TUTTE LE RELIGIONI SONO VERE. E FALSE. VERSO UNA RILETTURA PLURALISTA DEL CRISTIANESIMO
ADISTA n° 54 del 12.7.2008
DOC-2017. ROMA-ADISTA. È uscito finalmente anche in italiano il libro di José María Vigil, religioso claretiano ed esponente di punta della teologia pluralista della liberazione, Teologia del pluralismo religioso. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo (Edizioni Borla, 2008, pp. 502, euro 40). Apparso nel 2005 simultaneamente in Spagna e in Ecuador (con il titolo Teología del pluralismo religioso. Curso sistemático di Teología Popular), il libro di Vigil prende sul serio, “con intelligenza e cuore” - come scrive il teologo Andrés Torres Queiruga nella prefazione - la sfida rappresentata dalla pluralità delle religioni “in un mondo al centro di un’unificazione tanto accelerata come mai la storia ha conosciuto” e in cui “non c’è più spazio né per la reciproca ignoranza né per la neutrale distanza”. Lo fa con piena consapevolezza della rivoluzione teorica che il nuovo paradigma del pluralismo religioso comporta, obbligando la teologia a ripensare a fondo tutti i suoi temi basilari (da qui la non certo sorprendente condanna del libro da parte della Commissione episcopale spagnola per la Dottrina della Fede, v. Adista n. 6/08), e lo fa, sottolinea ancora Torres Queiruga, con “un’esposizione chiara, graduale e piena di sfumature, che escludono ogni genere di affrettata semplificazione”. Cosicché il libro “senza venir meno al rigore, risulta accessibile non solo al teologo, ma anche al lettore comune non specializzato”, a tutte le persone “inquiete e in ricerca”. Di più: strutturato come un corso, il volume può essere utilizzato - da comunità, operatori di pastorale, educatori popolari - anche “come manuale di base per organizzare attorno ad esso un corso di teologia popolare”.
Il corso, suddiviso in 24 lezioni, ciascuna delle quali accompagnata da un’offerta di testi antologici e di piste per il lavoro di gruppo, prende avvio, coerentemente con la metodologia latinoamericana del “vedere, giudicare e agire”, dalla realtà data dalla nuova situazione del pluralismo religioso e, dopo aver ripercorso le principali posizioni teologiche espresse in materia di teologia delle religioni, si sofferma sugli elementi fondamentali necessari alla costruzione del nuovo edificio teologico, a cominciare dal concetto di rivelazione, per seguire con gli aspetti biblici e gesuanici, con quelli ecclesiologici e con quelli cristologici. Il corso affronta quindi il tema della dimensione etica delle religioni, attraverso l’elemento, semplice ed elementare, ma non per questo meno rivoluzionario, della cosiddetta “regola d’oro” - quella del “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” -, esplicitamente espressa, con minime varianti, in molte delle grandi religioni e per questo possibile ed auspicabile fondamento del dialogo interreligioso, “terreno comune accettato da tutti per costruire, a partire da esso, consensi più ampi e profondi”. Si giunge quindi al vertice del corso: il riconoscimento che “tutte le religioni sono vere” - con l’ovvia conseguenza che “le verità non si oppongono né si sottraggono, ma si sommano, convergono, si completano” - e che “allo stesso tempo sono false”, per quanto non nella stessa misura né nella medesima forma, in quanto una religione può possedere “una chiaroveggenza e una sensibilità speciali per determinate prospettive, mentre altre religioni ne hanno per altre” e “alcune hanno debolezze e qualche ‘punto cieco’ di fronte a determinati aspetti, altre per altri”. Così, essendo i destinatari del corso principalmente persone di ambito cristiano, il corso si sofferma sui limiti “di questa religione concreta che è la nostra”, a partire da quelli legati alla dimensione ecologica e al patriarcato e alla svalutazione della donna. Concludono il corso le lezioni sulla spiritualità del pluralismo religioso, sulla nuova comprensione della missione alla luce della teologia delle religioni, sul ruolo delle religioni nella mondializzazione, sul rapporto tra pluralismo religioso e teologia della liberazione e sulla pratica del dialogo, con le diverse possibilità di azione e gli atteggiamenti che devono accompagnare tale azione.
