L'incubatrice del razzismo
di Stefano Rodotà
“la Repubblica” del 23 settembre 2008
Colonia, 20 settembre: divieto di una manifestazione razzista. Venezia, 15 settembre, esempi di
oratoria all'annuale raduno della Lega: «Macché moschee, gli immigrati vadano a pregare e pisciare
nel deserto» (Giancarlo Gentilini, che rivendica la primogenitura come "sindaco-sceriffo" d'Italia);
«Non ci rompete più i coglioni con gli immigrati, vecchie facce di merda» (Mario Borghezio,
parlamentare). Le storie parallele possono essere ingannevoli, e vanno maneggiate con cautela. Ma
questo accostamento mostra il diverso senso di responsabilità di chi governa, dietro il quale vi è una
diversa sensibilità delle opinioni pubbliche. Le parole dette a Venezia sono il segno d'un degrado
pericoloso, e non del parlar schietto di cui i leghisti si vantano. Nella loro brutalità, dovrebbero
aiutare a comprendere meglio che cosa sta diventando questo Paese. Il linguaggio anticipa,
accompagna, spiega. Invece, viene ormai ignorato (silenzio di quasi tutto il sistema
dell'informazione sulla qualità dell'oratoria veneziana), mentre offre una traccia preziosa, seguendo
la quale si chiariscono fenomeni che vanno ben al di là del mondo leghista.
1) La Lega e il territorio. I risultati delle ultime elezioni politiche ci hanno consegnato la Lega come
vera vincitrice. E si è improvvisamente scoperto che la ragione forse più importante del suo
successo sta nel rapporto che i leghisti e i loro amministratori hanno saputo stabilire con il
"territorio". Da qui molte considerazioni: non è vero che servono soltanto partiti "leggeri"; non è
vero che tutto può essere affidato alle pure strategie comunicative; non è vero che i cittadini
possono essere considerati solo come carne da sondaggio; non è vero che l'amministrazione oculata
non paga. Indicazioni in sé importanti, se non altro perché mostrano come non esista solo il modello
berlusconiano di raccolta del consenso, e dunque la vanità e l'insensatezza della corsa verso una
indistinta postmodernità che consegnerebbe i partiti "popolari" soltanto all'archeologia politica
(altra cosa, evidentemente, sono le tecniche nuove di costruzione d'un partito popolare nel terzo
millennio). Ma l'esperienza e il successo leghista sono fatti anche di altre cose, esattamente quelle
che danno radici locali agli spiriti che i leader affidano, e non è la prima volta, alle alate parole
citate all'inizio. Non siamo solo di fronte ad una esasperazione dell'intolleranza. Si sta costruendo
anche un territorio in senso "etologico", rispondendo appunto a quell'"imperativo territoriale" di cui
parlava Robert Andrey, che spinge molte specie a marcare confini, invalicabili anche se fisicamente
invisibili, all'interno dei quali nessuno può penetrare e, se lo fa, scatta istintivamente una reazione
anche violenta. Andate altrove, ripetono ossessivamente i leghisti all'"altro" - immigrato, rom,
omosessuale - riprendendo (inconsapevoli?) i paradigmi terribili del razzismo. Su questo s'innesta
una identità esasperata che, in molte situazioni, diviene il più forte collante sociale. Di questo
fenomeno profondo, di quest'idea premoderna impastata di terra e sangue, regressiva, lontanissima
dal modo in cui i partiti popolari storici avevano costruito il rapporto con il territorio, vogliamo
riconoscere l'esistenza, discuterne seriamente e mettere a punto strategie politiche per contrastarlo?
2) Un Paese mitridatizzato. Se questo non avviene, è perché si è creata nel tempo un'abitudine,
un'assuefazione, in definitiva una rassegnazione. Uno storicismo da quattro soldi induce a pensare e
ad agire registrando un successo della Lega di cui non resterebbe che prendere atto realisticamente.
