momento, per uscire
dal ginepraio in cui siamo finiti, ancor più importante della conoscenza degli
economisti, sia l’audacia dei profeti, capaci di informare sull’origine
della cupidigia che, come ho già detto, è alla radice del disastro che stiamo
subendo.
Tutti
sappiamo che la Chiesa denuncia l’ingiustizia. Il problema è che utilizza un
linguaggio troppo generico, come quello del presidente Bush, quando auspica una
giustizia duratura. Nessuno dubita delle buone intenzioni del papa. E neanche
della sua grande personalità e del suo prestigio mondiale.
Ma
la questione è che il papa è il capo supremo di una istituzione presente nel
mondo intero e si sforza di mantenere le migliori relazioni possibili con i
responsabili dell’economia e della politica di ciascun paese.
Ebbene,
dal momento in cui la Chiesa ha adottato questo approccio, è impossibile per
lei esercitare quella missione profetica a difesa dei poveri e delle persone
maltrattate dalla vita e dai poteri di questo mondo.
Chiunque
legga con attenzione i vangeli sa che Gesù, davanti alle autorità e ai ricchi
del suo tempo, non si comportò mai come le gerarchie ecclesiastiche si stanno
comportando oggi rispetto a questa economia canaglia che sta rovinando il mondo.
E’
evidente che le preoccupazioni di Gesù erano molto diverse da quelle della
Chiesa di oggi. Si deve verificare una catastrofe economica come quella che
stiamo vivendo, perché ci rendiamo conto di quali siano i reali interessi degli
‘uomini della religione’. Essi dovrebbero utilizzare il linguaggio della
giustizia e della solidarietà, che è quello appropriato per i nostri tempi, ma
non alzano la voce quando temono che gli interessi della religione possano
essere messi in pericolo.
Questo
è quanto, la conclusione è chiara: l’istituzione religiosa è più
preoccupata di assicurare la stabilità e il buon funzionamento della religione,
che perdere la faccia (con tutto ciò che comporta) per coloro che se la passano
peggio.
E
se questa è la conclusione logica, il risultato è evidente: i ricchi si
sentono sicuri, i poveri rimangono immersi nella loro miseria, e la religione,
con i suoi templi e i suoi funzionari, mantiene il suo corso, nonostante essa
stia diventando ogni giorno più vecchia e senza forze.