Nell’impossibilità di dar conto in poco spazio della straordinaria ricchezza del libro, davvero imperdibile per chi sia interessato ad approfondire il tema del pluralismo religioso, riproduciamo qui di seguito due stralci tratti dai capitoli sugli “Aspetti biblici e gesuanici” e sugli “Aspetti ecclesiologici del pluralismo religioso” (a cui si aggiunge quello del capitolo relativo agli “Aspetti dogmatici cristologici” apparso sul numero 6/08 di Adista, da noi tradotto dalla versione spagnola prima della pubblicazione del libro in italiano). (claudia fanti)
FUORI DELLA SALVEZZA NON C’È CHIESA
ASPETTI GESUANICI
(...). Nel tentativo di avvicinarsi a Gesù, bisognerebbe interrogarsi sulla sua capacità di dare una risposta e un orientamento riguardo al pluralismo religioso: è possibile che un campagnolo galileo, che praticamente non uscì dai confini della propria terra, che non conosceva nulla delle grandi religioni, né delle diverse altre culture presenti nella sua zona, possa aiutarci a illuminare il giudizio religioso e teologico sul problema del pluralismo religioso come oggi, all'inizio del terzo millennio, ce lo stiamo prospettando? (...). Vediamo. Gesù è stato...
Teo-regnocentrico. Questo è indiscutibile: il sogno, la Causa, l’utopia, l’ideale, il centro della vita e della persona di Gesù è stato il Regno di Dio (RD), e il Dio del Regno, come un’unica realtà duale. (...). «II Regno di Dio e la sua giustizia» (Mt 6,33) è quello che deve essere cercato al di sopra di tutto, perché tutto il resto «verrà in aggiunta» o può attendere.
È facile vedere come questo atteggiamento di Gesù può essere il migliore fondamento per un pluralismo religioso di principio, positivo. Il paradigma pluralista, a differenza di quello esclusivista e inclusivista, è teocentrico. Nel linguaggio del vangelo di Gesù, Dio è sempre il «Dio del Regno», e il Regno è sempre il «Regno di Dio», in modo che teocentrismo e regnocentrismo si implichino a vicenda. (...).
Macroecumenico. Gesù ha una comprensione macroecumenica del Regno di Dio. Perché il Regno è Vita, Verità, Giustizia, Pace, Grazia, Amore... là dove c'è presenza di tutte queste realtà, c'è presenza di Regno... (...). Gesù vede il mondo come un immenso campo nel quale ciò che più urge è precisamente mietere (non seminare) il tanto di buono che c'è dappertutto, per questa presenza senza frontiere del Regno...
Gesù non è sciovinista. Non pensa che «solo» noi, o «solo» i nostri siano nel Regno... Dice al gentile: «Non sei lontano dal Regno di Dio», e dice del centurione, come della donna cananea, ambedue pagani: «Non ho trovato tanta fede in Israele» (Mt 8,10; Mc 7,24-30). Del resto, non vede nemici e concorrenti ovunque, al contrario: «Chi non è contro noi, è con noi» (Lc 9,50).
(...) Lo sguardo universalista di Gesù e il suo spirito pluralista si riflettono manifestamente nella sua parabola sul «Giudizio delle nazioni» (Mt 25,31ss). Tutte le nazioni sono giudicate per l'amore e la pratica della giustizia verso gli oppressi, con i quali Egli personalmente s'identifica: «l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Non sarà tenuta in conto la loro identità religiosa, né saranno interrogati sul compimento di nessun dovere «religioso». Basterà la pratica dell'amore e della giustizia, la costruzione del Regno nei termini del Vangelo. (...).
Teoprassico. Gesù è di quelli che pensano che «bisogna mettere in pratica Dio» . O, detto con linguaggio biblico, che si deve «conoscerLo», sapendo però che, nella Bibbia, questo «conoscere» è sempre pratico, prassico, etico, di comportamento, d'intervento nella storia... (...). In continuità con la migliore tradizione profetica (Ger 22,16), Gesù proclama che Dio vuole la pratica della giustizia e dell'amo-re. Fuori da questa pratica, la religione, ridotta a confessione orale, a ortodossia dottrinale o a liturgie rituali, diventa inutile: «Non chiunque mi dice: "Signore, Signore"... ma chi fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21-27); «Beati piuttosto quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,27-28). La religione è «teoprassi», messa in pratica della volontà di Dio. Questo sarebbe un criterio per misurare la veridicità di ogni religione, secondo Gesù. (...).
Anticultuale. È un altro aspetto, più dettagliato, dello stesso carattere teoprassico di Gesù: la prassi dell'amore e della giustizia si colloca al di sopra perfino del culto e delle «pratiche religiose». (...). Le diatribe, le polemiche di Gesù coi farisei (persone sommamente religiose) mostrano che Gesù non era un uomo dell'istituzione religiosa, non era una persona ossessionata dal compimento delle prescrizioni, leggi, regole, proibizioni e mandati... Gesù ha una visione e una pratica della religione che rompe gli schemi della religione stabilita nella sua società...
