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L´EGEMONIA PERDUTA

Stefano Rodotà

La Repubblica 24-3-2009

 

Un mondo vastissimo, compresi molti cattolici, è rimasto sbalordito di fronte ad alcune affermazioni del Papa, governo e istituzioni internazionali hanno protestato e i vescovi italiani, invece di interrogarsi seriamente e criticamente su una vicenda così grave, la trasformano in un pretesto per lanciare un proclama intimidatorio, un vero e proprio diktat al quale Parlamento e politica italiana dovrebbero inchinarsi. Non è nuova l´arroganza di una politica vaticana che, debole nel mondo, cerca occasioni di rivincita nel giardino di casa, in questa povera Italia che, presentata come il luogo dal quale doveva partire la riconquista cattolica del mondo, appare sempre di più come un fortilizio dove una gerarchia disorientata cerca di rassicurare se stessa alzando la voce. Con parole forti si vuole imporre l´approvazione di una legge sul testamento biologico sgangherata e incostituzionale, lesiva dei diritti delle persone.

Si urla contro una deriva verso l´eutanasia mentre il Senato sta discutendo un disegno di legge lontanissimo dall´apertura che, su questo tema, hanno mostrato le conferenze episcopali di Germania e Spagna. Siamo di fronte ad una prova di forza, alla volontà vaticana di sottomettere il Parlamento. Sono in gioco proprio la sovranità parlamentare e, con essa, l´autonomia dello Stato. Una inerzia colpevole, una pavidità delle istituzioni lascerebbero oggi un segno profondo sulla stessa democrazia. E un intervento così diretto può addirittura far venire il sospetto che si voglia incidere sulle dinamiche interne del nascente Pdl, chiudendo ogni spiraglio di laicità e autonomia I governi di Francia e Germania, l´Unione europea, il Fondo monetario internazionale avevano criticato le parole del Papa sull´uso del preservativo, con una presa di distanza che metteva in discussione il ruolo internazionale della Chiesa. Il governo tedesco è guidato da una donna cattolica, Benedetto XVI aveva compiuto un viaggio in Francia accompagnato da parole impegnative del presidente Sarkozy sulla necessità di passare ad una laicità "positiva", parole che lo stesso presidente aveva già pronunciato in occasione della sua visita ufficiale a Roma. Assume grande significato, allora, la decisione di governi "amici" di non riconoscersi nelle posizioni della Chiesa. A ciò dev´essere aggiunta la decisione di Obama di firmare la dichiarazione sui diritti degli omosessuali, proposta all´Onu proprio dalla Francia e che aveva suscitato una durissima reazione del Vaticano. Viene così respinta la pretesa vaticana di dettare al mondo la linea etica su grandi temi della vita, ed emerge un isolamento che non è solo diplomatico, ma rivela una perdita di egemonia culturale. Ora il tema del conflitto è costituito dalla legge sul testamento biologico. Tardivamente ci si è accorti di quanto fosse saggia la richiesta di moratoria, di un tempo di riflessione che allontanasse emozioni e strumentalizzazioni nell´affrontare un tema che riguarda la libertà stessa delle persone. Forse anche i cento "ribelli" del Pdl che hanno firmato contro i medici-spia dovrebbero rendersi conto che quella legge è anch´essa profondamente negatrice di diritti e che è necessaria una riflessione più profonda sui rischi di un uso sbrigativo e autoritario dello strumento giuridico. Riflessione, peraltro, che dovrebbe essere estesa ad altre materie, anch´esse affrontate finora in modo sbrigativo. Non ci si è accorti dei rischi dello stillicidio di norme che riducono la tutela della privacy, della pericolosità di proposte che vogliono introdurre controlli e censure per Internet, della disinvoltura con la quale sono state approvate in prima lettura le norme sulla banca del Dna. Se la nuova sensibilità per la dimensione dei diritti non è solo una fiammata, di tutto questo è bene che si cominci a discutere seriamente e fino in fondo.

Moratoria o non moratoria, è indispensabile ribadire in ogni momento che il testo della maggioranza sul testamento biologico è un ammasso di incostituzionalità, di regressioni normative, di piccoli deliri burocratici e linguistici, di procedure che produrranno nuove contraddizioni e nuove angosce. Non vi sono astuzie parlamentari che possano redimere quel testo dai suoi peccati. Ricordiamo che appena ieri, a fine dicembre dunque già nel fuoco della polemica sul caso Englaro, la sentenza 438 della Corte costituzionale ha riconosciuto che l´autodeterminazione costituisce un "diritto fondamentale" della persona. Come si concilia con questo diritto la pratica cancellazione del consenso informato, la sua degradazione da manifestazione di volontà a semplice "orientamento", come fa il testo di maggioranza? Come non vedere che, dietro una versione assai fumosa della formula dell´"alleanza terapeutica" tra medico e paziente, il potere sul morire viene consegnato ai medici, facendo enormemente e impropriamente crescere la loro responsabilità? Come non vedere che il rifiuto da parte del medico di dare attuazione alle direttive anticipate creerà nuovi drammi, nuove rappresentazioni pubbliche del dolore e ricorsi che trasferiranno al giudice la decisione finale sul morire, cioè esattamente quello su cui si è tanto polemizzato?

Sono interrogativi provocati da pervicacia politica e incultura, dal fatto che la dimensione costituzionale non appartiene a questo governo e questa maggioranza, che vogliono cogliere ogni occasione per cercar di liberarsene. Proprio per questo si cerca di costruire una Costituzione abusiva, dove la possibilità di imporre per legge trattamenti obbligatori è svincolata dall´unica sua premessa costituzionalmente corretta, il rischio per la salute pubblica, come hanno sempre messo in evidenza gli studiosi (venerata ombra di Costantino Mortati, grande costituente cattolico, manifestati!); dove si propongono indecorosi pasticci tra rifiuto delle cure e vendita di organi; dove il rispetto della dignità è convertito in strumento per imporre una misura della dignità in conflitto con la libertà di scelta della persona.

Una vigile attenzione per i diritti dovrebbe segnare la discussione politica, il primo passo dovrebbe essere appunto il ritorno pieno nella dimensione costituzionale. E, insieme ad esso, i legislatori dovrebbero interrogarsi sui limiti della legge, su quanto si addica alla vita "l´ipotesi del non diritto", che attribuisce alla norma giuridica non un illimitato potere di ingerenza, ma la funzione di costruire le condizioni necessarie perché ciascuno possa decidere liberamente.