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Le (antiche) paure di Ratzinger

don Enzo Mazzi

 

 

l'Unità" del 28 dicembre 2007

 

L’enciclica Spe salvi di Benedetto XVI e la condanna del relativismo che informerebbe le istituzioni internazionali confermano la grande difficoltà che nella società plurale ha la gerarchia cattolica a sostenere il carattere assoluto e quindi unico e immutabile della verità di cui si ritiene portatrice o annunciatrice.

 

«Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza - scrive Ratzinger citando Paolo apostolo - ... noi abbiamo bisogno delle speranze - più piccole o più grandi - che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l’essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza - non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme».

 

Questo ritengo che sia il fulcro di tutta l’enciclica. Vi si rivela, a mio modo d’intendere, la paura che da due secoli assedia la gerarchia cattolica, con la parentesi di papa Giovanni e del Concilio: divenire insignificante in un mondo emancipato dal dominio del sacro e dell’assoluto. Il linguaggio dei papi in questi due secoli si è affinato, non c’è dubbio, ma la sostanza resta quella: la grande paura che la modernità renda superflua la Chiesa.

 

Conviene rivisitare i documenti antimodernisti che si sono succeduti dall’Ottocento, i quali con linguaggio talvolta più ruvido, ma anche più esplicito, esprimono la stessa paura di Ratzinger. L’enciclica Quod apostolici muneris di papa Leone XIII, del 1878, esprime drammaticamente la paura che «lo stesso Autore e Redentore del genere umano sia espulso insensibilmente e a poco a poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita». È un documento poco conosciuto, tenuto quasi nascosto per il carattere sconvolgente con cui denuncia i

mali dell'epoca moderna; meglio enfatizzare l’altra enciclica dello stesso papa, la Rerum novarum, per la quale egli è divenuto famoso, che è ritenuta una svolta ma che nella sostanza dice le stesse cose.

 

Ritengo utile, per illuminare e capire il senso intimo dell’enciclica di Ratzinger, citare un po’ ampiamente la Quod apostolici muneris: «Queste audaci macchinazioni degli empi, che ogni giorno minacciano all’umano consorzio più gravi rovine e tengono in ansiosa trepidazione l’animo di tutti, traggono principio e origine da quelle velenose dottrine che, sparse nei tempi passati quali semi malsani in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti così amari. Infatti Voi ben conoscete, Venerabili Fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai 3ovatori contro la fede cattolica, e che venne sempre crescendo fino ai giorni nostri, ha per scopo d’aprire la porta a quelle idee e, per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, eliminata ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale. Tale errore, che a torto prende nome dalla ragione (il razionalismo, l’illuminismo, il relativismo - ndr), siccome solletica e rende più viva l’innata bramosia d’innalzarsi, ed allenta il freno ad ogni sorta di cupidigie, senza difficoltà s’introdusse non solo nella mente di moltissimi, ma giunse anche a penetrare ampiamente nella società civile. Quindi con empietà nuova, sconosciuta perfino agli stessi pagani, si costituirono Stati senza alcun riguardo a Dio ed all’ordine da Lui prestabilito; si andò dicendo che l’autorità pubblica non riceve da Dio né il principio, né la maestà, né la forza di comandare, ma piuttosto dalla massa popolare la quale, ritenendosi sciolta da ogni legge divina, tollera appena di restare soggetta alle leggi che essa stessa a piacere ha sancite. Combattute e rigettate come nemiche della ragione le verità soprannaturali della fede, si costringe lo stesso Autore e Redentore del genere umano ad uscire insensibilmente e a poco a poco dalle Università, dai Licei e dai Ginnasi e da ogni pubblica consuetudine della vita. Infine, messi in dimenticanza i premi e le pene della eterna vita avvenire, l’ardente desiderio della felicità è stato rinserrato entro gli angusti confini del presente. Con queste dottrine disseminate in lungo e in largo, e con tale e tanta licenza d'opinare e di fare accordata dovunque, non deve recare meraviglia che gli uomini della plebe, stanchi della casa misera e dell’officina, anelino a lanciarsi sui palazzi e sulle fortune dei più ricchi; non deve recare meraviglia che, scossa, vacilli ormai ogni pubblica e privata tranquillità, e che l’umanità sia giunta quasi alla sua estrema rovina».