(...) Naturalmente non è sacerdote, né frequenta i circoli che si muovono intorno al tempio. È un laico. Alcune delle sue parabole sono certamente anticlericali e non mettono in buona luce il personale religioso qualificato (la parabola del buon samaritano, per esempio, Lc 10,25-37).
La samaritana gli fa una «domanda di religione»: dov'è che bisogna adorare Dio, a Gerusalemme o al Garitzim? (cf. Gv 4,20). Cioè: quale religione è la vera, quella degli ebrei o quella dei samaritani? Gesù sorvola sulla domanda - come per dirle che tale domanda è mal posta - e le dichiara che la Verità non è rinchiusa nell'una o nell'altra religione, ma al di là di entrambe: «viene un'ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,24). (...).
A questo si aggancia il punto seguente: Gesù fu...
Non ecclesiocentrico. (...) Gesù non solo non fu ecclesiocentrico, ma non fu neanche «ecclesiastico», non pensò mai di fondare una Chiesa, e si può perfino dire che, in qualche modo, il suo messaggio centrale implicava il superamento di ciò che è una Chiesa istituzionale...
(...) Altra cosa è che, benché «Gesù non abbia fondato la Chiesa, la Chiesa si fonda su Gesù». Questo «fondarsi su Gesù» e attribuire a Lui la fondazione è un meccanismo «normale», oggi ormai ben conosciuto. Con ciò vogliamo dire che questa attribuzione a Dio delle origini di una concreta istituzione religiosa è un procedimento abituale nel mondo delle religioni, anche nel cristianesimo. (...).
Oltre la «Religione?». (...) Non manca in teologia l'o-pinione ricorrente che il messaggio di Gesù potrebbe significare il superamento della religione. (...). Egli vuole una religione nella quale si adori «in spirito e verità», non legata né a tempi né a spazi sacri, con una morale di libertà: «il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato» (Mc 2,27), poiché «Cristo ci ha liberati perché fossimo veramente liberi» (Gal 5,1). Per lui la cosa principale è la vita stessa: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Però, questa «novità» alla quale Gesù chiama rientra all'interno di una «religione»? A cosa stava richiamando Gesù? A una purificazione della religione, a una nuova religione, o al superamento della religione stessa? Si potrebbe dire che la missione di Gesù era anche quella di liberare l'essere umano dal peso delle religioni antiche, a cominciare dalla sua, che imponeva alla gente «pesi che non potevano sopportare»? Sarebbe dunque un'eresia dire che ciò che Gesù pretese era di far prendere coscienza alla gente che la stessa religione, soprattutto nei suoi aspetti legislativi, culturali e rituali, finisce per essere una schiavitù, mentre la vera fede, la vera spiritualità, dovrebbe essere la grande liberazione da tutto ciò che opprime le coscienze? Egli voleva un altro tipo di rapporto dell'essere umano con Dio...
«Gesù non richiamò a una nuova religione, ma alla vita» dirà Dietrich Bonhoeffer. (...).
ASPETTI ECCLESIOLOGICI DEL PLURALISMO RELIGIOSO
(...) La precomprensione riguardo alla Chiesa
(...) Solo in epoca recente, nei due ultimi secoli, abbiamo recuperato la realtà storica di Gesù, il «Gesù storico». (...). Oggi sappiamo che molte affermazioni che furono prese alla lettera come se fossero affermazioni «storiche» direttamente e letteralmente descrittive della realtà, non lo sono veramente, ma sono piuttosto affermazioni teologiche. Qualcosa del genere succede col tema della fondazione della Chiesa, o della transizione da Gesù alla Chiesa. Tradizionalmente si è giunti a dire che Gesù avrebbe fondato la Chiesa con un atto formale, giuridico, ben concreto e, con le sue istruzioni ai discepoli, l'avrebbe dotata perfino di strutture, ministeri, sacramenti... (...). Di modo che tutte queste strutture, dimensioni ed elementi che formano la Chiesa sarebbero qualcosa di «voluto da Dio», «di diritto divino», dato e rivelato al mondo dallo stesso Figlio di Dio, qualcosa che noi non possiamo che accettare incondizionatamente e conservare con la massima fedeltà. Così ha pensato la Chiesa durante quasi due millenni. Così a noi hanno insegnato. Così la pensano molti cristiani di oggi e la quasi totalità dei dirigenti della Chiesa. Questa è la dottrina ufficiale; per molti, indiscutibile. (...). E se tutto quello che ci fu detto, però, non corrispondesse alla realtà? (...).
