COME SI IMBAVAGLIA LA RICERCA TEOLOGICA. CONDANNATA DAI VESCOVI SPAGNOLI L’OPERA DI JOSÉ MARÍA VIGIL
CREDERE COME GESÙ. VERSO UNA RIELABORAZIONE DEI DOGMI CRISTOLOGICI
Vedere
Il
nucleo del problema
Il cristianesimo dice che il
suo fondatore, Gesù di Nazareth, è Dio stesso, la seconda persona della
santissima Trinità, che si è incarnata nell’Umanità per darle a conoscere
la verità e portarle la salvezza. Se questo è vero, la religione cristiana è
l’unica religione fondata da Dio stesso in persona, e pertanto è la religione
assoluta e indiscutibilmente superiore a cui tutta l’Umanità deve aderire. Le
Chiese cristiane, in effetti, sono note nel mondo per la loro pretesa di
universalità, assolutezza e unicità e per un certo inveterato atteggiamento di
disprezzo verso le altre religioni.Tutto ciò, in realtà, proviene
dall’affermazione dogmatica che Gesù è la seconda persona della Trinità,
incarnata nel-l’Umanità. Questo è il nucleo dogmatico che ha mantenuto il
cristianesimo, durante i quasi due millenni della sua storia, nella coscienza
chiara dell’esclusivismo, coscienza che solo 40 anni fa si è orientata verso
l’inclusivismo e che ora resiste a far spazio all’accettazione di un
paradigma pluralista.
Il
problema nella storia
(…)
Gli effetti di questo nucleo dogmatico non sono rimasti nella sfera puramente
teorica o speculativa: la loro proiezione sociale e politica nel corso della
storia è stata notevole, e certamente dolorosa (…). Alcune situazioni
storiche chiaramente deplorevoli in ambito cristiano sono state giustificate con
la copertura del dogma cristologico dell’in-carnazione. Ne ricordiamo solo
alcune tra le più clamorose: a) l’antisemitismo; b) lo sfruttamento ad opera
del primo mondo (…); c) la subordinazione della donna; d) la superiorità
stessa del cristianesimo e il suo spirito di espansione e di conquista; d) la
divinizzazione dell’autorità ecclesiastica e la riduzione del corpo
ecclesiale alla passività.
L’ermeneutica
del sospetto sulla fede cristologia
(…) L’atteggiamento più
maturo è quello di accettare serenamente un giudizio storico su questi effetti
negativi che di fatto si sono verificati nella nostra storia, e un
riconoscimento onesto di ciò che, nella genesi dell’elaborazione della fede
cristologica e, soprattutto, nella sua invocazione e utilizzazione nel corso
della storia, ha potuto esserci di “ideologico”. Sappiamo bene che molti dei
protagonisti di questa storia sono stati uomini e donne di buona volontà, ma ciò
non ci esime dal riconoscere il fatto reale delle responsabilità umane, per
quanto ricadano non su atti personali ma su strutture sociali, istituzionali o
mentali (…). Per il resto, ci appelliamo alla parola di Gesù: non può una
dottrina buona produrre cattivi frutti né provenire da cattivi semi. Se si
rivelano nella storia segni di pratiche sbagliate sotto la copertura
legittimante di qualche giustificazione teologica, è necessario riconsiderare
questa teologia e riesaminare il processo della sua elaborazione, per cogliere
possibili deficienze tanto nella sua realizzazione quanto nella valutazione
delle sue conclusioni.
