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«Al mio popolo dico: la via è la resistenza non violenta»

intervista a Hanan Ashrawi a cura di Umberto De Giovannangeli

in “l'Unità” dell'8 gennaio 2009

«Guardate quei filmati su YouTube. Imprimetevi nella mente lo sguardo terrorizzato dei bambini di

Gaza. Guardateli negli occhi: troverete una paura senza fine. Molti di quei bambini sono morti di

paura, quando non sono stati uccisi dai bombardamenti israeliani. Guardate quei corpi estratti dalle

macerie delle scuole dell’Onu rase al suolo dall’artiglieria israeliana. Guardateli e chiedetevi: cosa

c’è di “difensivo”, di moderato, in questo massacro d’innocenti?. Guardateli. E pensate cosa

possono provare i loro fratelli o i loro padri, Su questi massacri sta crescendo in tutto il mondo

arabo un odio profondo verso Israele». La sua voce è incrinata dalla commozione e dalla rabbia. Le

sue parole sono impastate di sdegno.

Se c’è una dirigente palestinese lontana anni luce dai fondamentalisti di Hamas, questa dirigente è

Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Anp, prima donna portavoce della Lega Araba, paladina dei

diritti umani nei Territori. «Ho sempre combattuto Hamas, ma non ho mai pensato che la sua

sconfitta potesse venire da una prova di forza militare, per di più condotta da Israele. Già in passato

Israele ha provato a decapitare la leadership di Hamas, assassinando il suo stesso fondatore (sheikh

Ahmed Yassin, ndr.). Il risultato è stato il rafforzamento di Hamas. Israele aveva una carta da

giocare per sconfiggere veramente Hamas: realizzare una pace giusta, fondata sulle risoluzioni Onu.

La carta della nascita di uno Stato palestinese realmente indipendente, sovrano su tutto il suo

territorio nazionale. Invece ha spacciato per uno “Stato in fieri” i bantustan della Cisgiordania».

A Gaza si continua a combattere. Le armi si sono fermate per sole tre ore. È ancora guerra

totale.

«No, a Gaza non è in atto una guerra totale. A Gaza è in atto un massacro totale. A morire, a

centinaia, sono donne e bambini, come quelli sepolti sotto le macerie delle scuole dell’Onu

bombardate nella Striscia».

Israele afferma che la sua è un’azione difensiva.

«Difensive sono le tonnellate di bombe sganciate sull’area più densamente popolata al mondo?

Inorridisco al solo pensarlo. Ho sempre denunciato la militarizzazione dell’Intifada. Hamas è parte

di questa degenerazione che ha fatto solo il gioco dei falchi israeliani. Da tempo ritengo che tra

terrorismo e rassegnazione, vi sia una terza via più efficace e coraggiosa: quella della resistenza non

violenta...».

Linea contestata da Hamas.

«Lo so bene. Ma niente può giustificare la mattanza che Israele sta praticando a Gaza. Niente. In

tempi meno tragici avevo chiesto il dispiegamento di una forza d’interposizione ai confini fra Gaza

e Israele. Prima di Hamas, a dire un no secco è stato Israele, perché intendeva quella forza di pace

come il cedimento ad una “internazionalizzazione” del conflitto israelo-palestinese. E invece solo

una “internazionalizzazione” del conflitto può ridare una chance al negoziato».

Può essere Al Fatah del presidente Abu Mazen la vera alternativa a Hamas?

«Hamas ha costruito le sue fortune elettorali sul discredito di una classe dirigente accusata, e a

ragione, di corruzione e incapacità. Senza un profondo rinnovamento non solo di persone ma della

concezione stessa di governo, l’alternativa a Hamas sarà la disgregazione...».

Pace è una parola impronunciabile?

«No, è una parola che va riempita di contenuti, alla quale legare un’altra parola-chiave, altrettanto

importante: Giustizia. Quella che da decenni il mio popolo reclama invano».