Il tono dell’enciclica è tutto su questo registro. E così si conclude indirizzando la denuncia soprattutto contro il socialismo: «Stando così le cose, ... ai popoli ed ai Prìncipi sbattuti da violenta procella ... preoccupati dall’estremo pericolo che sovrasta, indirizziamo loro l’Apostolica voce; ed in nome della loro salvezza e di quella dello Stato di nuovo li preghiamo insistentemente e li scongiuriamo di accogliere ed ascoltare come maestra la Chiesa , tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni, e si persuadano che le ragioni della religione e dell'impero sono così strettamente congiunte che di quanto viene quella a scadere, di altrettanto diminuiscono l'ossequio dei sudditi e la maestà del comando. Anzi, conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del Socialismo, quanta non ne possono avere le leggi umane, né le repressioni dei magistrati, né le armi dei soldati, ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella quale possa efficacemente compiere la sua benefica azione a favore dell’umano consorzio. ... Infine, siccome i seguaci del Socialismo principalmente vengono cercati fra gli artigiani e gli operai, i quali, avendo per avventura preso in uggia il lavoro, si lasciano assai facilmente pigliare all’esca delle promesse di ricchezze e di beni, così torna opportuno di favorire le società artigiane ed operaie che, poste sotto la tutela della Religione, avvezzino tutti i loro soci a considerarsi contenti della loro sorte, a sopportare la fatica e a condurre sempre una vita quieta e tranquilla».

 

Che ha a che fare la finezza di Ratzinger con queste espressioni così ruvide? Oppure con l’affannosa difesa della verità rivelata contenuta nel Sillabo di Pio IX del 1864? Più vicina allo stile di Benedetto XVI può essere considerata l’enciclica Pascendi di Pio X, antimodernista per eccellenza, apprezzata però per la sua potenza filosofica e la sua coerenza, non per i contenuti, dai due principali pensatori “laici” dell’Italia del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. La Pascendi ispirerà l’enciclica Humani generis di Pio XII e la Fides et Ratio di Giovanni Paolo II.

 

Meno esplicitamente ma certo sostanzialmente ha ispirato a mio modo di vedere anche la Spe salvi. La quale presenta forti analogie con i precedenti pronunciamenti antimoderni del papato e soprattutto ha in comune con essi la paura e la difficoltà a rapportare la speranza e la fede teologali alle speranze e alle fedi terrene. I papi antimoderni compreso Benedetto XVI pensano in termini contrappositivi.

 

La parentesi di Papa Giovanni e del Concilio dimostra che la paura del mondo non è affatto connaturata alla fede cristiana, rende palese anzi il fatto che la paura è di ostacolo alla fede, la contraddice. È divenuta famosa la denuncia che Roncalli fece all'apertura del Concilio l’11 ottobre 1962: «A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. nello stato presente degli eventi umani, nel quale l'umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza».

 

Ecco la chiave teologica di una fede non contrappositiva e priva di paura del mondo emancipato dal sacro e da Dio. Le speranze terrene non hanno bisogno di sbandierare il riferimento a Dio per essere autentiche. Dio ce l’hanno dentro per chi vede i “misteriosi piani”, anche se sono speranze laiche e di atei. Non è che sia una teologia priva di contraddizioni, ma intanto libera dalla paura e dal conflitto. Fra i “profeti di sventura” vi sono adombrati i suoi predecessori? Un cosa si può dare per certa: alcuni sassolini dalla scarpa papa Giovanni se li è voluti levare dal momento che egli stesso era stato indagato per modernismo.

 

La cosa lo aveva fatto tanto soffrire che una volta divenuto papa impedì al suo solerte segretario mons. Capovilla di distruggere il dossier contro di lui conservato al Sant’Uffizio. Volle che fosse conservato come monito. Soprattutto è una presa di distanza esplicita dall’antimodernismo la grande lezione della teologia dei “segni dei tempi” proposta dalla Pacem in Terris che vede e valorizza gli aspetti di speranza del cammino umano nell’ascesa del mondo operaio, nell’emersione della soggettività femminile, nella liberazione dei popoli.

 

Siamo agli antipodi del pensiero di Ratzinger il quale disconosce il grande impegno di tanti cristiani e cristiane in tutto il mondo che portano quotidianamente il loro contributo di fede e di annuncio evangelico unendolo senza imposizioni, senza contrapposizioni e senso di superiorità, ai contributi di tutti gli uomini di buona volontà di qualsiasi fede, religione, cultura. Nell’incarnazione sta il contributo di speranza di questi cristiani conciliari; nella valorizzazione dei “segni dei tempi” e non nelle condanne sta la loro speranza.