Di fronte a questo dato dovrebbe tacere la lotta politica, quella vera, che va alle radici culturali e
sociali dei fenomeni. Ecco, allora, le debolezze delle varie sinistre, che si sono mosse senza essere
capaci di sciogliere l'intreccio tra la nuova dimensione del localismo, ben individuata dalla Lega, e
una serie di manifestazioni che non possono essere derubricate come folklore. A questo si è
aggiunta la narrazione berlusconiana, che va avanti da anni e che, quali che siano le "intemperanze"
di Bossi e dei suoi, blandisce, rassicura, ammicca, dice che in fondo sono ragazzate che avranno un
epilogo rassicurante nelle bicchierate del lunedì ad Arcore. Si coglie qui una furberia politica ed un
messaggio rassicurante. Vi garantisco che la Lega può essere addomesticata, che i leghisti non
impugneranno mai i fucili di cui parlano. Si legittima così la politica della Lega in tutte le sue
manifestazioni che, proprio perché appaiono paganti, finiscono per divenire un modello per alleati e
concorrenti. Inoltre, fino a quando la Lega continua ad esibire anche questa faccia, finisce in
qualche modo con il dipendere dalla mediazione, politica o personale, di qualcun altro. Ma, in
questo modo, nulla si fa per arrestare il degrado civile, l'involgarirsi generale del linguaggio che
rivela l'abbandono di criteri fondativi della democrazia, l'eguaglianza e il rispetto della dignità delle
persone in primo luogo. E non è soltanto la Lega a portare la responsabilità della situazione che si è
determinata.
3) Europa. Altri Paesi hanno conosciuto fenomeni simili ma, per intelligenza politica e
consapevolezza culturale, hanno fatto in modo che potessero essere circoscritti. Questo spiega
l'attenzione preoccupata dell'Unione europea per una serie di vicende italiane: assistiamo
all'accelerarsi di dinamiche politiche e sociali che rendono evidenti non il rischio, ma la realtà di
pratiche discriminatorie e di vere e proprie aggressioni razziste. La risonanza europea di quel che
sta accadendo non può essere attenuata esibendo qualche modifica di norme inizialmente più
aggressive. È il contesto che, giustamente, inquieta. Vi è una preoccupazione delle istituzioni
europee per il modo in cui le norme vengono concretamente applicate, e permangono i giudizi
negativi sull'aggravante prevista per i reati commessi dagli immigrati. Una delegazione della
Commissione per le libertà pubbliche del Parlamento europeo ha appena concluso una sua visita in
Italia proprio per acquisire direttamente elementi per valutare la situazione dei rom. L'Agenzia
europea per i diritti fondamentali ha pubblicato un rapporto sull'assalto al campo rom di Ponticelli.
Da qui vengono le contestazioni a rappresentanti del Governo italiano nel corso di una conferenza a
Bruxelles: e i nostri diplomatici, invece di levare inutili proteste, dovrebbero aiutare il Governo a
comprendere le reazioni europee, il clima che ormai avvolge le politiche italiane in materia di
immigrazione, e non solo.
4) Immigrati buoni e cattivi. Questa distinzione ricorre continuamente nelle discussioni, per mettere
in evidenza che le politiche ispirate alla sicurezza pubblica non devono essere temute da chi è
venuto nel nostro paese con buone intenzioni, e qui lavora e si comporta correttamente. Ma
chiunque conosca la realtà di molte prefetture e questure, delle modalità dei controlli di polizia, sa
che troppo spesso le cose vanno in modo diverso. Mi riferisco ai casi in cui è certo che ci si trova di
fronte ad immigrati regolari, a situazioni in cui non esiste alcun pericolo. Molte volte, parlando con
immigrati regolari alle prese con le estenuanti e inutili trafile per i continui rinnovi del permesso di
soggiorno, ho sentito questa frase: «ci trattano come animali». Vorrei che il ministro Maroni
impartisse disposizioni severe perché ogni persona venga rispettata, soprattutto quando si trova
nella condizione di non poter nemmeno protestare, non dico abbozzare una reazione. No, allora, alle
urla, agli atteggiamenti intimidatori, all'uso del tu come se ci si rivolgesse ad esseri inferiori, agli
apprezzamenti sui tratti del viso o sulle donne, all'insofferenza verso qualsiasi richiesta di
spiegazioni. Lì, in quei luoghi, l'immigrato incontra lo Stato. Solo se lo vedrà accogliente riuscirà a
rispettarlo.
5) Razzismo? La parola spaventa, ma dev'essere pronunciata. Di fronte a vicende drammatiche, e
spaventosamente eloquenti, ecco subito l'esorcismo: Milano non è razzista, Roma non è razzista e
via elencando paesi e città. Che cosa vuol dire? Vi è una specie di immunizzazione territoriale per
cui qualsiasi cosa accada in certi luoghi il contagio razzista è impossibile? Sappiamo che non è così.
I razzisti sono tra noi, non in Italia soltanto, ma noi dobbiamo chiederci se stiamo facendo
abbastanza non solo per combatterli, ma per evitare che si sentano i veri rappresentanti del tempo