Giudicare
Il
problema non viene da Gesù
La prima cosa che
constatiamo è che questo problema non viene certamente da Gesù ma dal Cristo
della fede costruito dalla dogmatica cristiana. L’atteggiamento di Gesù è
totalmente diverso: egli non affermò mai di sé ciò che l’istituzione che a
lui si richiama ha detto di lui. La Chiesa ha vissuto praticamente tutta la sua
storia credendo che fossero storiche le parole che Giovanni gli ha messo in
bocca, che affermavano la sua identità con il Padre, il suo essere “la via,
la verità e la vita”, ecc. Oggi siamo ormai certi che Gesù questo non lo
pensò mai. Non fu mai cristocentrico, ma teocentrico e regnocentrico. Gesù non
predicò mai la dogmatica cristologica, bensì un altro messaggio.Ma il Gesù
“messaggero” della Buona Novella è stato poi trasformato lui stesso in
“messaggio” cristiano. Il Cristo onnipotente, Pantocrator, sostituto di
Giove nel Pantheon romano, si costituì a poco a poco nel messaggio della Chiesa
cristiana sopprimendo a poco a poco il messaggio sovversivo di Gesù, cosa che
ha permesso alla Chiesa di assumere il ruolo di religione ufficiale
dell’impero che aveva giustiziato il suo fondatore. Si è verificato quello
che Díez Alegría chiama “Il grande tradimento”. Si è posto Gesù sul
pinnacolo del Tempio dell’Impero per dargli benedizione e legittimazione ed
esigere, per il suo carattere di unicità, l’unità religiosa di tutta
l’Umanità.
La
costruzione del dogma cristologico
È un’esperienza comune a
qualunque cristiano senza una speciale formazione critica leggere i vangeli
sinottici e credere che vi sia chiaramente espresso il dogma cristologico. Il
fatto è che i testi si trovano già “occupati” da una determinata
interpretazione (…).Per esempio, se leggiamo attentamente e con senso critico
i vangeli sinottici, i più vicini alla storia stessa di Gesù, possiamo
scoprire, in primo luogo, che non ci parlano mai del “Figlio di Dio” come
seconda persona della santissima Trinità: la dottrina della Trinità si sarebbe
elaborata molto più tardi. Quando nei Vangeli sinottici si parla di “Figlio
di Dio” non si sta parlando di “Dio Figlio” (seconda persona della Trinità)
come noi spontaneamente tendiamo a intendere, ma di un concetto pretrinitario di
“Figlio di Dio”, dello stesso tipo di quello applicato a tanti altri
personaggi della storia. Figlio di Dio, in realtà, è un concetto,
un’espres-sione, che non sono propri del vangelo o dell’ebraismo, ma comuni
alle religioni dell’antichità. Figlio di Dio in questo senso si applicava a
quelle persone che per la qualità della loro vita o delle loro opere
rivestivano per la società un significato religioso speciale o specialissimo
(…).Nel Nuovo Testamento vi sono numerosi indizi che mostrano come, in molti
luoghi ed epoche del processo di formazione dello stesso NT, sia prevalsa,
rispetto alla relazione di Gesù con Dio, la linea “adozionista”: nella
lettera ai Filippesi (2,6-11), Gesù sarebbe stato “adottato” come Figlio di
Dio da parte di Dio Padre. Gesù sarebbe stato un essere umano interamente
normale, “secondo la carne”, prima della resurrezione, ma “costituito
Figlio di Dio con potere” dopo la resurrezione (Rm 1,4). Questo è chiaro
negli strati più antichi del processo di gestazione del NT.È negli strati
successivi e ultimi di questo processo che sorge l’idea di una divinità di
Gesù che sarebbe anteriore, preesistente alla sua esistenza umana (…). Di
fatto, nella vita di Gesù, né lui né i discepoli lasciarono vedere questa
prospettiva (…). La realtà fu una non facile convivenza della notevole varietà
di cristologie e di ecclesiologie in tutto il tempo del NT, senza che si possa
dire che vi fosse in questo tempo una dottrina comune né sulla Trinità, né
sulla filiazione divina di Gesù, né su molti altri temi importanti.Lo sviluppo
spettacolare di questi aspetti si registra assai più tardi. Concretamente, nei
secoli IV e V (…). Non possiamo entrare nei dettagli di questa storia. Ci
basterà ricordare gli elementi più noti e significativi relativamente al
nostro tema centrale: la costruzione del dogma cristologico nei concilii di
Nicea e Costantinopoli. In quello di Nicea, l’imperatore non è solo colui che
convoca e che segnala i temi da studiare e dibattere nell’aula conciliare, ma
anche colui che suggerisce e preme perché vengano approvate le decisioni che
vuole lui. Il dibattito, in certi momenti, non è teologico né scritturistico e
neppure pastorale, ma nettamente politico: si tratta di una battaglia tra coloro
