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SE LA PAROLA È "SPINA NELLA CARNE" DELLE ISTITUZIONI. IL CONTRIBUTO DELLA COMUNITÀ DI SAN PAOLO AL SINODO DEI VESCOVI


ADISTA n° 68 del 4.10.2008

DOC-2038. ROMA-ADISTA. Rifletterà, l'imminente Sinodo dei vescovi, anche sugli arricchenti stimoli apportati dalla lettura femminile e femminista ad una più profonda comprensione delle Sacre Scritture, oppure il tema “fastidioso” sarà accantonato, perché mette in discussione l'impianto maschilista della Chiesa cattolica romana? E, ancora, l'Assemblea avrà consapevolezza che, anche oggi, le normative del magistero papale, che verbalmente si richiamano alla Bibbia, rischiano talora di darne una interpretazione indebita ed errata, proprio come accadde quando Galileo fu condannato perché ‑ in contrasto con l'apparente ovvietà del geocentrismo biblico ‑ sosteneva l'eliocentrismo?

Sono, questi, alcuni degli interrogativi che emergono dal contributo che la Comunità cristiana di base di San Paolo in Roma ha elaborato in vista dell'Assemblea sinodale che, presenti circa 250 padri provenienti da tutto il mondo, dal 6 al 26 ottobre in Vaticano rifletterà sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Il documento, datato 21 settembre 2008, è stato inviato al card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, e a mons. Nikola Eterovic, segretario generale del Sinodo dei vescovi.

Ripercorrendo la storia della Comunità di san Paolo (una delle massime espressioni del “dissenso cattolico”, sorta negli anni Settanta attorno all'ex abate della basilica Ostiense, Giovanni Franzoni), il testo sottolinea come “le dolorose vicende che circa trentacinque anni or sono hanno allentato ma non reciso i legami che ci uniscono alla Chiesa istituzionale, ci hanno convinto della necessità della riscoperta delle Sacre Scritture (...). Riteniamo che la nostra esperienza, lungi dal volersi proporre come paradigmatica, e malgrado i suoi limiti, abbia tuttavia un suo valore significativo”.

Secondo il documento, “fu un grande dono di Dio alle Chiese che, nel secolo XVI, Martin Lutero, Giovanni Calvino e gli altri Riformatori denunciassero i guasti enormi che gravavano sulle Chiese a causa della loro dimenticanza della Parola di Dio, sostituita dal ricorso alle tradizioni umane, alla filosofia, alla letteratura, e perfino alla fantasia. Ma purtroppo la Controriforma tridentina portò, di fatto, a togliere dalle mani dei cattolici la Bibbia, con le pessime conseguenze derivanti da questa amputazione. Grazie a Dio, il rinnovamento biblico del Novecento, e soprattutto il Concilio Vaticano II, hanno rimesso in mano ai cattolici le Sacre Scritture: molto è stato fatto, ma moltissimo ‑ ci sembra ‑ resta ancora da fare perché tale 'riscoperta' porti, anche attraverso il dialogo ecumenico, i suoi frutti”.

E, insieme ai frutti, anche “una spina nella carne” (2Cor 17,7) delle istituzioni: “Ogni Chiesa ‑ conclude il testo ‑ si fonda sulla Parola e sulla Cena del Signore; ma, per molti aspetti, la grande nemica delle Chiese istituzionali non è il mondo, non sono i non cristiani, non sono gli atei o gli agnostici, non è la secolarizzazione, ma è proprio la Parola, perché essa le mette in crisi, le contesta, relativizza le istituzioni da esse create, le pungola continuamente a convertirsi ed a decidere di perdere la loro vita per amore di Gesù e degli umiliati ed umiliate del mondo”.

Di seguito il testo integrale del documento.

 

SE I CRISTIANI NON AVESSERO DIMENTICATO LE SCRITTURE


  Comunità cristiana di base di San Paolo

Premessa

Come già avvenuto in occasione delle precedenti Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei vescovi, anche in vista di quella imminente dedicata a “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, la nostra Comunità intende offrire un suo contributo dopo aver attentamente riconsiderato la propria esperienza alla luce dell’Instrumentum laboris [I.L.], il testo da cui si avvierà il dibattito sinodale.

