Il Cavaliere tra processi, prescrizioni e
voglia di cambiare la Carta
di GIUSEPPE D'AVANZO
Repubblica 28 ottobre 2009
Anche per i giudici dell'appello, David Mackenzie Mills è un testimone
corrotto e, se c'è un corrotto, ci deve essere un corruttore. Il corruttore
è Silvio Berlusconi. Non è in aula, è decisamente in salvo. Ma questa nuova
sentenza pesa su di lui come un macigno - o come un incubo - perché ripropone
un paio di cose che sappiamo (o dovremmo sapere) del capo del governo. Se ne
possono elencare tre. Raccontano come la frode sia stata la via maestra per
costruire - prima - e per difendere - poi - l'impero Fininvest/Mediaset.
Spiegano le torsioni della sintassi legale del presente. Annunciano la
tempesta politica che scuoterà il Paese in un prossimo futuro.
Non c'è bisogno di farla tanto lunga. Mills, per conto di Berlusconi, crea un
arcipelago di società off-shore (All Iberian). Quando i procuratori di Milano
ne scorgono il profilo, per Berlusconi è questione vitale inventarsi
l'impossibile per uscire dall'angolo. La corruzione di Mills, pagato dal capo
del governo per mentire in aula, è un passaggio obbligato. Il motivo è
elementare. Le società, create e amministrate dall'avvocato inglese,
custodiscono il grande, indicibile segreto dell'Egoarca. Lungo i sentieri
storti del "group B very discreet della Fininvest" transitano quasi
mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che premiano Bettino Craxi
per l'approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi in Cct destinati alla
corruzione del Parlamento che approva quella legge; la proprietà abusiva di
Tele+ (viola le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le
"fiamme gialle"); il controllo illegale dell'86 per cento di
Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l'acquisto fittizio di azioni
per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; le
risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma
(gli consegnano la Mondadori); gli acquisti di pacchetti azionari che, in
violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori,
Rinascente.
Strappato il velo che nasconde questa scena, Berlusconi non solo ci rimette le
penne in un tribunale, ma del mito che ha costruito per sé e il suo talento,
che cosa resta? Il tableau polverizza il "corpo mistico"
dell'ideologia berlusconiana. Ecco ora che cosa si vede: al fondo della
fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, la
corruzione della politica, della Guardia di Finanza, di giudici e testimoni;
la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia
e in Europa. Ancora nel giugno dell'anno scorso, Berlusconi nega: "Non
conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei
dalla vita politica, lascerei l'Italia" (Ansa, 20 giugno 2008, ore
15,47).
Come sempre, Berlusconi intreccia in un unico nodo il suo futuro di leader
politico, "responsabile di fronte agli elettori", e il suo passato
di imprenditore di successo. Crea un confine indefinibile tra pubblico e
privato. Se ne comprende il motivo perché, nell'ideologia del premier, è il
suo trionfo personale che gli assegna il diritto di governare il Paese. Le sue
ricchezze sono la garanzia del patto con gli elettori e dell'infallibilità
della sua politica; il canone ineliminabile della "società
dell'incanto" che lo beatifica. Per salvarsi da questo disvelamento,
Berlusconi è disposto a ogni magia. E' storia dell'altro ieri. Cancella
reati. Distorce le regole del processo. Riscrive i tempi della prescrizione.
In posa da povero cristo, dice di aver subito 106 processi.
E' una favola. La ripetono come un'eco i commessi a stipendio e le ugole
obbedienti retribuite con il canone televisivo (sono dodici i processi finora,
più quattro ancora in corso). Non si accontenta. Minaccia di gettare per aria
l'intera amministrazione della giustizia fermando centomila processi per
affossarne uno solo, il suo. Ottiene in cambio dal Parlamento - quasi fosse
un'estorsione - una legge che lo rende immune. La scrivono male. E' uno
sgorbio. La Corte costituzionale la cancella, ma il risultato - l'Egoarca -
l'incassa. Era a un passo dalla condanna, la "legge Alfano" lo
esclude dal processo. Che ora ricomincia di nuovo, davanti a nuovi giudici che
dovranno valutare le fonti di prova, le ventidue testimonianze, le nove
rogatorie, come se un processo non ci fosse già stato.
Non ce la si farà in un anno e mezzo e quindi il processo nasce ferito a
morte in attesa che l'uccida la prescrizione. Siamo al presente. Berlusconi
non si fida di quest'esito. Si sente accerchiato dalle ombre. Vive di
sospetti. Vede in ogni angolo un congiurato. Avverte, come un tormento, il
declino della sua parabola. "E se usassero quel processo per farmi
fuori?" si chiede. Vuole una norma ordinaria, approvata presto, prima di
Natale, che gli dia la certezza che quella storia si chiuda definitivamente.
Vuole una prescrizione ancora più stretta. Difficilmente l'avrà, a quanto
pare. Manipolerà così un "legittimo impedimento" più rigido e
restrittivo, che gli consentirà di prendere tempo, di rinviare le udienze, di
deciderne il calendario, di mandarlo a cart'e quarantotto. Salvo, ancora una
volta, dal giudizio, Berlusconi non può accontentarsi. E' impensabile che
possa insediarsi al Quirinale nell'anno 2013 con quella condanna indiretta sul
gobbo.
Siamo al futuro. E' un corruttore, anche se in tribunale ci ha rimesso
soltanto il corrotto. Pure un Parlamento, comandato come una scolaresca,
potrebbe negargli l'ascesa a Monte Cavallo. L'Egoarca sceglierà la via più
breve, la più diretta. Come sempre. Vorrà riscriversi la Costituzione e
farsi spingere lassù dal "popolo" per far dimenticare la rete di
imbrogli che lo ha fatto ricco, i garbugli che lo hanno protetto, l'inganno
del suo mito.