La chiesa
cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla
lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del
diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello
passi nella cruna dell'ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma
è anche l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e
investimenti, l'Istituto Opere Religiose.
La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una
suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura
spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una
scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere
notte e giorno ne segnala l'importanza. All'interno si trovano una grande sala
di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna
dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti
calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai
correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia
"qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai
migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più
impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche
svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un
libretto d'assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di
danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia.
Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano,
lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che
aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406
milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni
di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo
scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri
eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi
impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio
Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli
freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa.
Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli
33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul
Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo I si
sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà
autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato
il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò
a letto l'ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero
(Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una
delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della
chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l'uomo che
aveva salvato Paolo VI dall'attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a
spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più
avanzata enciclica della storia,
Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un'intesa. A Karol
Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che parla bene il polacco,
odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i
magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il
Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni
collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e
l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a
rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza
dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata
critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche "una
vittima", anzi "un'ingenua vittima".
Dal 1989, con l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della
finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior
cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia
è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato
all'interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo
diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro
fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus
dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con
tutta
A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti
o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, "più vicino
al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria
sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea
legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un
inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione
particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca
non è più questione di gradi".
La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati,
ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali
degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei
"furbetti" e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l'ombra si
dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca
vaticana.
L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i
suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4
ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del
pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono
dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è
che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la
precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo
Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista,
collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito
condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato
nell'inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di
Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor
Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli.
"Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo
fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una
brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei
continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di
consultare d'urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava
pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive righe: "Ogni
eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria
internazionale".
I magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha
sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante
della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta
deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la
rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di
una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione
pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione
ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".
Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta,
durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri. In video conferenza dagli
Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli
investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano".
"Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui
Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina
di tutta
E' secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di
giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua
affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto
ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell'Utri non
indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi,
ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri
sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di
rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva:
"Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il
Vaticano?".
Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei
"furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei
"furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati:
"Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non
esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco,
Fiorani fa l'elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I
primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell'Apsa,
l'amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho
comprato
Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani
nell'incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della
congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi ha sempre
dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma
poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per
sapere se sta bene o male".
Il Vaticano
molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima
delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e
Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la
teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la
carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali
non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le
encicliche, si spiega in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona
di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico
intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il
venticinquesimo anniversario di matrimonio dell'ex governatore con Maria
Cristina Rosati.
Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello
Ior e dell'Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in
giro per il mondo sono quantomeno singolari. E' difficile per esempio spiegare
con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman
dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui
iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale
Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani
è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i
magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di
mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca
vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della
Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre
dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito
anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150
milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo
che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa
cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini,
Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport"
su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove
l'ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le
prime pietre contro la corruzione (altrui).
Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l'ultima
puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno
custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus è archiviata
ma l'opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo
sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello
Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire,
incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire
cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con
oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite,
Nessuna autorità italiana ha mai avviato un'inchiesta per stabilire il peso
economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e
indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte
tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal
tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi
e dello Ior, la "finanza bianca" ha conquistato posizioni su
posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai
distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie
ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell'Opus
Dei. In un'Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa
cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi
della Democrazia Cristiana.
(Hanno
collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)