Infatti, a partire dalle dolorose vicende che circa trentacinque anni or sono hanno allentato ma non reciso i legami che ci uniscono alla Chiesa istituzionale (1), l’esigenza di sopravvivere come Comunità di credenti in Cristo e a Lui uniti mediante il battesimo ci ha convinti della necessità della riscoperta delle Sacre Scritture, non più soltanto come oggetto di conoscenza, di preghiera o di edificazione spirituale, ma come presupposto e linfa di vita (cf. specialmente il § 34 di I.L.).

Ci siamo dovuti dunque, in queste circostanze storiche, confrontare in modo nuovo con la parola di Dio contenuta nelle Scritture e con la tradizione ecclesiale che su di esse, ma già all’interno di esse (2), si era andata formando.

Per queste considerazioni, riteniamo che la nostra esperienza, lungi dal volersi proporre come paradigmatica, e malgrado i suoi limiti, abbia tuttavia un suo valore significativo, anche se rapportata alle affermazioni di I.L.: “È nelle piccole Comunità, nei Gruppi biblici, nei movimenti ecclesiali che maggiormente e in modo più approfondito ci si confronta con la Parola di Dio” (cf. i §§ 7a e b; 18c; 22e; 26b; incipit cap. 4; 32).

Uno dei temi sui quali abbiamo dovuto sin dall’inizio riflettere è quello, toccato più volte anche dall’I.L. direttamente o indirettamente (es.: Prefaz. 3° cpv; §§ 13, 14, 16, 18, 22a, 30, 40, 48), del rapporto tra Spirito santo, Sacre Scritture e Chiesa “docente”; tra Maestri e uditori, i quali ultimi, se il terreno è buono (§ 18), forse diventeranno discepoli e a loro volta Maestri o piuttosto, auspicabilmente e a seconda delle circostanze, talvolta maestri e sempre discepoli, sapienti e sempre alla ricerca della Verità, pecore e pastori come Gesù che, sommo Pastore al quale le “pecore” devono “andare dietro” (Mt 17,23), è anche l’Agnus Dei che prende su di sé i peccati del mondo.

È proprio su questo tema, la cui grande importanza ecclesiologica non sfugge certo ai vescovi (cf. in particolare § 29 I.L.), che un incontro a così alto livello dedicato appunto alla “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” potrebbe aiutare a fare chiarezza. Sulla base della nostra marginale esperienza osiamo in merito esprimere un auspicio, confessare un’utopia, elevare una preghiera: che la sollecitudine per l’unità della Chiesa che agli inizi del II secolo indusse S. Ignazio di Antiochia a battersi con tanta convinzione per esaltare la figura monocratica del vescovo, tanto da dire Ubi episcopus ibi Ecclesia – ma che finì col tempo per scavare un solco anomalo tra Chiesa di vertice e Chiesa di base –, possa oggi essere egualmente salvaguardata proprio grazie al coinvolgimento, attraverso una più ampia e profonda conoscenza delle Scritture, di tutto il “popolo di Dio” e anche delle comunità più emarginate, tanto che si arrivi un giorno a tornare a dire, come nelle prime Comunità, Ubi Ecclesia ibi Episcopus (3).

 

1) La nostra esperienza

Al momento (1973) della nostra uscita dalla Basilica di san Paolo, continuavano a vivere tra noi quei pastori che fino a quel momento ci avevano accompagnato su pascoli abbondanti e aiutato a crescere con la loro sapienza e saggezza, non gelosi delle loro prerogative ma desiderosi quasi di spogliarsi degli strumenti e del corredo di conoscenze di cui la grazia del Signore e la loro fatica li avevano forniti per condividerli con tutti, affinché tutti crescessero e loro diminuissero, non nel sapere e nell’autorevolezza, ché anzi si erano accresciuti nel contatto con la Comunità, ma nella loro ostentazione.