che obbediscono e si schierano dalla parte dell’imperatore e coloro che osano
dissentire (…). Costantino impone finalmente le proprie opinioni di fronte a
vescovi senza una guida visibile, sconcertati, impegnati a realizzare un
“concilio” senza averlo convocato e senza sapere bene cosa fare, senza
controllare la situazione, sentendosi e sapendosi funzionari dello Stato,
fortemente corteggiati come moralmente condizionati. Costantino presiede,
dirige, preme e ratifica un Concilio che elabora un dogma cristologico, in
quanto imperatore e senza essere neppure cristiano (…). In ogni caso, dopo
molte vicissitudini, la formula finale del Concilio di Calcedonia (anno 451),
espressa in concetti totalmente estranei al NT e alla fede cristiana
tradizionale neotestamentaria, corregge e completa con la parte umana la formula
della fede cristologica di Nicea: “Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio
unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza
mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è
affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono
salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi”.I tempi erano
così difficili – e probabilmente la formulazione ottenuta era pedagogicamente
così poco felice, e forse non solo per il popolo – che si prese la decisione
di “congelarla”, proibendo di alterarne la redazione, di modificarne le
parole o, ancora meno, di tradurla in un altro ordine di concetti. È quanto darà
il risultato che durerà per secoli: una formula teologica stereotipata e
rigida, ritenuta intoccabile e sacra, l’allontanamento dalla quale, per minimo
che fosse, produceva automaticamente l’accusa di eresia e - per molti secoli
della storia della Chiesa - la condanna da parte del-l’Inquisizione (…).
Nessun’altra formula è stata considerata in maniera tanto letterale, diretta
e rigida, con tanto poco margine di ricorso all’interpretazione o alla
“rilettura” (…). I testi fondamentali cristiani (principalmente le
Scritture) sono stati studiati in tutti i loro strati redazionali, nei loro
influssi e nelle loro debolezze, sono stati riconsiderati e reinterpretati,
senza che in molti casi si sia raggiunta un’una-nimità di criteri, neppure
una certa armonia convergente tra le interpretazioni, e senza che queste
difficoltà creassero troppi problemi. Al contrario, le formule del dogma
cristologico sono lì, nell’immaginario comune dei cristiani, intoccabili,
rigide, inflessibili, senza analisi né riconsiderazione né, tanto meno,
reinterpretazione possibile.Oggi per gli storici e i teologi è evidentemente
indifferibile l’introduzione di un coefficiente di ponderazione riguardo alla
validazione dei concilii cristologici in funzione di questi condizionamenti
fondamentali da cui si sono visti toccati (…). Sta sorgendo tra gli storici e
i teologi un consenso crescente sulla necessità di “riconsiderare”
criticamente la validità e il vero significato di questa costruzione
cristologica. La domanda ha almeno un doppio versante: un aspetto storico e un
altro teologico o epistemologico.Storicamente si tratta di chiarire fino a che
punto i concilii cristologici, con tutti questi aspetti problematici a cui
stiamo semplicemente accennando, riunirono le condizioni sociali minime di pace
e stabilità per poter prendere decisioni realmente ponderate e realmente
ecclesiali, fino a che punto vi furono le condizioni minime di libertà per
rendere possibile una capacità di riflessione politicamente libera, tanto
rispetto alle pressioni dell’impero quanto rispetto alle esigenze della
trasformazione del cristianesimo in religione ufficiale dell’impero e
religione di Stato che stavano condizionando incoscientemente l’istituzione
ecclesiale.Teologicamente o epistemologicamente la domanda è più complessa:
fino a che punto la Chiesa aveva conoscenza teologica e biblica sufficiente
delle fonti documentali e della tradizione della fede cristiana, non diciamo
“come l’abbia-mo oggi”, ma almeno libera da fraintendimenti fondamentali o
dimenticanze inammissibili. Fino a che punto i risultati di questi concilii
nella loro forma e nel loro contenuto sono un riflesso dell’avvenimento stesso
che stava vivendo la Chiesa, la sua trasformazione in religione di Stato. Fino a
che punto devono essere riconsiderati e riletti nella prospettiva odierna della
fede, in una visione che è ad una distanza abissale dalla situazione in cui si
trovarono a muoversi gli improvvisati “padri conciliari” di quei primi
“concilii” (...).
