Venerabili
Padri e Fratelli.
Non è che tremando, ma con la coscienza libera e tranquilla davanti a Dio che
vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di voi, in questa augusta
assemblea.
Da che seggo qui con voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son
fatti in quest'aula, sperando con vivo desiderio che un raggio di luce,
scendendo dall'alto, illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi
permettesse votare i canoni di questo santo concilio ecumenico, con perfetta
cognizione di causa.
Penetrato della parte di responsabilità, di cui Dio mi chiederà conto, mi sono
dato a studiare con la più seria attenzione gli scritti dell'antico e Nuovo
Testamento, ed ho domandato a questi venerabili monumenti della verità, di
farmi conoscere se il santo Pontefice che ci presiede è veramente il successore
di S. Pietro, Vicario di G. C. e dottore infallibile della Chiesa.
Per risolvere questa grave questione, ho dovuto far tavola rasa dello stato
attuale delle cose, e trasportarmi con la mente, con in mano la fiaccola
evangelica, nel tempo in cui non si conosceva nè ultramontanismo nè
gallicismo, e in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo, san Pietro, san
Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la divina autorità,
senza mettere in dubbio quello che c'insegna
Ho dunque aperte queste sacre pagine ... Ebbene! ardirò dirlo? io nulla vi ho
trovato che legittimi nè da vicino nè da lontano l'opinione degli
oltramontani. Di più, con mia gran meraviglia, non si fa questione, nei giorni
apostolici, nè di un papa, successore di san Pietro e vicario di G. Cristo,
come di Maometto, che ancora non esisteva.
Voi, Monsignor Manning, direte che io bestemmio; voi Monsignor Pie, che son
fuori di senno; no, io non bestemmio, non son fuori di senno, Monsignori; ora, a
meno che non abbia letto tutto intiero il Nuovo Testamento, dichiaro davanti a
Dio, la mano alzata verso questo gran crocifisso, che non vi ho trovata traccia
alcuna del papato, come esiste attualmente.
Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra attenzione, e con i vostri
mormorii e interruzioni non giustificate coloro che dicono, come il padre
Giacinto, che questo Concilio non è libero, e che i nostri voti ci sono stati
in precedenza imposti. Dopo ciò, questa augusta assemblea, sulla quale son
rivolti gli occhi del mondo intiero, cadrebbe nel più vergognoso disprezzo. Se
vogliamo farla grande, siamo liberi.
Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno d'approvazione che fa con la
testa; ciò mi dà coraggio e continuo.
Leggendo adunque con quella attenzione, di cui il Signore mi ha fatto capace, i
sacri libri, non vi ho trovato un sol capitolo, un sol versetto, nel quale G.
Cristo commetta a S. Pietro di ammaestrare gli apostoli, suoi compagni d'opera.
Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo esser oggi S. S.
Pio IX, fa meraviglia come non abbia detto loro: Quando sarò salito presso mio
Padre, voi tutti obbedirete a Simon Pietro, come obbedite a me; io lo stabilisco
mio vicario sulla terra.
Nè solamente Cristo su questo punto, ma ancora pensa sì poco a dare un capo
alla Chiesa, che quando promette dei troni a' suoi apostoli, per giudicare le
dodici tribù di Israele, (Matt. XIX 28) glie ne promette dodici, uno per
ciascuno, senza dire che fra questi troni, ve ne sarà uno più alto degli
altri, che spetterà a Pietro. Certamente, se avesse voluto che fosse così, lo
avrebbe detto: che cosa concludere dal suo silenzio? La logica lo dice: che
Cristo non ha voluto fare di S. Pietro il capo del collegio apostolico.
Quando Cristo manda gli apostoli alla conquista del mondo, a tutti ugualmente dà
il potere di sciogliere e legare: a tutti fa la promessa dello Spirito Santo.
Permettetemi che lo ripeta: se avesse voluto costituire Pietro suo vicario, gli
avrebbe dato il comando in capo della sua milizia spirituale.