Non avremmo potuto percorrere da soli – senza pastori e in particolare senza Giovanni Franzoni, allora abate della basilica di san Paolo e attorno al quale sin dall’inizio si era raccolta la Comunità – la strada impervia che ci si parava dinnanzi una volta perdute le consuetudinarie certezze da secoli custodite tra le spesse mura della basilica Ostiense. Ebbene, questi pastori – censurati non per motivi di fede, ma politici e disciplinari, a causa del loro sollecito impegno, giudicato eccessivo e imprudente dalle gerarchie ecclesiastiche, di voler incarnare nella Chiesa, nel mondo e in particolare tra i poveri lo spirito di rinnovamento, così vicino alle ragioni ideali e iniziali del cristianesimo, che emergeva dal Concilio Vaticano II – hanno continuato a camminare con noi. E in questo cammino, dobbiamo ricordarlo, non tutta la Chiesa gerarchica ci fu ostile: amiamo menzionare almeno mons. Clemente Riva, di venerata memoria, negli anni Settanta/Ottanta, nel Vicariato di Roma, vescovo ausiliare per il settore Sud. Egli, in una delle sue varie visite di preghiera e di ascolto, affermò di vedere in noi “una Comunità di credenti, in ricerca di fede, del suo settore”.

D’altronde, l’alternativa era la fine di questa esperienza dal basso e la dispersione della comunità, il che, osiamo affermare a 35 anni di distanza, non sarebbe stato un bene per nessuno. I medesimi pastori, ai quali si sono via via aggiunti, in modi e per periodi diversi, vari esperti in scienze bibliche, chierici e laici (come dimenticare il nostro carissimo amico Giuseppe Barbaglio, prematuramente scomparso?), hanno sin dall’inizio favorito, aiutato, raccomandato l’approfondimento della parola di Dio.

È in tale contesto che fiorì un fruttuoso interagire tra “esperti” e comuni fedeli; quelli, solleciti nel moderare gli entusiasmi interpretativi e nel richiamare alla necessità di uno studio serio, condotto sulla base di criteri riconosciuti, in particolare del metodo storico-critico; questi altri, invece, ricordando loro, con l’affollarsi di domande relative alle scelte da fare in quel delicato frangente e al fondamento scritturale degli atti liturgici e sacramentali compiuti, che non si trovavano in un’aula accademica ma in una Comunità viva nella quale si cercava, senza presunzioni ma tuttavia con fiducia, di incarnare la Parola (cf. § 9b; 10 cpv.; *12; 16 cpv. I.L.).

Del resto – come già notammo nel 2004, nel nostro contributo al Sinodo dei vescovi che l’anno successivo avrebbe riflettuto sull’Eucaristia – siamo ben consapevoli dei problemi complessi legati al rapporto Rivelazione / Parola di Dio / Scritture / Responsabilità degli “agiografi” (i redattori dei libri biblici); e della varietà di interpretazioni che  lungo la storia, e anche oggi, nelle Chiese e in particolare nel mondo teologico, sono state date e si danno a questo intreccio. Anche nella nostra Comunità vi è sempre stato, in proposito, e vi è tuttora, un pluralismo di opinioni. Sappiamo bene che se le Scritture ebraiche e cristiane contengono un messaggio d’amore del Signore per l’umanità, tale messaggio è espresso con deboli parole umane e, spesso, quasi sepolto o nascosto da espressioni fin troppo umane, che trasudano di pregiudizi, e spesso anche di violenza, e sono gravate da insuperabili limiti culturali. È dunque impresa necessaria, ma ardua e delicata, distinguere tra la Parola e le parole, tra il cuore del messaggio e il suo rivestimento inevitabilmente limitato, come del resto dimostra anche la Chiesa cattolica ufficiale che – tanto per fare un esempio – era convintissima che il geocentrismo fosse chiaramente affermato dalle Scritture, e dunque fosse Parola di Dio permanente e indiscutibile; e perciò il papato condannò Galileo che sosteneva la “eresia” dell’eliocentrismo. Un “equivoco” clamoroso che il magistero ecclesiastico potrebbe riproporre anche oggi, in altri ambiti.

