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Se Ratzinger rivaluta Pio IX

 

di Marco Politi

 

in “la Repubblica” del 17 febbraio 2008

 

L'ombra di Pio IX torna ad affacciarsi in Santa Romana Chiesa. L'improvvisa esaltazione di papa

Mastai, indicato da Benedetto XVI come grande pontefice di esemplari virtù, «indomito e

coraggioso» combattente contro la secolarizzazione dell'Ottocento, non è l'auspicio migliore per un

rasserenarsi delle tensioni tra la società laica e il papato.

Bisogna saper leggere il body-language di Joseph Ratzinger. All'ultimo concistoro nel novembre

scorso, Benedetto XVI si è presentato nella basilica vaticana con la mitria di Pio IX e il piviale di

Giovanni Paolo II. Assiso sul trono, non evocava l'immagine di un pellegrino della fede, bensì

l'icona di un papato imperiale. Nei pesanti paramenti aurei era riflessa l'ostinata volontà di tenere

insieme la Chiesa del Sillabo e la Chiesa del mea culpa, il papato che riaprì il ghetto di Roma e il

papato che a Gerusalemme nel 2000 ha domandato perdono per l'antisemitismo, il cattolicesimo

dell'assolutismo papale e quello del "popolo di Dio" celebrato nel concilio Vaticano II.

Non si scelgono a caso le vesti cerimoniali per un rito pontificale. La sagrestia di San Pietro non è

un magazzino di costumi teatrali, a cui si attinge per mero gusto estetico. La mitria di Pio IX

appartiene al pontefice che ha dichiarato guerra all'Ottocento, che ha esecrato la libertà di coscienza

e la libertà di religione, che ha permesso che i suoi seguaci si servissero al concilio Vaticano I di

manovre totalitarie per imporre l'infallibilità papale. L'immagine di Pio IX, che preme il piede sul

collo di un prelato avverso al dogma - perché così avvenne durante un'udienza, al momento del

bacio della pantofola - appartiene alla pagine più sgradevoli della storia della Chiesa.

Il recupero della mitria è stato il prologo all'intervento ratzingeriano nel 130° anniversario di papa

Mastai. E dimostra che la sua uscita non è estemporanea. L'immagine di Pio IX, nella descrizione

fatta da Ratzinger, è quella di un pontefice che lotta per riaffermare le verità della fede cristiana di

fronte a una società protesa verso la secolarizzazione. Un eroico baluardo. Ieri Pio IX, oggi

Benedetto XVI è l'equazione presentata istintivamente agli occhi dei fedeli e del mondo.

L'Osservatore Romano conferma. «Oggi si vive in buona parte dell'eredità di Pio IX - proclama

fiero il postulatore della causa di canonizzazione - e si corrono rischi che il suo magistero intendeva

risparmiare alla Chiesa d'allora e di sempre».

Così si pone sullo stesso piano ciò che conciliabile non è. L'opposizione frontale alla modernità di

Pio IX e l'apertura ai segni dei tempi di Giovanni XXIII, l'infallibilità papale da un lato e la gestione

collegiale della Chiesa con l'insieme dei vescovi dall'altro. Torna continuamente, insomma, la

volontà di negare il carattere di svolta e, per certi aspetti, di rottura del concilio Vaticano II. Ma

l'operazione può riuscire soltanto affidandosi all'apologetica o rifugiandosi nella rimozione. Pio IX

aborriva la democrazia, il Vaticano II l'ha fatta propria. Pio IX considerava folle la libertà di

religione, il Vaticano II l'ha riconosciuta. Pio IX riteneva inconcepibile la libertà di coscienza, Karol

Wojtyla ne ha fatto un cardine del suo pontificato, denunciando quanto di oppressivo si è verificato

all'interno della Chiesa. Per non parlare dell'ecumenismo. Le cronache del Concilio di Pio IX nel

1870 riportano le grida di condanna, scagliate contro il vescovo tedesco Stossmeyer colpevole di

aver dichiarato che «anche fra i Protestanti c'è chi ama Gesù». E quando lo stesso presule invoca di

non imporre un dogma come l'infallibilità a colpi di maggioranza, i seguaci di Pio IX si mettono ad

urlare: «Anatema, anatema, è un altro Lucifero, un secondo Lutero».

Non si può recuperare Pio IX e volere il dialogo con il mondo contemporaneo. Sta qui la grande,

sotterranea contraddizione del pontificato di Benedetto XVI: desiderare sinceramente un confronto

fecondo con la ragione e la scienza moderna mentre si ripropongono le esperienze più autoritarie e

dottrinalmente chiuse della Chiesa. Spesso le mosse ratzingeriane assomigliano ad un battito d'ala

bloccato a metà. In uno spasmo di contraddizioni. Rifiutare le crociate e sostenere che l'Islam sia

intrinsecamente violento. Affermare che la Chiesa non fa politica e pretendere di dettare il

comportamento dei cattolici in Parlamento. Auspicare il confronto con la ragione e negarne

l'autonoma dignità, se non si abbevera alle fonte del Trascendente.

C'è un brano rivelatore nel suo discorso preparato per la Sapienza. «Varie cose dette da teologi nel

corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali - ammette Ratzinger - sono

state dimostrate false». Ma non viene mai detto da chi. È una rimozione eloquente. Perché coloro,

che nei secoli hanno smontato verità ufficiali sbagliate, sono stati frequentemente cattolici

perseguitati, teologi dichiarati eretici, pensatori non credenti bollati come nemici della Chiesa.

Difficile dialogare con il mondo moderno se non si ammette fino in fondo la relatività dell'agire

dell'istituzione ecclesiastica, fatta di esseri umani. Agli uomini e alle donne contemporanei, che

siano cattolici o diversamente credenti, l'ideologia di un papa-re, modello Pio IX, ispira soltanto

distanza.