Cristo, lo dice
Un fatto mi ha vivamente maravigliato: constatandolo, diceva a me stesso: Se
Pietro fosse stato eletto papa, i suoi colleghi si sarebbero permessi di
mandarlo con S. Giovanni in Samaria, per annunziarvi l'Evangelo del figlio di
Dio? (Atti VIII, 14).
Che pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo
deputare S. S. Pio IX e S. E. Monsignor Plantier a recarsi dal patriarca di
Costantinopoli, per impegnarlo a far cessare lo scisma orientale?
Ma ecco un altro fatto più importante. Un concilio ecumenico è riunito a
Gerusalemme, per decidere sulle questioni che dividono i fedeli. Chi avrebbe
convocato quel concilio, se S. Pietro fosse stato papa? S. Pietro: chi lo
avrebbe presieduto? S. Pietro o i suoi legati; chi ne avrebbe formulati e
promulgati i canoni? S. Pietro: Ebbene! Nulla di tutto questo avviene.
L'apostolo assiste al concilio, come tutti gli altri suoi colleghi: non è lui
che ne prende le conclusioni, ma S. Giacomo, e quando se ne promulgano i
decreti, è a nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli. (Atti XV.)
È Così che facciam noi nella nostra chiesa? Più che mi addentro, o venerabili
fratelli, nel mio esame, più mi convinco che nella Santa Scrittura non
apparisce primato nel figliuolo di Giona: ora, mentre che noi insegnamo che
E il medesimo apostolo crede così poco alla supremazia di san Pietro, che
biasima apertamente quelli che dicono: Noi siamo di Paolo, noi siamo d'Apollo, (Corinti
I, 12) come quelli che direbbero: noi siamo di Pietro. Se dunque quest'ultimo
apostolo fosse stato vicario di G. Cristo, S. Paolo si sarebbe guardato bene di
censurare così violentemente quelli che si attenevano al suo collega.
Lo stesso apostolo Paolo, enumerando le cariche della Chiesa, rammenta gli
Apostoli, i Profeti, gli Evangelisti, i Dottori, i Pastori.
È egli credibile, venerabili fratelli, che S. Paolo, il gran dottore delle
genti, avesse dimenticata la prima delle cariche, il papato, se il papato fosse
stato d'istituzione divina? Questa dimenticanza non mi è sembrata possibile,
come sarebbe quella di uno storico di questo concilio, che non dicesse una
parola di S. Santità Pio Nono. (Alcune voci: Silenzio, eretico, silenzio!)
Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora detto tutto; impedendomi di
continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di aver chiusa la bocca al più
piccolo membro di quest'assemblea. Continuo.
L'apostolo Paolo, in alcuna delle sue lettere dirette alle varie chiese, non fa
menzione del primato di Pietro. Se questo primato fosse esistito, se in una
parola,
Monsignore de Laval non dica no, poichè se alcuno di voi, venerabili fratelli,
ardisse pensare che
Non negli scritti di S. Paolo, nè in quelli di S. Giovanni, o di S. Giacomo, ho
trovato traccia o germe del potere papale. S. Luca, lo storico dei lavori
missionari degli apostoli, tace su questo punto capitale.
Il silenzio di questi santi uomini, i cui scritti fan parte del canone delle
Scritture divinamente ispirate, mi è parso aggravante, e impossibile, se Pietro
fosse stato papa, come non sarebbe giustificabile quello di Thiers se omettesse
nella storia di Napoleone Bonaparte il titolo d’imperatore.
Sento là, davanti a me, un membro dell'assemblea che dice, mostrandomi a dito:
È un vescovo scismatico, introdottosi fra noi sotto falso nome.
No, no, venerabili fratelli, io non sono entrato in questa augusta assemblea,
come un ladro per la finestra; ma sibbene dalla porta come voi: il mio titolo di
vescovo me ne dava il diritto, come la mi coscienza di cristiano m'impone
parlare e dire quello che credo esser vero.
