IL CROCIFISSO “NON È IN LINEA” CON LA LAICITÀ DELLO STATO. LE MOTIVAZIONI DELLA ASSOLUZIONE DEL GIUDICE TOSTI


da ADISTA n° 82 del 25.7.2009

 

35133. ROMA-ADISTA. La Corte di Cassazione aveva già assolto il giudice Luigi Tosti che si era rifiutato, per rispetto al principio costituzionale di laicità dello Stato, di tenere udienze in aule dove fosse affisso il crocifisso. Ora, lo scorso 10 luglio, sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di assoluzione: la presenza del crocifisso nelle aule di tribunale è stabilita da una circolare amministrativa del 29 maggio 1926 – in pieno ventennio fascista, quando era ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Rocco – non sorretta da alcuna legge e soprattutto non in linea con il principio di laicità. Quindi, argomenta la Cassazione, il giudice Tosti aveva ragione.

Si conclude così una vicenda iniziata nel maggio 2005 quando il giudice, in servizio presso il Tribunale di Camerino, sollevò per la prima volta la questione della violazione del principio di laicità dello Stato a causa della presenza del crocifisso in aula e poi respinse la proposta dell’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli che gli aveva messo a disposizione un’apposita aula priva di crocifisso. Seguì il processo, con l’accusa di “interruzione di pubblico servizio”, la condanna in primo e in secondo grado (sette mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici) poi, nello scorso febbraio, l’assoluzione in Cassazione “perché il fatto non sussiste” (v. Adista n. 22/09). Ed ora le motivazioni della sentenza: la tesi del giudice Tosti – scrivono i magistrati della suprema corte – “ha una sostanziale dignità e meriterebbe un adeguato approfondimento, per verificarne la fondatezza o meno, considerato che, allo stato, non risultano essere state congruamente affrontate e risolte alcune tematiche di primario rilievo per la corretta soluzione del problema”. I giudici della Cassazione evidenziano che, a tutt’oggi, l’esposizione del crocifisso nella aule giudiziarie è prevista solamente dalla circolare amministrativa del 1926, un atto che “appare privo di fondamento normativo e quindi in contrasto con il principio di legalità dell'azione amministrativa” e soprattutto “non più in linea con il principio costituzionale di laicità dello Stato e con la garanzia della libertà di coscienza e di religione”. E aggiungono che “occorre individuare l'eventuale sussistenza di una effettiva interazione tra il significato, inteso come valore identitario, della presenza del crocifisso nelle aule di giustizia e la libertà di coscienza e di religione, intesa non solo in senso positivo, come tutela della fede professata dal credente, ma anche in senso negativo, come tutela del credente di diversa fede che rifiuta di avere una fede”.

“La sentenza era scontata, perché questo processo non si doveva fare: non c’era nulla di penalmente rilevante”, l’unico commento del giudice Tosti. (l. k.)