Cosa pretese Gesù
Se Gesù non fondò la Chiesa, che cosa volle fondare? Volle per caso fondare qualcosa? O «in definitiva, cosa pretese Gesù?». (...). Il dato storico più sicuro riguardo alla vita di Gesù è che la sua predicazione ruotava attorno al «Regno di Dio». Questo fu il tema della sua predicazione, il suo assillo, il suo sogno, la passione che lo muoveva, la Causa per la quale visse e lottò, ciò che nella sua vita ebbe per lui un valore «assoluto». (...). Per questo, è importante esaminare cos'era il RD che predicava. E perciò, conviene chiarire in primo luogo cosa non era per lui il RD.
- Per Gesù, la cosa più importante, «il termine ultimo», la sua Causa, non era egli stesso: Gesù non predicò se stesso. Egli non considerava se stesso come la cosa più importante. Egli considerava se stesso non assoluto, ma relazionale: al servizio del RD.
- Per Gesù, «termine ultimo» non era nemmeno e semplicemente Dio. Gesù non parla direttamente solo di Dio... Per Gesù, Dio è sempre il «Dio del Regno», il Dio che ha una volontà, un progetto, una vicinanza, una volontà, una paternità salvatrice... Per Gesù, Dio non è un «in sé».
- Il RD per Gesù non era una nuova Chiesa, alla quale non pensò mai. Non si può lecitamente interpretare quello che Gesù dice del RD come se lo stesse dicendo della Chiesa. (...).
- Il RD non è la «grazia», la «vita dell'anima»... Il RD come il «Regno di Dio nelle anime attraverso la grazia», ottenuta per la morte espiatrice di Gesù, depositata nella Chiesa e distribuita per mezzo dei sacramenti è qualcosa che Gesù non avrebbe mai potuto pensare nella sua vita.
- Il RD del quale parlava Gesù non è il cielo... per quanto il vangelo di Matteo parli, invece che di RD, di «Regno dei cieli», perché si rivolgeva a cristiani di origine ebrea, che tradizionalmente evitavano la parola «Dio» e la sostituivano con la circonlocuzione «dei cieli». Gesù non era un predicatore che perseguiva la «salvezza delle anime», per liberarle dall'inferno e far sì che raggiungessero il «regno del cielo»...
La cosa più importante per Gesù
Che cosa era dunque per Gesù la cosa più importante, ciò che egli chiamò RD? Gesù non lo spiega mai sistematicamente. Tra l'altro perché RD non è un concetto creato da lui, ma un concetto già esistente, che proveniva dai tempi dei profeti. Tutti i suoi contemporanei parlavano del RD. Quello che Gesù fa è dare alcune sfumature al concetto e prendere le distanze dalla comprensione che di esso avevano i farisei, gli zeloti, gli esseni...
Gesù iniziò ascoltando il suo popolo e unendosi alle sue grandi speranze. «Il popolo era in attesa» (Lc 3,15). Si attendeva un intervento di Dio che avrebbe trasformato la realtà. Il RD sarebbe stato una trasfigurazione e trasformazione radicale della realtà, di questa realtà, che sarebbe stata finalmente introdotta nell'ordine della volontà di Dio. Il RD sarebbe stato «non un altro mondo, ma questo, però completamente altro», totalmente rinnovato, sottomesso finalmente al disegno di Dio e perciò guarito, purificato e interamente trasformato. (...).
In ogni caso, il RD era sulla linea dell'attesa della fine del mondo. Il messaggio di Gesù, la sua predicazione, erano profondamente escatologici: attesa verso il compimento finale di una promessa divina che è imminente nella storia.
Era dunque molto lontano dal pensare alla costruzione di una iniziativa istituzionale di lungo termine, organizzata, stabilita giuridicamente, pensata per restare nei secoli dei secoli, e per estendersi a tutta l'Umanità rimuovendo e sostituendo le altre religioni... Ciò che Gesù promosse con la sua vita e la sua predicazione fu in realtà un «movimento», il «movimento di Gesù», la piccola e grande cerchia dei discepoli, senza organizzazione, senza distinzione nemmeno rispetto al giudaismo, o al massimo come una «corrente» in più delle molte che si trovavano nel conglomerato multiforme del giudaismo dell'epoca.