Ciò che mi ha maggiormente stupito, e più di quello che potrei dimostrare, è
il silenzio di S. Pietro. Se l'apostolo fosse stato quello che noi proclamiamo
essere, cioè il vicario di G. Cristo sulla terra, egli avrebbe dovuto saperlo:
se lo ha saputo, come mai neppure una volta, una volta sola non ha fatto da
papa? Avrebbe potuto farlo il giorno della Pentecoste, quando pronunziò il suo
primo discorso, e non lo fece: al concilio di Gerusalemme, e non lo fece: ad
Antiochia, e non lo fece: nelle due lettere dirette alla chiesa, e non lo fece:
immaginate voi un tal papa, venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa?
Se dunque vuolsi sostenere che egli è stato papa, ne nasce la naturale
conseguenza che bisogna del pari sostenere che non ha saputo di esserlo; ora io
domando a chiunque ha testa che pensa e mente per riflettere, sono possibili
queste due supposizioni?
Riassumendo, dico: Mentre vivevano gli apostoli,
Sento da tutte le parti dire: ma S. Pietro non è stato a Roma? Non vi è stato
crocifisso col capo all'ingiù? La sedia sulla quale insegnava e l'altare su cui
diceva la messa, non sono in questa città eterna?
La dimora di S. Pietro a Roma, venerabili fratelli, non ha altra prova che la
tradizione: ma se egli fosse stato vescovo di Roma, che forse dal suo vescovato
in questa città, potrà trarsi e concludere per la sua supremazia? Un dotto di
primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato dire, che il vescovato e la dimora di
S. Pietro a Roma debbono essere posti fra le ridicole leggende. (Grida ripetute:
Toglietegli la parola, toglietegli la parola! Discenda dall'ambone!)
Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma non è egli più conveniente in un
assemblea, quale è la nostra, esaminar tutto, siccome lo comanda l'apostolo e
credere ciò ch'è buono? Ma, venerabili, noi abbiamo un dittatore, davanti al
quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere, anche Sua Santità Pio IX e abbassare
la testa. Questo dittatore è la storia.
Essa non è come la leggenda, di cui si è fatto quello, che il vasellaio fa
dell'argilla: è il diamante che incide sul vetro parole incancellabili. Finora
non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho trovato traccia del papato nei
giorni apostolici, mia non è la colpa, ma sua. Volete mettermi in stato di
accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.
Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei Pietro, e su questa pietra
edificherò la mia chiesa. Matt. XVI.
Fra poco, venerabili fratelli, risponderò a questo obietto: ma prima di farlo,
debbo presentarvi il resultamento delle mie ricerche storiche.
Non trovando traccia del papato nei giorni apostolici, ho detto fra me: Troverai
quello che cerchi negli annali della Chiesa. Ebbene! lo dirò francamente: ho
cercato un papa nei primi quattro secoli e non l'ho trovato.
Nessuno di voi, spero, vorrà contestare la grande autorità del santo vescovo
d'Ippona, il grande e beato s. Agostino. Questo pio dottore, onore e gloria
della Chiesa cattolica, era segretario nel concilio Melivetano. Nei decreti di
quella venerabile assemblea si leggono queste significanti parole: Chiunque vorrà
appellare AL DI LA' DEL MARE, non sia ricevuto da alcuno, in Affrica, alla
comunione.
I vescovi d'Affrica riconoscevano sì poco la supremazia del vescovo di Roma,
che colpivano di scomunica coloro che a lui ricorressero in appello.
Questi medesimi vescovi, nel sesto concilio di Cartagine, tenuto sotto Aurelio,
vescovo di quella città scrissero a Celestino vescovo di Roma, avvertendolo che
non ricevesse appelli dei vescovi, preti e chierici d'Affrica: che non mandasse
più legati, nè commissari, e che non introducesse l'orgoglio umano nella
Chiesa.
Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai primi tempi a trarre a sè tutta
l'autorità, è un fatto evidente: ma è fatto del pari indubitato che egli non
aveva la supremazia, che gli oltramontani gli attribuiscono: se l'avesse avuta,
i vescovi d'Affrica, S. Agostino il primo, avrebbero ardito proibire di
appellare dai loro decreti al suo tribunale supremo?
Confesso senza difficoltà che il partriarcato di Roma teneva il primo posto:
una legge di Giustiniano dice "Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro
concilii, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e
che l'altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il
secondo."
Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi direte.
Non siate si corrivi a questa conclusione, venerabili fratelli, imperciocchè la
legge di Giustiniano ha scritto in fronte "dell'ordine delle sedute dei
pariarchi" Altra cosa dunque è la precedenza, altra il potere di
giurisdizione: così, per esempio, supponiamo che in Firenze fosse una riunione
di tutti i vescovi del regno: la precedenza sarebbe data al primate di Firenze,
come presso gli orientali è accordata al Patriarca di Costantinopoli, e in
Inghilterra all'arcivescovo di Cantorbery. Ma nè il primo, nè il secondo, nè
il terzo potrebbero dedurre dal posto che sarebbe loro assegnato, una
giurisdizione sui loro colleghi.
La importanza dei vescovi di Roma proveniva, non da un potere divino, ma dalla
considerazione della città, in cui avevano la loro sede. Monsignor Darboy non
è superiore in dignità all'arcivescovo di Avignone: non per tanto, Parigi gli
dà una considerazione che non avrebbe, se in vece di avere il suo palazzo sulle
rive della Senna, lo avesse su quelle del Rodano. Quel che è vero nell'ordine
religioso, lo è pure nel civile e politico: il prefetto di Firenze non è più
prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e politicamente ha una maggiore
importanza.
Ho detto che il patriarca di Roma aspirò fino dai primi secoli al governo
universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse in appresso: ma certamente
non lo aveva allora poichè, non ostante le sue pretese, l'imperatore Teodosio
II. fece una legge con la quale stabilì che il patriarca di Costantinopoli
aveva la medesima autorità , che quello di Roma. Leg. Cod. de Scr. ecc.
I padri del concilio di Calcedonia posero il vescovo della antica e nuova Roma
al medesimo ordine in tutte le cose, anche nelle ecclesiastiche. Can. 28.
Il sesto concilio di Cartagine proibì ai vescovi tutti di prendere il titolo di
principe dei vescovi, o di vescovo sovrano.
Quanto al titolo di vescovo universale, che i papi presero più tardi, S.
Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne sarebbero mai fregiati,
scrisse queste notevoli parole: "Nessuno de’ miei predecessori ha
consentito di prendere questo nome profano, imperocchè quando un patriarca si dà
il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre di discredito. Lungi
dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo discredita fra i
suoi fratelli!"
Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo collega di Costantinopoli, che
pretendeva al primato nella chiesa. Il papa Pelagio II chiama Giovanni, vescovo
di Costantinopoli, che aspirava al pontificato massimo, empio, e profano
"Non vi curate, egli dice del titolo di universale, che Giovanni usurpò
illegalmente: che nessuno dei patriarchi prenda questo nome profano: imperocchè,
quale sventura non dovremo aspettarci, se fra i preti sorgono tali elementi? Si
avvererebbe quello che è stato predetto. – È il re dei figli
dell’orgoglio. (Pelagio II. lett. 13)"
Queste autorità, e ne avrei cento altre di ugual valore, non provano esse, con
chiarezza pari allo splendore del sole a mezzogiorno, che i primi vescovi di
Roma non sono stati che molto tardi riconosciuti per vescovi universali e capi
della chiesa?
E d’altra parte, chi non sa come dall’anno
Chi non sa che i concili erano convocati dagli imperatori, senza prevenire, e
qualche volta contro la volontà del vescovo di Roma? Che Osio vescovo di
Cordova, presiedè il primo concilio di Nicea e ne redigè i canoni? Lo stesso
Osio presiedè di poi il concilio di Sardica, escludendone i legati di Giulio
vescovo di Roma: non insisto di più, venerabili fratelli, e vengo a parlare del
grande argomento, che ponete innanzi, per istabilire il primato del vescovo di
Roma.
