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L'eterno ritorno del Papa Re

di Filippo Ceccarelli

“la Repubblica” del 28 settembre 2008

«Roma è cristiana», e va bene. «Roma è sacra» si leggeva, già più impegnativamente, sugli

striscioni del Centro Lepanto sceso in processione riparatoria contro il Gay Pride. «Roma Caput

Mundi» campeggia sugli stendardi di un'organizzazione, sempre dell'estrema cattolica, che

all'Esquilino si batte contro l'«invasione» cinese. «Roma non perit», cioè non muore, come

scolpisce in latino agostiniano il gruppo tradizionalista Trifoglio, già noto per una serie di dieci

manifesti, uno per ogni comandamento, coloratissima rassegna di ripristinato fondamentalismo sui

muri della capitale.

E tutto questo si potrebbe liquidare come folklore o anacronistico fanatismo - magari sbagliando

pure, perché in questo tempo è proprio l'eccesso che tende ad affermarsi catturando l'attenzione. Ma

poi: quando il sindaco Alemanno, per nulla pentito dell'incidente di Porta Pia, come unico suo

commento butta lì che «il Vaticano è il cuore di Roma, e guardando la storia tutto - (tutto?!) - ruota

attorno a questa presenza», beh, un po' viene anche da chiedersi se la commemorazione dei caduti

dell'esercito pontificio il 20 settembre non sia stata il primo esperimento tecnico di Restaurazione

capitolina. E se pure non lo è stato, già bastano la gaffe, la pecionata o il malinteso ad aggiornare la

visione di quell'antica, singolare e rinomata entità (individui, gruppi, credenze e rappresentazioni)

che mai come oggi, dopo parecchi decenni, si è legittimati a designare «Roma nera»: nella sua

doppia accezione di trono e di altare, di Roma clericale, anti-risorgimentale e post-fascista.

Ora, è vero che storicamente, come ha sintetizzato lo studioso Alberto Melloni, «quasi tutte le destre

a corto di idee indossano i paramenti». E in effetti, oltre che nelle riabilitazioni degli zuavi (per i

quali il gruppo di Militia Christi ha richiesto l'immancabile lapide), la nuova temperie post-papalina

pare cogliersi in un dispiego di sfarzo mediatico che all'insegna della liturgia e del suo evocatissimo

mistero, esibisce sacri ornamenti, addobbi lussuosi, canti gregoriani, come pure stemmi di battaglia

e nobiliari, simboli, aquile, spade.

Rialzano il capo gli ordini cavallereschi, con i loro mantelli e costumi da cerimonia. Rinasce la

messa esclusiva, preannunciata con elegante cartoncino d'invito. Entra nel lessico giornalistico la

categoria «catto-chic». L'impressione è che piano piano, colto il vento, tutto un mondo finora un po'

cupo, residuale e museale, intraveda di colpo la possibilità di scrollarsi di dosso polvere e muffa. E

dunque: non più solo funzioni in suffragio dei caduti con la bandiera pontificia bucata dalle

pallottole dei bersaglieri di Lamarmora sotto l'altare di San Lorenzo in Lucina. Il Concilio è ormai

lontano e così, insieme alla recita del rosario e delle devozioni in latino, paiono riemergere dalle

catacombe più o meno confessabili tentazioni teocratiche e indistinti indizi di neo-temporalismo.

Liberalizzato con il motu proprio l'antico rito romano, gli ex seguaci di Lefebvre si insediano

stabilmente nella chiesa della Trinità dei Pellegrini. Da oltre un anno il Centro Lepanto ha rapporti

oltreoceano, negli Usa; il suo fondatore e ideologo, il professor Roberto de Mattei, già sfortunato

consigliere di un Fini sull'orlo del laicismo, è assiduo collaboratore dell'Osservatore Romano. Il

gruppo di Alleanza cattolica, da cui proviene il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano (An),

scopre la funzione del marketing reclamizzandosi sul Tempo «l'impegno per il pensiero forte».

Sono ambienti non di rado contigui a quello di Alemanno. Altri lo sono di meno, in ogni caso

brulica di micro-iniziative l'underground reazionario-confessionale, nelle sue varie gradazioni.

Veglie, esercizi spirituali, corsi per predicatori. Nella basilica di San Camillo organizzano «guardie

d'onore» al Sacro Cuore, ogni turno eseguito da una «falange»; mentre nella chiesa di San

Benedetto in Piscinula, a Trastevere, gli «Araldi del Vangelo» indossano uniformi che ricordano

quelle dei crociati, stivaloni compresi.

A cinquant'anni dalla morte di Pio XII, per favorirne la canonizzazione, si è formato il «Comitato

Papa Pacelli»; tra i primi sostenitori, in ordine alfabetico, compaiono Giano Accame, Rosa

Alberoni, Magdi Cristiano Allam, Giulio Andreotti. C'è anche il sito su Internet. A questo proposito,

come documentato a suo tempo da Nicla Buonasorte nel suo prezioso Tra Roma e Lefebvre. Il

tradizionalismo cattolico italiano e il Concilio Vaticano II (Studium, 2003), è sintomatico e insieme

paradossale l'ardore con cui i più accaniti nemici della modernità si sono adeguati alla tecnologia.

Ecco dunque litanie, salmodie e novene on line. Ecco l'mp3 dell'inno pontificio di Gounod: «Roma

immortale, di martiri e di santi,/Roma immortale, accogli i nostri canti». O il revival

dell'intransigentismo canzonettistico fine Ottocento: «Odiam la lurida pornografia/e la satanica

filosofia/che fa gli uomini pari ai maiali/Siam clericali, siam clericali!» (www. centrostudifederici.

org).