Quello che Gesù pretese e riuscì a liberare fu un movimento incoraggiato da un messaggio vitale, da una speranza basata sul RD, come utopia che mette in moto meccanismi perché sia accolta, preparata, costruita, e che impegna a una lotta contro gli elementi di «antiregno», quelli cioè che si oppongono al RD. (...). Una religione? Ebbene... sì, e no. Sì, senza dubbio, come una «religione profonda», in quanto per la vita umana si tratta di un senso ultimo, che la mette in relazione col fondamento assoluto dell'essere che chiamiamo Dio. E no, non perlomeno una «religione sociologica», non una Chiesa stabilita e concreta, progettata fin negli ultimi dettagli rituali e giuridici, concepita come la concreta e unica figura istituzionale in cui la «religione profonda» potesse prendere corpo. (...).
La svolta copernicana del cristianesimo nel secolo IV
Nell'anno 311, con l'Editto di Nicomedia, Galerio concede la tolleranza a favore del cristianesimo. Nell'anno 313, nel cosiddetto Editto di Milano, Costantino decreta la totale libertà di culto, con la riparazione dei danni subiti dai cristiani. Nell'anno 324 lo stesso imperatore manifesta il desiderio che tutti diventino cristiani, anche se viene proibito che siano importunati coloro che non lo fanno. Nel 380, per la parte orientale dell'impero, Teodosio il Grande ordina nell'editto di Tessalonica «che tutti i popoli dell'impero abbraccino la fede che la chiesa romana ha ricevuto da san Pietro». Nel 392 la legge dichiara crimine di lesa maestà i culti non cristiani. Il cristianesimo passa ad essere l'unica ed esclusiva religione dell'Impero, sia in Oriente che in Occidente.
Ottant'anni dunque, dal 311 al 392, hanno segnato una svolta storica radicale. Il cristianesimo passò dall'essere una religione marginale e frequentemente perseguitata, ad essere la religione tollerata da principio, preferita in seguito, ufficiale, imposta e obbligatoria più tardi, e infine l'unica tollerata. Passò dalle catacombe al palazzo imperiale. E ciò che è più grave: diventò una religione che legittimò la persecuzione delle altre religioni e la censura e la persecuzione anche all'interno di se stessa.
Qui avvenne qualcosa di molto grave. Il cristianesimo raggiunse la libertà religiosa, cosa che fu molto importante e giusta, e molto utile per l'estensione del cristianesimo. Ma fu gravissimo che il cristianesimo accettasse di essere la religione ufficiale dell'impero, cioè, che accettasse di occupare il posto della religione ufficiale dentro un impero che aveva già una religione pubblica ufficiale che da sempre aveva configurato la società imperiale. Fu cosciente il cristianesimo di ciò che significava questa accettazione? (...). Se la religione cristiana accettava alla fine di occupare questo posto, sarebbe stata essa che avrebbe trasformato la società imperiale romana, o questa avrebbe finito per trasformare la religione cristiana? Si può immaginare che Gesù avrebbe accettato di essere intronizzato come un re in un impero e in una società così ingiusta, senza aver preteso prima che questa società smettesse di essere ingiusta e di essere impero, stabilendo l'amore come legge sociale e i valori evangelici come norma sociale? (...).
Appena concessa la libertà di culto, l'imperatore prende l'iniziativa di convocare i vescovi ad un «concilium» per unificare la dottrina. È lui che convoca, che invita e paga. I vescovi sono portati con la posta imperiale, in carrozze di lusso a carico dello Stato. Cominciano ad essere funzionari dello Stato. Il Concilio si realizzerà nel palazzo d'estate di Costantino. L'imperatore invita i vescovi a un banchetto regale. Si fa fatica a mantenere la serenità quando si legge il racconto di questo banchetto imperiale celebrato al termine del Concilio di Nicea, che dice così: «Alcuni distaccamenti della guardia e dell'esercito circondarono l'entrata del palazzo con le spade sguainate, e passando in mezzo a loro senza paura, gli uomini di Dio [i vescovi] penetrarono nelle stanze private dell'imperatore, dove si trovavano a tavola alcuni suoi amici, mentre altri giacevano in letti situati all'uno e all'altro lato del soggiorno. Chiunque avrebbe pensato che si trattasse di un quadro del Regno di Cristo, di un sogno diventato realtà». L'autore di questo racconto è il vescovo Eusebio di Cesarea, il famoso storiografo della Chiesa del IV secolo. Crossan, a sua volta, commenta: «Di nuovo appaiono mescolati il banchetto e il Regno, ma gli invitati sono adesso i vescovi, tutti di sesso maschile, che mangiano reclinati su letti in compagnia dello stesso imperatore e aspettano di essere serviti da altri». Eusebio - che riflette nella sua storia il punto di vista della Chiesa del suo tempo - vede realizzato il Regno di Dio nel banchetto dei vescovi serviti dall'Imperatore. Gesù avrebbe riconosciuto in tale scena il Regno da lui predicato? (...).