Per la pietra, sulla quale
S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinità, dice "Io credo che per la
pietra, bisogna intendere la incrollabile fede dell’apostolo". S. Ilario,
vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro sulla Trinità dice "La pietra (petra),
è la beata ed unica pietra della fede confessata per bocca di S. Pietro: ed è,
dice nel sesto libro della Trinità, su questa pietra della confessione, che la
chiesa è edificata. "Dio, dice S. Girolamo, nel 6° libro di S. Matteo, ha
fondato la sua chiesa su questa pietra ed è su questa pietra che l’apostolo
Pietro è stato nominato." Dopo lui, S. Grisostomo dice, nella sua 53
omelia sopra S. Matteo". Su questa pietra edificherò la mia chiesa, cioè
sulla fede della confessione: or qual era la confessione dell’apostolo? Eccola
"Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente."
Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel secondo capitolo agli Efesi, S.
Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di Calcedonia insegnano esattamente
la medesima cosa.
Di tutti i dottori della antichità cristiana, S. Agostino è quello, che occupa
uno dei primi posti nella Chiesa, per la scienza e santità. Ascoltate dunque ciò
ch’egli scrive nel suo secondo trattato sulla prima lettera di S. Giovanni.
"Che cosa vogliono dire le parole. "Io edificherò la mia chiesa su
questa pietra? Su questa fede, su quello che è detto. Tu sei il Cristo, il
figlio di Dio vivente."
Nel suo 124° trattato sopra S. Giovanni, troviamo questa significantissima
frase "Sopra questa pietra che tu hai confessato, io edificherò la mia
chiesa, imperocchè Cristo era la pietra."
Il gran vescovo credeva tanto poco che la chiesa fosse fabbricata su S. Pietro,
che diceva a’ suoi fedeli nel suo 13 sermone. "Tu sei Pietro e su questa
pietra che tu hai confessato, su questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo
– Tu sei Cristo, il figlio di Dio vivente – io edificherò la mia chiesa
sopra me stesso, che sono il figlio di Dio vivente: io la edificherò su ME, E
NON ME SU TE."
Quello che S. Agostino pensava sopra questo celebre passo, era la opinione di
tutta la cristianità del suo tempo. Dunque riassumendo, stabilisco:
1° Che Gesù ha dato agli apostoli il medesimo potere che a san Pietro;
2° Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto in S. Pietro il vicario di Gesù
Cristo e il dottore infallibile della chiesa;
3° Che S. Pietro non ha mai pensato di essere papa, e non ha mai fatto da papa;
4° Che i concilii dei quattro primi secoli, mentre riconoscevano l’alto
posto, che il vescovo di Roma occupava nella Chiesa, appunto per cagione di
Roma, non gli hanno accordato che una preminenza d’onore, mai un potere, nè
una giurisdizione;
5° Che i SS. Padri nel famoso passo "Tu sei Pietro e sopra questa pietra
edificherò la mia chiesa" non hanno mai inteso che
Concluderò vittoriosamente con la storia, con la ragione, con la logica, col
buon senso e con la coscienza cristiana, che Gesù Cristo non ha conferito
alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di Roma non son divenuti sovrani
della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad uno tutti i diritti
dell’episcopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante, taccia!)
Io sono uno sfacciato protestante!… Nò, mille volte no!
La storia non è nè cattolica, nè anglicana, nè calvinista, nè luterana, nè
armena, nè greca scismatica, nè oltramontana: ella è quello che è, cioè
qualche cosa di più forte di tutte le confessioni di fede dei canoni dei
concilii ecumenici.
Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite: ma voi non potete distruggerla,
come un mattone tolto dal Colosseo non lo farebbe cadere. Se ho detto qualche
cosa che la storia dimostri in contrario, mi si faccia conoscere con la storia,
e senza esitare un momento, farò onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete
che non ho detto tutto ciò che io voleva e doveva: quando anche il rogo mi
attendesse sulla piazza di S. Pietro, io non debbo tacere e mi è obbligo
continuare.
Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri Osservazioni su questo concilio del
Vaticano, ha detto e con ragione, che se noi dichiariamo Pio IX infallibile,
siamo per necessaria e naturale logica obbligati a ritenere infallibili tutti i
suoi antecessori. Or bene! Venerabili fratelli, ecco la storia che alza la sua
voce autorevole, per assicurarvi che alcuni papi hanno errato: avete un bel
protestare, un negare, io vi dirò con quella:
Papa Vittore (192) approvò il montanismo, poi lo condannò.
Marcellino(296, 303) fu idolatra, entrò nel tempio di Vesta e offrì incensi
alla dea. Voi direte fu un atto di debolezza: ma io risponderò: un Vicario di
Gesù Cristo muore ma non diviene apostata.
Liberio (358) consentì alla condanna di Anatasio e fece professione di
Arianismo, per esser richiamato dall’esilio e reintegrato nel suo seggio.
Onorio (625) aderì al monotelismo: il padre Gratry lo ha alla evidenza
dimostrato.
Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui, che prende il nome di Vescovo
universale, e al contrario Bonifazio III. (607-8) si fa conferire questo titolo
dal parricida imperatore Foca.
Pasquale II. (1088-1099) ed Eugenio III. (1145 - 1153) autorizzano il duello:
Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo proibiscono.
Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di Basilea e la restituzione del
calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658) revoca la concessione.
Adriano II. (867-872) dichiara valido il matrimonio civile, Pio VII. (1800-23)
lo condanna. Sisto V. (1585-1590) pubblica un edizione della Bibbia e ne
raccomanda la lettura con una Bolla: Pio VII ne condanna la lettura.
Clemente XIV (1700-21) abolisce l’Ordine dei Gesuiti, permesso da Paolo III:
Pio VII. lo ristabilisce.
Ma perché cercare delle prove così remote? Il nostro santo padre Pio IX, qui
presente, nella sua bolla che dà le norme per il concilio, nel caso in cui egli
morisse, mentre è aperto, non ha revocato tutto quello che in passato gli
sarebbe cotrario, anche quando provenisse da decisioni de’ suoi predecessori?
E certamente se Pio IX ha parlato ex cathedra, non è quando dal fondo del suo
sepolcro impone le sue volontà ai sovrani della Chiesa.
Non terminerei più, Venerabili fratelli, se ponessi davanti ai vostri occhi le
contradizioni dei papi nei loro insegnamenti. Se voi dunque proclamate la
infallibilità del papa attuale, bisognerà forzatamente, o che voi proviate ciò
che è impossibile, che i papi non si sono contradetti, oppure che dichiariate
che lo Spirito Santo vi ha rivelato che la infallibilità papale non data che
dal 1870. Avrete voi tanto ardimento?
I popoli passeranno indifferenti forse accanto a questioni teologiche, delle
quali non intendono e non sentono la importanza: ma per quanto sieno
indifferenti ai principii, non lo sono punto pei fatti. Ora non v’illudete! se
decretate il dogma della infallibilità papale, i protestanti, nostri avversari,
monteranno sulla breccia tanto più arditi, in quanto che avranno contro di noi
e in loro favore, la storia, mentre noi non avremo contro loro, che le nostre
negative. Che cosa diremo loro quando faranno marciare davanti al pubblico i
vescovi di Roma da Luca a sua santità Pio Nono?
Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi trionferemmo su tutta la linea; ma
ohimè! non è così..- Grida: silenzio, silenzio! basta, basta!
Non gridate, Monsignori! Temere la storia è darsi per vinti: e d’altronde, se
faceste passare sopra di lei le acque del Tevere, non ne cancellereste una
pagina. Lasciatemi parlare e sarò breve, per quanto il comporta questo
importante subietto.