Lascia interdetti l'hard discount del cristianismo. Vecchie stampe di uniformi papaline; gallerie

fotografiche di «corpi incorrotti» di santi (www. tradizione.biz); animazioni musicate tipo

videogame del celebre dipinto del Veronese sulla battaglia di Lepanto

(www.lepantofoundation.org); presentazione di video terrificanti contro occulte massonerie, perfidi

giudaismi, poteri forti, preti modernizzanti che fanno il karaoke con i fedeli e altre diavolerie

progressiste prodotti assemblando alla buona spezzoni di film in costume al suono dei Carmina

Burana (www.salpan.org). Un immaginario infiammato di diavolacci, segreti, catastrofi - dall'Aids

al tifone di New Orleans passando per il crollo della basilica di Assisi - offerto in chiave di castigo

di Dio.

Che tutto questo sia ultraminoritario, oltre che scontatamente apocalittico, drasticamente maschile,

rigidamente sessuofobico e non di rado pericolosamente xenofobo e razzista, è un fatto che non

stupisce perché in fondo quel filone è sempre stato così. Una consolazione, semmai, è che oltre che

minuscoli, i gruppetti dell'universo ultraconservatore sono a tal punto rissosi che di continuo si

scambiano accuse di eresia, gnosticismo, nichilismo o intelligenza con il nemico.

E tuttavia la novità è che la rappresentazione di Roma nera oltrepassa oggi i confini dell'eccentricità

per estendersi e riconoscersi in un'estetica, in un gusto, in una serie di occasioni assai più accettabili

degli incubi sanfedisti. E allora pare di coglierla, questa Roma, nelle messe celebrate negli studi del

Tg5; o ai cocktail per le presentazioni delle sacre fiction della Lux Vide bernabeiana; nelle aste di

beneficenza con i vip; nei convegni sulla famiglia aperti dalla recita del Pater Noster e animati dai

personaggi della tv. Fino alla moda di donare agli ecclesiastici capi d'abbigliamento, crocifissi d'oro

o tempestati di gemme, così come di sfoggiare quelle sontuosissime crocette che l'obiettivo di

Umberto Pizzi, nei «Cafonal» su Dagospia, immortala - «balconata mistica» - nelle scollature delle

signore dell'aristocrazia «teo-glamour».

Perché poi Roma resta Roma: e tutto tritura, tutti sbeffeggia, tutto e tutti riesce a dissacrare, anche i

nobili della Città Eterna prima ancora che chiudessero i loro palazzi in segno di lutto all'indomani

dell'invasione piemontese nel 1870. I nobili: a tale «illustrissima canaja», «spedalone de bastardi»,

«cavajer del cazzo», «cani da macello» al servizio del pontefice, Giuseppe Gioachino Belli ha

dedicato sonetti spaventosi. Lo stesso Pasolini, qualche secolo dopo, li sistemò con un fulminante

epigramma: «Non siete mai esistiti, vecchi pecoroni papalini:/ ora un po' esistete perché un po'

esiste Pasolini».

Acqua passata, sotto i ponti del Tevere. È pur vero che la figura più rimarchevole di quel mondo,

Elvina Pallavicini, imperiosa e imprevedibile sulla sua sedia a rotelle, se n'è andata ormai da tempo.

I nobili che restano, il principe Ruspoli Zapata, che si presenta invano a tutte le elezioni, o la

principessa Borghese, che per l'amicizia con il giro stretto della Santa Sede Roberto D'Agostino ha

ribattezzato «l'Intima di Carinzia e di Baviera», ma poi si è lasciata conquistare dall'Udc di

Pierfurby Casini, funzionano appena nei talk-show. E pur con tutto il rispetto e la simpatia, a fatica,

insieme con gli altri epigoni dei Colonna, Massimo, Orsini, Torlonia, Chigi, Boncompagni,

potrebbero rientrare negli schemi entro cui un autentico maestro del pensiero controrivoluzionario

come Plinio Correa de Oliveira li comprese nel saggio Nobiltà ed elites tradizionali analoghe nelle

allocuzioni di Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana (Marzorati, 1992).

Così è altrove che occorre guardare per cogliere il senso di una possibile restaurazione del potere e

dell'assolutismo temporale alla luce del nuovo secolo e del pontificato di Benedetto XVI. Per il

momento il Papa Re rimane nel titolo di un film di Gigi Magni, o nelle insegne di un ristorantino

sulla Lungaretta. Però, a farci caso, aumenta di giorno in giorno il numero di quelli che come ha

fatto notare su MicroMega un'osservatrice di altra spiritualità come Mariella Gramaglia, comunque

appaiono ben disposti ad «attaccarsi alla mantella bianca». Vedi il futuro ministro Bondi all'Angelus

di piazza San Pietro, con un'immaginetta in mano; vedi il senatore Ciarrapico che rievoca i decreti

del Sant'Uffizio; o l'onorevole Renato Farina che dopo le elezioni sostiene l'esistenza di un «fattore

P», come Papa: «Chi ha provato a morderlo si è perduto nella nebbia del Niente».

Un'umanità composita e apparentemente inconciliabile che da Gianni Letta, baciato dalla nomina a

Gentiluomo di Sua Santità, arriva a Borghezio, presente fra i neonazisti di Colonia con quella che

lui stesso ha definito «l'ala ratzingeriana della Lega». Tutto, insomma, e il contrario di tutto, come

capita sempre più spesso nella Città Eterna in questo tempo di ritorni in avanti e di futuro remoto