Bilancio teologico della svolta costantiniana
(...) Facciamo semplicemente un bilancio di ciò che questa trasformazione «costantiniana» della Chiesa ha significato in termini teologici:
- Il messaggero ha soppiantato il messaggio. Gesù, che mai predicò se stesso, diventò egli stesso l'oggetto centrale della predicazione della sua Chiesa. (...). Il centro della Chiesa non è più il RD, quanto Cristo, il Pantocrator.
- Il Messia si de-messianizzò. (...). Detto più concretamente: la speranza di salvezza storica fu sostituita da una speranza di salvezza solo trascendente, e inoltre individuale e spirituale. Il cristianesimo cessa di presentarsi come una speranza per i popoli oppressi, come una «buona notizia per i poveri», come un messaggio liberatore, e si presenta semplicemente come un messaggio «puramente religioso», morale, di perdono dei peccati, di grazia interiore, di salvezza dopo la morte... (...). Il RD, in ciò che ebbe di contenuto concreto della predicazione di Gesù, si eclissò interamente nella Chiesa per un periodo lunghissimo, benché non smettesse di riapparire costantemente nei movimenti rinnovatori e sovversivi, continuamente soffocati e stigmatizzati dall'istituzione ecclesiastica come eterodossi o eretici.
- Il Regno di Dio perse così il suo «carattere storico-escatologico», cioè non fu più compreso come l'«utopia» che Gesù aveva predicato, cessò di essere visto come il progetto di Dio stesso per trasformare la realtà storica e introdurla nell'ordine della sua volontà... e cominciò a essere abbassato a una visione più «topica» (in un luogo più concreto), che trovò la sua espressione più plausibile nell'identificazione con la Chiesa: il Regno di Dio è la Chiesa. (...). Essa è il «Regno di Dio sulla terra», la «città di Dio», l'arca di Noè per la salvezza del-l'Umanità. Alla fine tutto questo condurrà all'intronizzazione della dottrina del «fuori della Chiesa non c'è salvezza». (...).
- La predilezione per i poveri cedette all'alleanza con le dominanti, con lo stesso potere politico. (...). La nota tensione del vangelo rispetto alle ricchezze, al potere e ai ricchi è ammorbidita e messa in penombra. Gli stessi vescovi passano ad essere grandi signori, colmati di ricchezze dall'autorità civile, lontani dai poveri, incapaci di mettersi in sintonia con i loro interessi sovversivi. L'opzione sarà per i potenti, benché con la buona intenzione di incoraggiare i ricchi alla beneficenza verso i poveri...
- L'alleanza col potere politico portò la Chiesa ad avvalersene e a sostenersi con la violenza, per imporsi e imporre la fede nella società, emarginare i dissidenti, estirpare le eresie. (...). Le Crociate saranno il climax della guerra religiosa nel cristianesimo. E l'Inquisizione sarà l'espressione più sconvolgente di questo utilizzo della violenza da parte del cristianesimo.
- Il cristianesimo, che era originariamente un «movimento», erede del movimento di Gesù, senza templi, senza riti, senza leggi, senza sacre autorità («ger-archia»), senza «sacerdoti», senza clero, senza al proprio interno... si trasformò sociologicamente in una «religione», come la religione romana che aveva spodestato, e che venne a rimpiazzare nel suo ruolo di «religione di Stato». (...).
- La Chiesa divenne erede dell'impero romano. (...). Quando questo si smantellò, la Chiesa si vide nella necessità di sostituire il ruolo dell'autorità con inevitabili compiti di supplenza, arrivando a occupare il vertice del potere sociale e politico nella società medievale di «cristianità». Questo connubio col potere segnerà pesantemente la storia del Chiesa per secoli. (...). Lungi dall'essere stata superata, questa origine è nell'attualità che mostra più chiaramente fino a che punto tanti elementi che credevamo ancora essere «eredità di Gesù» sono piuttosto eredità dell'impero romano e tradimento del Vangelo, nella dottrina, nel culto, nel diritto, nell'organizzazione, nei ministeri, nella liturgia, ecc. (...).
La cosa più importante di tutto ciò che stiamo dicendo è che non si tratta di un passato remoto della storia della Chiesa. (...). C'è di più: in realtà non si può dare per superato neanche col Concilio Vaticano II. (...). In due sensi: in primo luogo, perché la configurazione stessa che la situazione di cristianità ha lasciato nella Chiesa (ministeri, organizzazione, strutture, diritto, teologia, liturgia, clericalismo...) è ancora lì, e passerà molto prima che si discernano e si superino tutti gli elementi che sono accidentali e che potrebbero e dovrebbero cambiare; in secondo luogo, perché, come si sa, la «ricezione» del Vaticano II risulta attualmente bloccata.