 

2) Alcuni punti più importanti

Senza ripercorrere analiticamente, in questa sede, la nostra esperienza fatta allora, e che continua tuttora, della Parola di Dio e i frutti copiosi che a nostro avviso ne sono scaturiti per la vita della Comunità e dei singoli, tentiamo di riassumere alcune delle impressioni più vive che sul tema del Sinodo la memoria ci rende presenti, nella speranza che ciò sia di impulso per altre persone e Comunità, le quali, nella differenza delle loro storie e posizioni, siano però seriamente interessate a questa gioia di conoscenza, pane di vita e strumento di unità che è la Parola di Dio:

a) abbiamo innanzi tutto sperimentato, e non ci stanchiamo di ripeterlo, che lo studio delle Sacre Scritture è tanto più proficuo quanto più l’ascolto tra “docenti” e “discenti” è reciproco, ed entrambi siano attenti all’ascolto dello Spirito santo, che è sopra a tutti e si manifesta talvolta nei modi più inattesi e attraverso le persone più impensate: i piccoli, i poveri, gli emarginati (Mt 11, 25 e par.) (4).

b) Abbiamo altresì sperimentato quanto sia vera la parola di Isaia (55, 9-11) citata come “occhiello” alla parte seconda dell’Instrumentum circa l’alterità di tale Parola rispetto alle nostre intelligenze ed esigenze (dopo 35 anni, certi passi ci sorprendono ancora ogni volta per la loro freschezza e ricchezza di significati), ma siamo stati anche confermati nella fiducia che, avendo tale Parola scelto di incarnarsi nella fragile umanità delle donne e degli uomini di questo nostro mondo, essa è per tutti: tutti se ne devono sentire destinatari e in tutti, individui e comunità di cui fanno parte, accresce vita e speranza (§ 41 I.L.).

c) In conseguenza siamo anche edotti che chi affronta lo studio delle Sacre Scritture non può fare a meno di tenere presenti, per quanto è possibile, le precedenti interpretazioni, specialmente quelle che sono state assunte al livello “magisteriale”; ma anche che non dovrebbe sacrificare a queste la sua libertà di ricerca. Accettare, per eccesso di ubbidienza o per pigrizia, le spiegazioni date senza esserne intimamente convinti; accantonare i passi difficili; rifiutare come eretiche o pericolose certe opinioni prima di discuterle con serenità non serve a niente, anzi diminuisce nel credente la capacità di  “rendere ragione della propria speranza” (I Pt 3,15, il che oggi potrebbe forse avvenire più facilmente che in passato dato il progresso della ricerca biblica), e lo rende facile preda di fondamentalismi e sétte. Questo è un modo per “disincarnare” la Parola e nel momento del giudizio, come insegna un midrash, non ci potremo giustificare col dire: “mi è stato insegnato così”, anzi il Maestro sarà chiamato corresponsabile. Occorre, sempre e per tutti, “franchezza, coraggio, spirito di povertà, umiltà, coerenza, cordialità”, come bene dice l’ultimo capoverso del § 43 dell’Instrumentum. Di alcuni passi (5) si sente parlare nelle aule universitarie e nei libri degli specialisti; qualche volta in specifiche conferenze; quasi mai nei mezzi di comunicazione di massa e ben poco o per nulla nelle omelie domenicali, che sono poi per la maggior parte dei cristiani l’unico approccio, frammentario e saltuario, alle Scritture. “Per non scandalizzarli”, si dice. Ebbene, questi cristiani rischiano di rimanere sempre in quella fragile minorità che non piaceva all’apostolo Paolo (I Cor 3,1 sgg. e 14,20; Fil 1,9; cf. Ebr 5, 11-14). Dal latte, magari attraverso i biscotti, occorre avere il coraggio di passare al cibo solido perché, con tutto il rispetto per la “santa ignoranza” di individui isolati (6), è una fede matura il presupposto per un vero recupero dei laici, uomini e donne, come popolo di Dio capace di assumersi corresponsabilità nella gestione della Chiesa. Che è poi un aspetto costitutivo della Chiesa apostolica, mentre oggi il termine “apostolico” ricorda solo la gerarchia. Quante volte invece noi cristiani siamo simili a frutti di serra, belli, ma deludenti nella sostanza, non paragonabile a quella dei frutti cresciuti sul campo, che magari appaiono raggrinziti, ma che in realtà sono buonissimi e nutrienti.

