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LE GUERRE DEI GESUITI


 di John Dear

ADISTA n° 16 del 23.2.2008

 

La compagnia di Gesù deve tagliare i ponti con qualsiasi coinvolgimento in strutture militari e in azioni belliche.

L’autore dell’articolo, John Dear, è un gesuita attivista per la pace ed autore di numerosi saggi sulla nonviolenza. L’articolo qui presentato è tratto dal settimanale   cattolico U.S.A. “National catholic reporter”  (25/01/2008). Titolo originale: “the society of jesus should renounce all ties to the military" 

Lo scorso autunno, mentre testimoniavo al processo dei no-war di Santa Fé, mi è stato chiesto quale fosse la mia missione di prete gesuita. Ho testimoniato sotto giuramento che il nostro lavoro è “salvare le anime, fermare le guerre, liberare i poveri dalla povertà e accogliere un Regno di Dio fatto di giustizia e pace, che ci renda discepoli, amici e compagni di Gesù”. “Dov’è scritto tutto questo?” mi ha domandato il giudice, interrompendomi. “Nei documenti ufficiali delle Congregazioni Generali della Compagnia di Gesù, n. 31, 32, 33 e 34”, gli ho risposto.Mi ha guardato sbalordito. Allora gli ho spiegato: “Sto tentando di essere all’altezza del mio compito”.A gennaio, centinaia di superiori dell’ordine gesuita nel mondo si riuniranno a Roma per la 35.ma Congregazione della Compagnia di Gesù. L’obiettivo di questo incontro è l’elezione del nuovo superiore generale, che subentri a p. Peter-Hans Kolvenbach, ottantenne dimissionario. Molti ipotizzano che il meeting, che terminerà a fine marzo, possa definire nuovi scenari in tema di giustizia e ambiente. In India e Africa, il numero di gesuiti è in aumento. Molti si dedicano al servizio ai bisognosi e lavorano per la giustizia e la pace. Qui negli Stati Uniti, invece, con 28 università riservate ai ceti più abbienti e 71 scuole tra medie e superiori, il numero dei membri è diminuito negli ultimi decenni da 8.000 a meno di 3.000, la maggior parte dei quali è più che sessantenne.La scorsa primavera, il National Jesuit News, un giornale di notizie sui gesuiti statunitensi, ha tracciato l’illuminante profilo di un prete gesuita, cappellano ad Abu Ghraib, Iraq, definendolo assistente dei torturatori e non dei torturati. Fortunatamente ha lasciato l’Iraq. Disgraziatamente, oggi insegna la “moralità” della guerra a West Point, luogo da cui, guarda caso, la polizia mi ha interdetto a vita.Questo articolo ha scioccato e scandalizzato sia me che altri amici gesuiti. Non riesco a capire come possiamo affermare di seguire il Gesù della nonviolenza appoggiando chi esegue torture o lavora nei quartier generali della guerra. Purtroppo, non c’è da stupirsi, visti i nostri trascorsi violenti. I gesuiti del Maryland hanno posseduto degli schiavi fino al 1850, senza pensare minimamente ad una loro liberazione. Hanno giustificato la schiavitù, hanno venduto questi esseri umani ed hanno usato il denaro ricavato per costituire le solide basi economiche della Georgetown University.Molti gesuiti nella storia sono stati a favore della guerra o vi hanno partecipato. Una famosa battaglia navale statunitense prende nome da un gesuita. Il decano di una scuola gesuita di diritto della Colombia, è attualmente membro del consiglio di amministrazione della famosa “Scuola delle Americhe”, conosciuta oggi come Western Hemisphere Institute for Security Cooperation. Alcuni gesuiti, rettori di università, hanno ricevuto titoli onorifici dai presidenti Reagan e Bush e dal segretario di Stato Condoleezza Rice. La maggiore pubblicazione gesuita, America, vende regolarmente spazi pubblicitari al Pengatono per reclutare preti nell’esercito, a supporto delle sue campagne di morte. Due gesuiti sono stati coinvolti nello sviluppo della bomba atomica. Fino a poco tempo fa, un gesuita ha lavorato a Los Alamos, quartier generale degli armamenti nucleari statunitensi.Oltre a questo, la maggior parte delle nostre università e scuole superiori insegnano ai giovani come uccidere altri esseri umani attraverso programmi diabolici di addestramento chiamati Reserve Officer Training Corps, o ROTC. Queste attività sono l’opposto di ciò per cui Gesù ha dato la vita, contro tutto ciò per cui ci battiamo. Nel 1985, quando mi trovavo in America Centrale, il gesuita salvadoregno Ignacio Ellacuría parlò espressamente del ROTC: “Dite ai gesuiti di Georgetown che, sostenendo queste forze della morte che uccidono la gente, commettono peccato mortale”. È stato assassinato nel 1989.Tutti questi fatti mi disturbano e mi deprimono. Dopo il Concilio Vaticano II, dopo Pedro Arrupe, dopo il massacro dei gesuiti a El Salvador, l’11 settembre, gli scandali degli abusi sessuali, le guerre di Iraq e Afghanistan, perché i gesuiti e le loro istituzioni non si sono mossi a favore del disarmo, un pre-requisito essenziale per realizzare “una fede di giustizia”?  