Recupero del regnocentrismo nell'attualità
Arrivati a questo punto, e per non prolungare la descrizione degli elementi storici del tema, cerchiamo di esporre molto brevemente come vediamo attualmente i rapporti Regno/Chiesa, una volta realizzato il recupero che il rinnovamento degli studi biblici e teologici ci hanno procurato.
- Bisogna distinguere tra il Regno e la Chiesa. Non possono essere equiparati né identificati. Identifichiamo presenza di Regno «nella» Chiesa, ma non identifichiamo il Regno «con» la Chiesa. La Chiesa è «germe e principio» del Regno (LG 5).
- Il Regno è più grande della Chiesa: anteriore, più esteso e intenso, con molte forme di precedenza sulla Chiesa... Il Regno è l'Assoluto, «l'ultimo», è la Causa di Gesù, la «stessissima intenzione di Gesù”.
- La Chiesa è (dev'essere) interamente a servizio del Regno. Accoglierlo come dono, assumerlo come responsabilità, costruirlo nella storia, annunciarlo, riconoscerlo dove è già è la missione della Chiesa, missione che le viene dalla sua sequela di Gesù. (...).
- Il Regno non è legato alla Chiesa. Dio è presente, conduce, ispira, fermenta, provoca, spinge... nella Chiesa e più in là di essa. Prima e dopo di essa. In essa e - molto di più - fuori di essa. Con essa e senza di essa. E a volte, contro di essa. (...). Come Dio è percepito, cercato e invocato con «molti nomi», così pure il RD è accolto e cercato sotto molti nomi. Il nome «Regno di Dio» è uno tra i molti che possono designare il mistero a cui si riferisce.
- La differenza e la distanza tra la Chiesa e il Regno fa sì che questo sia istanza critica di quella, ed è ciò che origina la critica profetica all'interno della Chiesa stessa, come anche il conflitto. Ogni cristiano, seguace di Gesù, è chiamato a denunciare nella Chiesa ciò che va contro il Regno.
- La Salvezza è la realizzazione del Regno, qui e là, in questo mondo e nell'altro, dentro e/o fuori la Chiesa. La nostra adesione al regno e ai suoi valori è ciò che fa presente il RD in noi, ed è ciò che ci conferisce profonda identità di Chiesa, partecipazione al suo mistero. (...).
- Se in altra epoca si disse che «fuori dalla Chiesa non c'era Salvezza», oggi siamo coscienti che non solo c'è Salvezza (Regno) fuori della Chiesa, ma possiamo arrivare a dire: «Fuori della Salvezza non c'è Chiesa». Vale a dire: fuori del servizio al Regno, fuori della Buona Novella per i poveri... non c'è vera Chiesa di Gesù.
- «La strada ordinaria - per la maggioranza - di Salvezza per il genere umano sono le religioni non cristiane». Il Regno è presente oltre la Chiesa, in altre religioni... La vera religione di Dio è la storia universale della sua Salvezza. (...). Salvezza, Regno, Rivelazione, Parola di Dio... superano completamente i limiti «ecclesiastici» e perfino i limiti «cristiani», benché abbiano in essi una realizzazione specifica.
- Tutti gli esseri umani sono elevati all'«ordine della salvezza, e nessuno è in inferiorità di condizioni salvifiche o di grazia per non essere nato in una etnia o in una cultura determinata... Della Salvezza si appropriano gli esseri umani con la pratica dell'amore e della giustizia, e questo è alla portata di tutti. (...).
- Dal Regnocentrismo il cristiano non può più guardare il mondo «ecclesiasticamente», ma dai parametri del Regno e della Salvezza. Non le persone né le realtà secondo il loro rapporto con la Chiesa, ma soprattutto secondo il loro rapporto con il Regno. I non cristiani (atei inclusi) non fanno parte della Chiesa, ma possono essere molto addentro nell'«economia del Regno», potendo occupare nell'ordine della Salvezza, o del Regno, un «posto maggiore» di quello di molti cristiani. La cosa più importante per noi non è «battezzarli» e incorporarli alla Chiesa, bensì convertirli al Regno, se non lo sono, e aiutarli ad avanzare sempre di più verso di esso per la loro strada, così come approfittare del loro aiuto per convertirci anche noi sempre di più al Regno.