Lo scarso amore e lo scarso interesse per le Scritture, lamentato qua e là nell’Instrumentum, potrebbe essere dovuto alla misconoscenza della loro ricchezza e attualissima validità nonché alla sottovalutazione degli effetti che potrebbe avere sulla vita personale e comunitaria una loro lettura approfondita, senza pregiudizi e sensibile alle nuove esigenze e conoscenze antropologiche e culturali di un mondo in rapidissimo e multiforme cambiamento.

d) A questo proposito, siamo consapevoli che aprirsi senza corazze protettive alla Parola di Dio, “lasciare ogni cosa e seguirlo” come il Signore chiede, restando nel mondo, comporta inevitabilmente rischi ed emarginazioni. Si hanno “il centuplo quaggiù” in fratelli e sorelle e senso della vita, ma anche persecuzioni, come prevedeva l’evangelista (Mc 10,30; 10,16; Gv 15,18). Di fatto, come avvenne con Gesù, quando si annuncia e si testimonia con sincerità il Vangelo, si suscita la reazione dei “poteri forti” del denaro e dell’egoismo. E allora c’è il pericolo dei compromessi. Si rischia di non aver più il coraggio di uscire dalla barca per andare incontro a Gesù che ci chiama (Mt 14, 30.31). Veramente profetico, perché detto o scritto in un periodo nel quale le condizioni esterne non lasciavano prevedere nulla di simile è il passo di Luca (6,26): “Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi, allo stesso modo, infatti, facevano i loro padri con i falsi profeti”.

e) Da sempre nella nostra comunità esiste un “Gruppo Biblico” che si dedica allo studio delle Sacre Scritture in modo organico e non tematico, come accade invece nei gruppi che preparano l’Eucaristia domenicale seguendo generalmente il calendario liturgico ufficiale. Non che lo studio del Gruppo sia astratto e separato dalla vita della Comunità, ché la liturgia della Parola durante l’Eucaristia è luogo di incontro e di confronto di tutte le componenti; inoltre l’apporto del Gruppo biblico, come quello del Gruppo donne e dei singoli è importante tutte le volte che si tratti di elaborare documenti come questo, riassuntivi del pensiero e, in generale, del “sentire” della Comunità (anche se non si tratta di una rappresentanza formale o ufficiale!) o di prendere, insieme in assemblea, decisioni importanti. Tuttavia esso è il luogo e l’occasione per una ricerca meno legata ad esigenze immediate e palestra di maturazione per molti, anche non forniti di studi specifici. Con l’aiuto discreto e non invadente né continuo degli “esperti”, come sopra detto, tutti si cresce insieme, in tempi e modi e con fatiche diverse e ciascuno fortifica il proprio carisma in favore della Comunità.

Il Gruppo, che si riunisce settimanalmente, si dà, come “compito a casa”, la lettura di un brano del libro prescelto per la lettura continuativa, sulla base di traduzioni e commenti possibilmente diversi, e il confronto tra le suggestioni che queste letture individuali producono e quelle che invece emergono quando esse sono conferite all’esame collettivo dimostra come la Parola fiorisca molto più copiosa e con reciproco vantaggio quando è dibattuta e approfondita comunitariamente. È il caso di dire, riprendendo papa Gregorio I (il “Magno”), che eloquia Dei crescunt cum legente, ma tanto più crescono se i lettori si confrontano insieme.

f) Nella storia della nostra Comunità e del suo rapporto con la Bibbia, esperienze di altri gruppi e comunità, scambi di visite fraterne, incontri, modi di leggere le Scritture (come ad esempio la teologia contestuale e quella della Liberazione, pur tenendo conto, ovviamente, delle differenti situazioni geopolitiche e sociali in cui noi ci troviamo, ad esempio, rispetto all’America latina) ci hanno dato un valido aiuto per la nostra “ortodossia” e per la nostra “ortoprassi”. Ma un posto davvero speciale ha avuto ed ha la ricerca delle donne che, a partire dalla loro sensibilità e dalla loro condizione di emarginate tra gli emarginati nell’approccio alle Scritture, ne hanno scoperto e diffuso aspetti trascurati o non valorizzati dalla esegesi maschile e denunciato il condizionamento della cultura patriarcale che molti passi riflettono. Dobbiamo alla teologia femminile o femminista, per esempio, da loro studiata, elaborata e offerta alla condivisione della Comunità, la riscoperta e rivalutazione dell’aspetto materno di Dio quale si trova in Is 44,2 e 24 e 49,15; la rivendicazione già “in principio” della pari dignità dei due sessi quale si desume nella prima descrizione dell’essere umano contenuta in Gn 1,27 – “A sua immagine lo creò, maschio e femmina li creò” – piuttosto che nella più nota, e anch’essa assai ricca di significati,  ma più strumentalizzabile da una mentalità maschilista, storia della creazione dalla costola di un essere che fosse di “aiuto” ad Adamo (Gn 2, 18-25); la rivalutazione di tante figure femminili dell’Antico Testamento.