Il papa Vigilio (538) comprò il papato da Belisario, luogotenente
dell’imperatore Giustiniano: è vero che, rompendo la promessa, pagò nulla.
È egli canonico questo mezzo di cingere la tiara? Il secondo Concilio di
Calcedonia l’aveva formalmente condannato. In uno dei suoi canoni si legge
"che il vescovo, il quale ottiene il vescovato per danari, lo perda e sia
degradato".
Il papa Eugenio IV. (1145) imitò Vigilio. San Bernardo, fulgida stella del suo
secolo, rimproverò il papa dicendogli: "Potresti indicarmi alcuno in
questa gran città di Roma, che ti abbia ricevuto per papa, senza che abbia
ricevuto oro od argento?"
Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco alle porte del tempio, sarà egli
inspirato dallo Spirito Santo? Avrà diritto d’insegnare infallibilmente alla
Chiesa?
Conoscete pur troppo la storia di Formoso, perchè io la renda più grave.
Stefano XI. fece disseppellire il suo corpo, vestirlo di abiti pontificali, e
tagliategli le dita, con le quali dava la benedizione lo fece gettare nel
Tevere, e lo dichiarò spergiuro e illegittimo. Egli poi fu dal popolo
imprigionato, avvelenato e strangolato: ma vedete il giusto rimetter delle cose:
Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni X, riabilitarono la memoria di
Formoso.
Ma direte, queste son favole, non storia. Favole! andate Monsignori, andate alla
biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo storico del papato e gli annali
del Baronio (anno 897).
Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per l’onore della santa Sede; ma
quando si tratta di definire un domma, che può provocare un gran scisma in
mezzo di noi, l’amore che portiamo alla nostra venerabile madre Chiesa
cattolica, apostolica e romana, c’impone silenzio – Aggiungo.
Il dotto Cardinale Baronio, parlando della corte papale, dice (prestate
attenzione Venerabili fratelli, a queste parole) "Qual era in quel tempo la
faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa, non dominando a Roma che
onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano, permutavano, toglievano
vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i falsi papi, venivan posti
sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912)."
Quelli erano falsi papi, non veri, si replica: e sia pure: ma in tal caso,
Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede di Roma non è stata occupata
che da antipapi, come troverete voi il filo della successione pontificale?
La chiesa ha ella potuto fare a meno per un secolo e mezzo del suo capo, e
trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di questi antipapi figurano
nell’albero genealogico del papato, e certamente bisognava bene che fossero
tali, quali Baronio li dipinge, perchè Genebrardo, il grande adulatore dei
papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901). "Questo secolo è
sventurato, imperocchè per 150 anni circa, i papi sono del tutto decaduti dalle
virtù dei loro antecessori, essendo piuttosto apostati, che apostolici."
Capisco come l’illustre Baronio abbia dovuto, narrando questi fatti dei
vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto. Parlando di Giovanni XI. (931),
bastardo di papa Sergio e di Marozia, quegli scriveva queste parole nei suoi
annali. "La santa Chiesa, cioè la romana, ha dovuto vilmente esser
calpestata da un tal mostro". Giovanni XII (946) eletto papa a 18 anni per
influenza di cortigiane, non era punto meglio del suo antecessore.
Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto laidume: mi taccio di Alessandro
VI., padre e amante di Lucrezia: trasvolo su Giovanni XXII. (1316), che negava
l’immortalità dell’anima e fu deposto dal santo concilio ecumenico di
Costanza.
Alcuni asseriscono che questo concilio non fosse che un concilio particolare. E
sia pure: ma se gli ricusate ogni autorità, per essere logicamente conseguenti,
bisogna tenere per illegale la nomina di Martino V. (1417). Che cosa avverrà
allora della successione papale? Potrete voi trovarne il bandolo?
Non parlo degli scismi che hanno disonorato la chiesa. In codesti sventurati
giorni, la sede di Roma era occupata da due, e qualche volta da tre competitori:
quale di questi era il vero papa?
