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“La Chiesa rispetti la mia fede”

intervista a Riccardo Di Segni a cura di Alain Elkann

 

La Stampa del 2 marzo 2008

 

Riccardo Di Segni lei è rabbino capo della comunità di Roma dal novembre 2001, in cosa

consiste la sua attività?

«Il rabbino capo è la persona che dirige l’organizzazione dei servizi rituali della comunità e che si

occupa dei problemi educativi. Rappresenta la comunità nel suo aspetto religioso esterno, rispetto

sia alle altre realtà del mondo ebraico sia alle autorità italiane e di altre religioni. Nella comunità

abbiamo diversi livelli di osservanza, da quelli più stretti a quelli più lontani. Ci sono anche

movimenti di recupero e riavvicinamento alle tradizioni».

Come guardate le discussioni sull’aborto, la legge 194 che animano il dibattito politico in

questo periodo?

«Il dibattito riesplode ciclicamente e ora si è colorato di forti toni politici. La posizione della

tradizione ebraica è particolare, e non può essere sovrapposta a nessuno dei due schemi

contrapposti. Il principio fondamentale è che il diritto alla vita della madre prevale su quello del

nascituro».

Cosa pensate delle polemiche sulla presenza di Israele come paese ospite d’onore alla Fiera del

Libro di Torino?

«Credo che in molte posizioni ostili a questa presenza possa nascondersi una volontà di

delegittimare lo Stato di Israele in quanto tale, che è cosa diversa dalla critica legittima ai

comportamenti di un governo. In generale l’idea di emarginare dei libri prodotti da ebrei, in quanto

cittadini dello Stato di Israele, evoca una lunga storia di intolleranza contro il libro ebraico cui si è

macchiata l’Europa dell’ultimo millennio».

L’antisemitismo è sempre presente sotto varie forme striscianti o esplicite. Come reagisce?

«L’ostilità antiebraica è una costante della storia, in ogni momento può manifestarsi in modi

differenti, qualsiasi cosa succeda non mi meraviglia. Il problema è come reagire positivamente con

l’educazione e i fatti, per limitare qualsiasi evoluzione dannosa per la società intera».

Spesso si vogliono separare ebrei e israeliani come se fossero due entità distinte, qual è il suo

punto di vista?

«Gli israeliani sono cittadini dello Stato di Israele che non necessariamente sono tutti ebrei. Gli

ebrei di per sé si definiscono e identificano in modi complessi e differenti per l’elemento religioso,

o storico, o nazionale. Esiste comunque un legame che per molti ebrei è forte ed essenziale con lo

Stato di Israele in termini di memorie, speranze, parentele, identità e garanzia di sicurezza».

L’assemblea rabbinica italiana ha decretato «pausa di riflessione nel dialogo con i cattolici»

che secondo lei hanno fatto un passo indietro di 43 anni, cosa significa questo?

«C’è stata una formula ripresa ai più alti livelli della Chiesa, dalla sua volontà che gli ebrei

riconoscano la salvezza di Gesù. Noi riteniamo che la nostra fede sia autonoma e portatrice di

salvezza e ricordiamo con angoscia i secoli di ostilità antiebraica giustificata dalla volontà della

Chiesa di convertire gli ebrei. Se oggi desideriamo dialogare è perché riteniamo che sia un dovere

confrontarci e testimoniare una volontà di pace nel mondo. Ma la questione della fede di ciascuno

non deve essere tema di dialogo e deve essere rispettata nella sua diversità. Per questo motivo nel

momento in cui viene messo in discussione questo presupposto riteniamo opportuno fare una pausa

di riflessione per capire come possiamo andare avanti in questo impegno comune tanto necessario

tanto difficile».

Giovanni Paolo II è venuto in visita alla sinagoga di Roma, lei ha invitato il papa Benedetto

XVI?

«Fin dall’inizio del suo pontificato».

Perché è stata annullata la visita dell’Imam alla sinagoga? Come sono oggi i rapporti tra ebrei

e musulmani?

«La visita del segretario della grande moschea e dell’Imam è stata solo rinviata. Ci sono da parte

loro dei problemi organizzativi e forse problemi di fondo di ordine politico sui quali stiamo

discutendo. Il mondo islamico, anche in Italia, non è un corpo omogeneo e in generale abbiamo utili

canali di comunicazione con alcuni rappresentanti».

L’ebraismo romano è il più antico nella diaspora occidentale, quanti sono gli ebrei romani e

che caratteristiche hanno?

«Sono circa 13 mila quelli della nostra comunità e altri in numero imprecisabile che non sono

iscritti. Vi sono molti aspetti caratteristici della conservazione di un dialetto locale, tradizioni

culinarie e un rito religioso del tutto specifico. È diffusa la percezione di una sorta di identità

comune, vorrei ricordare un sonetto in giudaico romanesco di Crescenzo Del Monte che esordisce

con le parole: ’’Io so’ judìo romano’’, è un po’ retorico ma ancora espressione di una sensazione

condivisa».

Malgrado il suo impegno lei continua a esercitare la sua professione di medico radiologo?

«Sì, è difficile. ma lo faccio anche per continuare un’antica e nobile tradizione ebraica: essere

contemporaneamente medico e rabbino».