Per venire alle Scritture cristiane, è certo loro merito aver sottolineato il ruolo primario che ebbero le donne nell’annuncio della resurrezione (è appena il caso di citare Mt 28,7; Mc 16,1; Lc. 24, 8; l’intero capitolo 20 di Gv): tutti episodi sconosciuti o scartati, in quanto allora non probanti, da Paolo, in I Cor 15,5, ma per fortuna tramandati fino a noi. Parimenti alle donne dobbiamo la sottolineatura dell’atteggiamento, straordinariamente liberale per il suo tempo, che Gesù ebbe nei loro confronti, consentendo che facessero parte del gruppo dei suoi discepoli itineranti (Lc 8, 1-8) e non solo, come letteralmente dice lo stesso Luca, per servirlo e servire gli apostoli nelle loro necessità materiali, ché è impossibile ipotizzare che non abbiano utilizzato la loro rete di amicizie femminili per diffondere l’annuncio della buona novella in case e famiglie, come avveniva ampiamente nelle comunità paoline (7).

Questo può rispondere anche alla osservazione che si fa comunemente per giustificare la loro esclusione dai posti di responsabilità nella Chiesa: Gesù – si afferma, ritenendo così di chiudere per sempre ogni discussione – scelse solo uomini come apostoli. Ma una cosa è scandalizzare i contemporanei portandosi appresso donne che lasciavano a casa figli e mariti, altra cosa, a quel tempo incomprensibile, sarebbe stato scegliere donne, o non circoncisi, da collocare su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele (Mt 19,28) o mandarle a predicare sulle piazze. Gesù ha seminato novità straordinarie, ma nel suo contesto, e ha lasciato a noi l’incarico di coltivarle. Chi avrebbe pensato, vivente Gesù, che la circoncisione, da Lui mai messa in discussione, sarebbe stata di lì a pochi anni abolita dalla Chiesa per i gentili (pagani)? Per non parlare poi della tenerezza e amicizia che Egli mostrò in particolare per alcune di esse (Maria di Magdala; la donna di Betania in Mt 26,6; la Maria di Lc 10, 38; Maria sorella di Lazzaro, anche se non è escluso che alcune di queste coincidano; la “eretica” e peccatrice Samaritana…). Ricordiamo ancora la testimonianza di fede di alcune di esse, che sembra sorprendere lo stesso Gesù e contribuire a farne maturare l’autocoscienza, come l’episo-dio della Cananea in Mt 15, 21 e sgg. o la confessione della messianicità di Gesù da parte di Marta in Gv 11,27, così simile a quella attribuita da Matteo a Pietro in 16,16, e quindi anch’essa ispirata dallo Spirito Santo, ma alla quale non segue un peana del tipo di quello che Matteo riserva a Pietro.

Le donne, generalmente escluse dalla sfera del sacro, hanno riscoperto il “sacro” in loro e in noi tutti, il divino soffio che dimora in noi e che, diradate le nebbie che nell’intimo ci travagliano, diviene positiva realtà relazionale di fraternità e di sorellanza.

g) Fin dagli inizi dell’esistenza della nostra Comunità, ci si è chiesto come spiegare ai nostri figli e figlie, e nipoti, con modi e termini adatti, il significato delle nostre scelte e delle nostre letture, che obiettivamente – come accade di ciò che si fa e si dice nel contesto familiare – li coinvolgevano. Tanto più questa esigenza si mostrava pressante quanto più essi confrontavano, attraverso le amicizie scolastiche, le esperienze scoutistiche, gli incontri pastorali la nostra prassi sacramentale e liturgica con quella corrente nell’ufficialità della Chiesa. Memori della nostra esperienza, abbiamo da sempre cercato di trasmettere non formule acquisite, risposte confezionate, pretese di completezza, ma proposte di riflessione sui temi fondamentali di una fede vissuta nella realtà, e l’abitudine a vagliare gli argomenti, magari in modo graduale e problematico, ma assumendoli nella propria capacità di ragionamento. È sorto così un “Laboratorio di religione”, diviso per di età, nel quale le Sacre Scritture, ebraiche e cristiane, e le esperienze di fede di altri popoli e culture e religioni, unite alla tradizione ecclesiastica antica e nuova, vengono raccontate e accolte e discusse con la franchezza e freschezza di cui sono capaci i giovani. Si cerca inoltre di far conoscere ai ragazzi esperienze di altre Comunità e gruppi marginali, specialmente quelli che non hanno pregiudiziali nel conoscere a loro volta la nostra esperienza.