Riassumendomi dico, se voi decretate la infallibilità dell’attuale vescovo di
Roma, vi abbisognerà stabilire la infallibilità di tutti i precedenti, senza
escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la storia è là, che stabilisce
con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi hanno errato nei loro
insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi avari, incestuosi,
omicidi, simoniaci sono stati vicari di Gesù Cristo? Oh! Venerabili fratelli,
sostenere tale enormità, sarebbe tradire Cristo peggio di Giuda: sarebbe
gettargli del fango nel volto. (Grida: Giù dal pulpito! zitto, silenzio
l’eretico!)
Venerabili fratelli, voi gridate: ma non sarebbe cosa più dignitosa pesare le
mie ragioni e le mie prove sulla bilancia del santuario? Credetemi, la storia
non si rifà: ella è là e lo sarà in eterno per protestare energicamente
contro il domma della infallibilità papale. Voi lo ploclamerete all’unanimità,
ma meno un voto, il mio!
I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su noi, attendono da noi il rimedio
agl’innumerevoli mali che disonorano
Afferriamola, fratelli; armiamoci di un santo coraggio; facciamo un violento e
generoso sforzo; torniamo agl’insegnamenti apostolici: imperocchè, fuori di
questi, non abbiamo che errori, tenebre e false tradizioni.
Valghiamoci della nostra ragione e della nostra intelligenza, per avere gli
apostoli e profeti a nostri soli maestri infallibili, intorno alla domanda per
eccellenza "che mi convien fare per essere salvato?" Ciò deciso, noi
avremo posta la base della nostra dommatica.
Fermi ed immobili sulla roccia stabile e incrollabile della Santa Scrittura,
divinamente inspirata, fiduciosi andremo innanzi al secolo, e come l’apostolo
Paolo, in presenza dei liberi pensatori, non vorremo saper altro che G. Cristo,
e Gesù Cristo crocifisso: lo conquisteremo con la predicazione della follìa
della croce, come Paolo conquistò i retori di Grecia e di Roma, e
Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano: se il mio dire è caldo, la
testa è fredda: io non sono nè di Lutero nè di Calvino, nè di Paolo, nè di
Apollo, ma di Cristo. – (Nuove grida – Anatema, Anatema all’apostata!)
Anatema! Monsignori, Anatema! voi sapete bene che non protestate contro di me,
ma contro i santi apostoli, sotto la cui protezione vorrei che questo concilio
ponesse
Che cosa direste loro, quando coi loro scritti vi dicessero che il papato ha
deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi con tanto coraggio hanno
predicato e confermato col loro generoso sangue? Ardireste dir loro: Noi
preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri papi, dei nostri Bellarmino,
e Ignazio di Loiola? Nò, nò, mille volte nò, a meno che non abbiate chiuse le
orecchie per non udire, gli occhi bendati per non vedere, la intelligenza ottusa
per non intendere.
Ah! se colui che regna nei cieli vuole aggravare su noi la sua mano, siccome
fece su Faraone, non ha bisogno di permettere ai soldati di Garibaldi di
scacciarci dalla città eterna, non ha che lasciar fare di Pio IX un Dio, come
abbiamo fatto della Beata Vergine una dea.
Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul pendio odioso e ridicolo, su cui
vi siete posti. Salvate
Queste ultime parole furono ricevute con i più plateali segni di
disapprovazione. Tutti i padri si alzarono; molti uscirono dalla sala; buon
numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccol drappello di Francesi ed
Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero fraternamente la mano,
e gli mostrarono esser concordi nel suo modo di pensare.
Questo discorso nel secolo XVI avrebbe procurato al coraggioso vescovo la gloria
di morire sul rogo: nel secolo attuale, provoca lo sdegno di Pio IX e di tutti
coloro che vogliono abusare della ignoranza dei popoli.
Poveri ciechi! "Cadranno nella fossa ch’eglino stessi hanno fatta"
Salmo VII 15.
vescovo
Georg Joseph ( o Juraj Josip ) Strossmayer
vescovo di Ðakovo (Cr