Conseguenze per il pluralismo e il dialogo interreligioso
(...) - È necessario distinguere bene ciò che è e ciò che non è la “religione di Gesù”. La Chiesa deve convertirsi al RD, alla “religione di Gesù”. Dobbiamo riconoscere e combattere gli errori storici della Chiesa, la dinamica istituzionale storica che la porta a guardare se stessa, ad autointronizzarsi, a considerarsi l'eletta, la depositaria unica della Salvezza... (...).
- Solo un cristianesimo regnocentrico è il cristianesimo di Gesù, e solo esso dialoga con autenticità interreligiosamente. (...).
- La riscoperta del Regnocentrismo è stata uno dei maggiori avvenimenti di trasformazione nella storia recente del cristianesimo: è avvenuto un «cambiamento di paradigma» fondamentale che separa due tipi di cristianesimo essenzialmente diversi, benché possano teoricamente restare sotto lo stesso ombrello sociologico o istituzionale. Nominalmente siamo nello stesso cristianesimo, ma realmente si tratta di due cristianesimi che poco hanno in comune. Solo il regnocentrico è gesuanico e autentico cristianesimo. L'ecclesio-centrico è una deformazione grave dello stesso, una perversione cristallizzata a partire dal secolo IV, che ha dominato nei due primi millenni della Chiesa e che infine è stato squalificato a livello teologico; ciò che è necessario ora è riuscire a superarlo e ad eliminarlo, nonostante la forte resistenza opposta (ovviamente) dall'istituzione, attraverso un processo che, in definitiva, non è altro - con più o meno ritardo - che la «cronaca di una trasformazione annunciata». (...).
- Il paradigma del regnocentrismo squalifica da un lato l'ecclesiocentrismo e, dall'altro, stabilisce, sotto l'assoluto del Regno, una valutazione completamente diversa da quella dell'ecclesiocentrismo.
I cristiani regnocentrici si sentono più uniti a coloro che lottano per il Regno (per la Salvezza, per la Buona Notizia, la Liberazione) anche fuori dalla Chiesa o senza riferimento a essa, che a coloro che si oppongono alla Salvezza, forse perfino in nome di Cristo e della sua Chiesa. «Il Regno unisce, / la Chiesa divide, / quando non coincide con il Regno» (P. Casaldàliga). Il Regno unisce tutti gli uomini e le donne con le quali condividiamo la Grande Utopia (il RD nel nostro vocabolario), con i quali condividiamo la lotta per la Causa dei poveri (che coincide per i cristiani in qualche modo con la Causa di Gesù), per la Giustizia, per la «Vita in abbondanza» (Gv 10,10), senza che faccia da ostacolo la confessione di un'altra religione. (...). Si tratta dunque di un ecumenismo nuovo - un ecumenismo del Regno - che riconfigura le frontiere tradizionali, eliminandone alcune e innalzandone altre, riconfigurazione in ogni caso sul criterio assiologico del Regno.
- Ciò che importa non è il dialogo religioso ma il RD. O detto meglio: a noi importa il dialogo religioso perché è parte del regno di Dio. Il principale e vero ecumenismo, abbiamo detto, è l'«ecumenismo del RD». (...). In quest'epoca della storia dell'Umanità Dio vuole da noi che, rispettando la ricchezza del pluralismo religioso (un pluralismo «di principio», positivo, voluto da Dio), pratichiamo la «religione universale» della vita e la verità, la giustizia, la pace e l'amore, il Regno!, qualunque sia il nome che gli diamo.
- In ogni caso, un messaggio di gioia e di entusiasmo: affrontare il pluralismo religioso e il dialogo interreligioso non è un «problema» nuovo, una difficoltà di questi «tempi moderni difficili e ostili», bensì, al contrario, una magnifica opportunità che non potevamo immaginare anche solo alcuni anni fa, un'occasione per rifare e riformulare ora tutto il nostro patrimonio simbolico cristiano tradizionale da un'altra prospettiva, una nuova «missione» (realmente nuova), un «kairós».
- L'ecumenismo o il dialogo interreligioso per ora dovrà essere pratico più che teorico. Non è possibile risolvere di colpo, astrattamente, le questioni dogmatiche. Queste possono attendere. (...). È importante cominciare dall'inizio, dal centro, dalla vita a cui Dio tutti chiama, dalla «vita in abbondanza» (Gv 10,10) di cui tutti abbiamo bisogno, che è il progetto di Gesù e il progetto di Dio (che per noi cristiani si chiama Regno). Solo così, eviteremo di costruire la casa dal tetto, troveremo il nostro punto di appoggio nel centro stesso della nostra esperienza religiosa, e il nostro sarà un «ecumenismo del Regno».