 

Conclusione. “Se i cristiani non avessero dimenticato le Scritture”.

Fu un grande dono di Dio alle Chiese che, nel secolo XVI, Martin Lutero, Giovanni Calvino e gli altri Riformatori denunciassero i guasti enormi che gravavano sulle Chiese a causa della loro dimenticanza della Parola di Dio, sostituita dal ricorso alle tradizioni umane, alla filosofia, alla letteratura, e perfino alla fantasia. Ma purtroppo la Controriforma tridentina portò, di fatto, a togliere dalle mani dei cattolici la Bibbia, con le pessime conseguenze derivanti da questa amputazione. Grazie a Dio, il rinnovamento biblico del Novecento, e soprattutto il Concilio Vaticano II, hanno rimesso in mano ai cattolici le Sacre Scritture: molto è stato fatto, ma moltissimo – ci sembra – resta ancora da fare perché tale “riscoperta” porti, anche attraverso il dialogo ecumenico, i suoi frutti.

Se i cristiani, nella loro grande maggioranza, non avessero dimenticato le Scritture, che sono divenute, nel corso dei secoli, appannaggio esclusivo di un gruppo ristretto di loro, saprebbero che accanto ad alcuni passi enfatizzati per motivi storici e sui quali si è costruito un certo tipo di Chiesa, ce ne sono altri che sarebbe giusto rivalutare, non per cancellare i primi, ma per costruire insieme ad essi una sintesi più felice ed equilibrata e vicina alla sensibilità moderna, e comunque tale da aiutare a ben distinguere tra gli espliciti comandamenti del Signore e le normative ecclesiastiche, sempre seconde e discutibili; e, dunque, per mettere in discussione, e relativizzare, dottrine e prassi pur interessanti, ma storicamente datate, e non fondate sulla Parola costitutiva del Signore, ma che spesso la gente – fuorviata da una predicazione approssimativa – riteneva (e ritiene) esplicitamente volute dalle Scritture.

Se è vero che la visione di Gioele (3,1 sgg.):

     “Dopo questo sopra ogni carne

     Io effonderò il mio Spirito:

     I vostri figli e le vostre figlie profeteranno

     I vostri vecchi avranno dei sogni

     I vostri giovani avranno visioni.

     Anche sopra gli schiavi e le schiave

     In quei giorni effonderò il mio Spirito”

si realizzerà compiutamente al ritorno del Cristo glorioso, è anche vero che Gesù ha detto (Mt 12,28; Lc 11,20) “il Regno di Dio è tra voi” (“dentro di voi”, secondo un’altra traduzione); ora, anche se poi Lui è stato materialmente espulso dal mondo, ci ha lasciato innanzi tutto il suo insegnamento (8) e poi, nella Pentecoste, lo Spirito che ci “condurrà alla verità tutta intera” (Gv 16,13). Per questo ci chiama tutti a collaborare, attenti ai segni dei tempi e ai nuovi messaggi del Signore, da ascoltare e decifrare da qualunque fonte provengano, interna o esterna al Cristianesimo, per favorire l’avvento definitivo del Regno. Ecco perché dobbiamo ascoltare anche gli schiavi e le schiave, i giovani e i vecchi, gli uomini e le donne. Ecco perché la voce dei laici, che sono poi così gran parte della Chiesa, deve tornare ad essere seriamente ascoltata. Anche se tali voci, biblicamente fondate, mettono in questione mentalità radicatissime. Ogni Chiesa si fonda sulla Parola e sulla Cena del Signore (“Fate questo in memoria di me”); ma, per molti aspetti, la grande nemica delle Chiese istituzionali non è il mondo, non sono i non cristiani, non sono gli atei o gli agnostici, non è la secolarizzazione, ma è proprio la Parola, perché essa le mette in crisi, le contesta, relativizza le istituzioni da esse create, le pungola continuamente a convertirsi ed a decidere di perdere la loro vita per amore di Gesù e degli umiliati ed umiliate del mondo. 