Proposta
recente di revisione
Come abbiamo detto, questo
punto del dogma cristologico è circondato da uno speciale timore reverenziale
da parte dei teologi. Non c’è terreno dogmatico della fede cristiana che non
sia stato rivisto e riconsiderato da diverse vie di approccio; al contrario, in
ciò che riguarda il dogma cristologico, la fecondità teologica è chiaramente
repressa. Presentiamo, malgrado ciò, a mo’ di esempio, una proposta teologica
di revisione cristologica che è diventata famosa, elaborata proprio dal teologo
leader nel paradigma del pluralismo in materia di teologia delle religioni, John
Hick. (…) Hick affronta con una prospettiva storica l’evoluzione del
pensiero su Gesù da parte della comunità dei suoi discepoli. Esiste un ampio
accordo tra gli esegeti sul fatto che Gesù non rivendicò per sé l’attributo
della divinità, né ebbe assolutamente la pretesa di essere Dio incarnato. Fino
a 100 anni fa (e ancora oggi molto diffusamente nei settori non istruiti) si
aveva la certezza che la fede in Gesù come Dio incarnato poggiasse sul suo
stesso insegnamento esplicito: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, “colui
che vede me vede il Padre”, ecc. Oggi “difficilmente troveremo uno studioso
del NT disposto a sostenere che i quattro casi di uso assoluto del ‘Io sono’
che appaiono in Giovanni, o la maggior parte di altri usi, possano attribuirsi
storicamente a Gesù” (Thatcher Adrian, Truly a Person, Truly God,
Spck, Londres, 1990, 77) (…). Hick studia l’uso dell’espressione “Figlio
di Dio” nel mondo ebraico in cui visse Gesù e da cui sarebbe germogliato poi
il NT. Questo linguaggio della filiazione divina era usato diffusamente e in
vario modo in tutto il mondo antico ed era familiare ai contemporanei di Gesù.
Di fatto, afferma Hick, sarebbe stato sorprendente che a Gesù non venisse
applicata questa diffusa divinizzazione onorifica di figure religiose di
prestigio. Hick si rifà in ciò a Geza Vermes: “L’espressione ‘Figlio di
Dio’ è sempre stata intesa metaforicamente nei circoli ebraici. Nelle fonti
ebraiche, il suo uso non implica mai la partecipazione della persona così
designata alla natura divina. Si può supporre con ogni sicurezza che, se
l’ambito nel quale la teologia cristiana si è sviluppata fosse stato quello
ebraico e non quello greco, non si sarebbe elaborata la dottrina
dell’incarnazione come di fatto l’abbiamo”.In ogni caso, per Hich, il
punto determinante di questo processo è segnato dai concilii cristologici di
Nicea e Calcedonia. Uscendo dalle catacombe e volendo occupare lo spazio della
religione ufficiale dell’impero, il cristianesimo si sentì spinto a dialogare
con urgenza con la cultura del momento. Doveva presentare le proprie credenze in
termini filosofici accettabili tanto per la cultura di lingua greca che per se
stesso. Doveva anche raggiungere un insieme unitario di espressioni della fede
cristiana (…). L’eresia fondamentale – afferma – è stata sempre quella
di trattare la metafora religiosa come metafisica letterale, che quello che era
poesia è stato preso come prosa e quello che era metafora è stato interpretato
come fosse metafisica greca (…).Strettamente legata alla dottrina
dell’incarnazione è quella della redenzione. La seconda persona della Trinità
si incarna per assumere la missione di redimere il genere umano dalla situazione
di peccato in cui si trova, a causa della caduta della prima coppia umana nel
peccato originale. Per Hick “l’idea della redenzione o riconciliazione è un
inganno se presa in senso stretto, per quanto, evidentemente, acquisti
un’importanza vitale se presa nel senso ampio in cui riconciliazione significa
semplicemente salvezza. L’idea della redenzione in senso stretto scomparirà
alla lunga tra i cristiani legati alla disciplina della riflessione”. (...)