Ho passato molti dei miei anni cercando di porre fine al supporto dei gesuiti alla guerra, inutilmente. Ma andrò avanti.Vado avanti per le decine di eroici gesuiti sparsi nel Paese che continuano ad ispirare e stupire: santi come Daniel Berrigan, che compirà 87 anni il prossimo maggio; Steve Kelly, che sta scontando una pena detentiva per aver testimoniato contro la tortura; Greg Boyle e Mike Kennedy che lavorano a contatto con le bande di strada a Los Angeles, e molti altri.Noi gesuiti abbiamo una rinomata tradizione di santi e martiri: da sant’Ignazio a san Francesco Saverio, a Edmund Campion e Peter Claver, da Miguel Pro e Walter Cizek, a Alfred Delp, gli 80 gesuiti imprigionati ed uccisi dai nazisti. Durante il recente raduno dell’Army’s Western Hemisphere Institute a Fort Benning, Georgia, è stato letto un elenco di gesuiti martirizzati dagli anni ‘70. In totale sono stati pronunciati 46 nomi, tra cui Ignacio Ellacuría ed altri sei gesuiti di  El Salvador. C’era Richie Fernando, che operava in un campo profughi in Cambogia nel 1996. Qualcuno lanciò una bomba nel campo durante una partita di calcio che Richie aveva organizzato. Si è avventato sull’ordigno salvando decine di ragazzi. C’era Martin Royackers che lavorava in una parrocchia di una periferia poverissima della Giamaica, che predicava contro la violenza, la droga e le bande di strada, assassinato sui gradini della stessa chiesa nel 2000. E Thomas Anchanikal, un gesuita indiano che ha difeso i cosiddetti dalit (gli “intoccabili”) dalla tirannia dei padroni ed è stato decapitato nel 1997. “Cosa vuol dire essere gesuita?” era il quesito della 32.ma Congregazione gesuita, sotto la guida di Pedro Arrupe.Vuol dire prendere coscienza di essere peccatore e, ciononostante, chiamato ad essere compagno di Gesù come fu Ignazio a suo tempo… Oggi il gesuita è un uomo la cui missione è quella di dedicarsi interamente al servizio della fede e alla promozione della giustizia, in una comunione di vita, lavoro e sacrificio condiviso da confratelli che si radunano attorno alla stessa croce, per la costruzione di un mondo ad un tempo più umano e più divino.Nel libro che sta per uscire, They Come Back Singing: Finding God with the Refugees (Torne-ranno cantando: troveranno Dio con i rifugiati, ndt), pubblicato dalla Loyola Press, il mio confratello gesuita Gary Smith racconta di un volantino che sta circolando in Uganda intitolato  The Secret Terrorists, (“I terroristi segreti”, ndt) in cui si accusano i gesuiti di fomentare il terrorismo. “Quei dannati gesuiti stanno tramando di nuovo”: questa è la frase iniziale. “Confesso che stiamo tramando”, scrive Gary. “Ma non c’è nulla di segreto nel nostro piano. Esso prevede infatti di: sconfiggere la doppiezza del mondo con la verità del Vangelo; affrontare le ingiustizie con la passione di Cristo per i poveri; sostituire la violenza con la pace; andare ovunque, sempre e con ogni mezzo in luoghi dove possiamo opporci al cuore delle tenebre con il cuore di Dio”.Spero che Gary abbia ragione. Questo complotto nonviolento per la giustizia e la pace sulle orme di Gesù è ciò che mi ha spinto a diventare gesuita 26 anni fa e che mi fa restare qui.Quando i superiori dei gesuiti si riuniranno a Roma per “complottare” la nostra missione per il futuro, pregate con me affinché ritroviamo lo zelo evangelico dei nostri albori, lo spirito dei nostri santi e martiri; che possiamo rinunciare una volta per tutte alla violenza ed alla guerra sia individualmente che come ordine;  che possiamo bandire i programmi ROTC da ogni campus gesuita; che non abbiamo più nulla a che fare con nessuna forza militare di nessun Paese, difendendo invece i poveri e gli emarginati da ogni ingiustizia. n