 

Note

1) Cf: Davide Palumbo Fuori le mura, Borla, Roma1994; e l’articolo bilancio sui trenta anni della Comunità nella riedizione de La Terra è di Dio, CNT, Roma 2003.

2) Per quanto tutte le Scritture canoniche siano da considerarsi “ispirate” non è chi non veda, ad es., che tra le lettere autentiche di S. Paolo e le cosiddette lettere “pastorali” a lui attribuite (cioè quelle a Tito e a Timoteo), c’è un bel pezzo di storia; altrettanto dicasi della stesura finale dei quattro vangeli nei quali si riflettono le situazioni delle comunità all’interno delle quali furono scritti.

3) Se qualche volta noi, costretti dalla necessità e fiduciosi nella parola del Signore secondo la quale “dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), abbiamo dovuto affermare che Ubi Ecclesia ibi Christus, non lo abbiamo certo fatto in polemica con i vescovi o per orgogliosa affermazione della nostra autonomia, ma consapevoli di dover arrossire ancor più di vergogna, sapendoLo presente, ogni volta che i nostri comportamenti tradiscono la nostra professione di fede, memori delle parole dell’apostolo: II Cor 13,5: “Esaminate voi stessi per vedere se vivete nella fede. Sottoponetevi alla prova: riconoscete che  Gesù Cristo vive fra voi? O è vero il contrario?”.

4) Chi insegnerà all’esegeta biblico e quindi al credente il vivo significato di certe parole ricorrenti nella Bibbia, come “straniero, persecuzione, fame…”, meglio di coloro che hanno vissuto queste esperienze?

5)  Per fare un esempio tra i tanti, accenniamo solo al problema dell’interpretazione storica o simbolica dei cosiddetti “Vangeli dell’infanzia”.

6) È chiaro, ma è bene ribadirlo, che la conoscenza delle Scritture di per sé non garantisce nulla: c’è chi conosce poco o per nulla le Scritture ed ha una fede ed una dedizione esemplari (cf. Mt 25, 31 sgg.); e chi conosce a memoria la Scrittura, ma poi tiene comportamenti che danno scandalo.

7) Anche se l’apostolo Paolo in alcuni passi, amplificati poi dalla tradizione, si mostra grandemente debitore della mentalità del suo tempo circa la subordinata condizione femminile, sono tuttavia sue sia la fondamentale affermazione che “in Cristo non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna” (Gal 3,28), sia la piena fiducia nell’elemento femminile per l’edificazione delle Chiese primitive, come si può vedere nelle chiusure delle sue lettere più importanti con i saluti ai collaboratori e alla collaboratrici. Queste ultime risultano occupate anche in posti eminenti nelle Chiese locali, e per esse si usano gli stessi termini adoperati di solito per identificare l’attività degli apostoli (in Rom 16,7 Paolo afferma: “Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia: sono degli apostoli insigni che erano in Cristo prima di me”).

8) Qualunque sia stata la visione di Gesù circa il tempo dopo la Sua morte – i suoi discepoli e le prime generazioni cristiane erano comunque convinte che il suo ritorno fosse imminente – tuttavia, anche a voler restare ai detti che più rigorosamente possono risalire proprio a Gesù, Egli ha dato insegnamenti che sono validi e immutabili qualunque sia il tempo per il quale la Chiesa dovrà durare: la messa in guardia dalla tentazione del potere e dalla voglia di primeggiare (Mt 23, 8-11; 20, 25; Mc 9, 33); l’invito alla cautela nel giudizio (discorso sulla zizzania, Mt 13,24); la preferenza per l’ortoprassi sull’ortodossia (Mt 25,35:  avevo fame e mi avete dato da mangiare…); l’esortazione alla misericordia (Mt 5,7; 9,13: misericordia voglio e non sacrifici); l’adorare Dio in spirito e verità (Gv 4, 24).