L’idea di una caduta reale, da cui sarebbe risultata una caduta e una colpa
universali trasmesse in maniera ereditaria, è qualcosa che, almeno per i
cristiani istruiti, risulta completamente impossibile da credere. “Se oggi
crediamo che non si è mai verificata quella caduta umana da uno stato
paradisiaco originale, perché allora correre il rischio di confonderci e di
confondere gli altri parlando come fosse esistita?” (...).
Conclusione.
Agire
Ricaviamo da quanto detto
alcune conseguenze:Deficienze
gravi (inaccettabili?)-
L’ortodossia del dogma cristologico come è stato formulato, e soprattutto
come poi è stato utilizzato in quanto criterio unificante di controllo, soffre
di gravi deficienze, le principali delle quali sono:a) il “cristo dogmatico”
ivi contemplato è un Cristo senza Regno, un Cristo in cui si è persa la
connessione con il Gesù storico, la sua vita, la sua Causa e la sua
predicazione;b) nel Cristo dogmatico si è verificata una “riduzione
personalistica” del Regno di Dio: il Regno è stato concentrato nella sua
persona, eludendo così il regno propriamente tale e il messaggio di Gesù, come
pure la sua storia e la storia che è capace di sviluppare.Non
vale come criterio unico centrale di ortodossia-
Per quanto abbia occupato una posizione di assoluta priorità per molti secoli
nella definizione dell’ortodossia cristiana, oggi sembra essere del tutto
insufficiente per definirla e anche controproducente per esprimerla nella sua
totalità (…), come pure non necessaria a tutti quei cristiani e cristiane la
cui cultura non abbia un’affinità con la cultura da cui sono tanto dipendenti
queste formulazioni dogmatiche.L’“altro”
cristianesimo- Il cristianesimo
del Cristo dogmatico è un “altro cristianesimo”, un cristianesimo diverso
dal cristianesimo del Vangelo del Regno di Dio e della sequela di Gesù. È un
cristianesimo che riduce Cristo a una teoria astratta capace di legittimare il
sistema di “cristianità” (unione religioso-politica della Chiesa con il
sistema sociale di potere istituzionale), con evidenti prove del ruolo
ideologico da esso giocato tanto nella “religione di Stato” in cui si
trasformò il cristianesimo sotto l’impero romano quanto nella sua
partecipazione agli imperialismi delle diverse nazionalità del-l’“Occidente
cristiano” verso il resto del mondo. (…) Il cristianesimo del Cristo
dogmatico ha prodotto nella storia troppi cattivi frutti, che non possono
provenire da un albero buono (…).Credere
in Gesù e credere come Gesù-
Come sottolinea lo stesso Vangelo, è molto più importante seguire Gesù, e
“vivere e lottare per la causa di Gesù” che l’accettare intellettualmente
nella fede alcune affermazioni teoriche relative al dogma cristologico. Di più:
questa ortodossia senza quella prassi non serve a niente; quella prassi senza
questa ortodossia salva. L’importante non è credere “in” Gesù, cosa
facile, ma credere “come” Gesù (…).Ellenismo
prescindibile- Bisogna
riconoscere in modo più coerente il carattere marcatamente ellenistico della
cultura in cui si è costruito il dogma cristologico niceo-calcedonense. Oltre a
riconoscere e ad ammirare il valore di quella Chiesa nel suo tentativo di
tradurre la fede cristiana nella cultura dominante del momento, bisogna
riconoscere anche i gravi condizionamenti e gli errori in cui si è incorsi in
tale tentativo, e bisogna riconoscere allo stesso tempo, in qualche modo, la
caducità e la prescindibilità delle sue formule in contesti culturali
estremamente diversi. Le categorie utilizzate, le preoccupazioni avvertite, le
domande a cui si è data risposta sono parte in buona misura della cultura
occidentale, da cui sono dispensati coloro che non sono occidentali o coloro che
accedono perlomeno a una prospettiva di transculturalità. Allo stesso modo in
cui quelle generazioni cristiane elaborarono in maniera creativa la propria
riformulazione della fede in consonanza con la cultura estranea in cui toccò
loro di vivere, così la nostra generazione ha oggi il dovere di non sentirsi
prigioniera di alcune formule, per quanto venerabili siano, e di esercitare
anch’essa la propria fedeltà creativa, invece di sentirsi obbligata a
equilibrismi ermeneutici con l’illusione di prolungare la vita a formule di un
altro tempo. Reinterpretare la
comprensione dell’Incarnazione-
Il Theologumenon, metafora, mito, simbolo dell’Incar-nazione della
seconda persona della Trinità in Gesù si è rivelato come un simbolo di una
potenza straordinaria e di una virtualità onnipresente. Ma tutti i simboli
religiosi corrono un pericolo quando sono intesi in un modo eccessivamente
fisico e rigido, che va oltre la flessibilità propria di ogni simbolo. Nel
simbolo dell’Incarnazione sono stati introdotti elementi che lo deviano verso
comprensioni deformate dello stesso. Un’intelligenza del “mistero”
dell’Inca-rnazione che includa l’attribuzione al cristianesimo di un grado
di assolutezza e di unicità rispetto a tutte le altre religioni è qualcosa che
va oltre i limiti del contenuto stesso del mistero che questo simbolo veicola.
Un’elaborazione teorica della comprensione dell’Incarnazione che si orienti,
consapevolmente o inconsapevolmente, verso l’attribuzione di una preminenza o
privilegio di elezione ad una razza, ad un popolo o ad una cultura, o persino ad
una religione, è una costruzione teorica che si scontra con altri elementi del
mistero divino, e che in ogni caso va oltre quello che la Rivelazione afferma
quando è letta con una ermeneutica attualizzata (...). - Si impone
l’accettazione di un periodo di “decostruzione” di queste formule
dogmatiche, accettando il fatto che esse partecipano della condizione comune del
linguaggio religioso, sempre bisognoso di reinterpretazione ermeneutica, senza
escludere la revisione del dogma. Ci sembra in ogni caso assai valida la
proposta di Yve Congar – di fronte al recupero ecumenico – di aprire un
periodo di “ri-ricezione” degli “scritti simbolici”, dei decreti
conciliari o pontifici, cioè degli scritti normativi per la fede di ognuna
delle Chiese, di cui esse si sono nutrite nel corso della loro storia. Ogni
chiesa o confessione dovrebbe “ri-accogliere” i propri scritti normativi
“per ricollocarli nell’insieme e nell’equili-brio della testimonianza
della Scrittura”. Il dogma cristologico niceno-calcedonense entrerebbe in
pieno in questa “ri-ricezione” che postulava Congar.- Non è possibile oggi
una rielaborazione cristologica piena, una revisione completa e soddisfacente
dell’intero dogma cristologico. Stiamo semplicemente cominciando a riflettere
a partire da sospetti che hanno trovato conferma e dalla rottura di alcune
antiche sicurezze. Abbiamo bisogno di trovare “nuove risposte” alla sfida
permanente della domanda “e voi, chi dite che io sia?”. Forse devono passare
varie generazioni prima che si possa costruire o dare per costruita una nuova
risposta. In effetti, “la situazione suscita questioni complesse e delicate,
che conviene studiare alla luce della Tradizione cristiana e del Magistero della
Chiesa, al fine di offrire ai missionari di oggi e di domani nuovi orizzonti nei
loro contatti con le religioni non cristiane” (Evangelii Nuntiandi
53). - In ogni caso, mentre continuiamo ad andare avanti, è chiaro che possiamo
smarcarci da tutti questi presupposti teorici e da tutte le implicazioni
ideologiche che la vecchia comprensione del dogma cristologico ha implicati
negativamente nella storia. Come Gesù farebbe, possiamo e dobbiamo dialogare
con le altre religioni, rigettando la vecchia pretesa di essere “l’unica
vera religione”, offrendo con tutto l’amore e tutta l’umiltà quello che
noi viviamo, avidi a nostra volta di scoprire quello che lo Spirito di Dio
realizza in tutti i popoli e in tutte le religioni, per arricchirci anche con
quello.