SE IL CAVALIERE VUOLE FARSI STATO
GIUSEPPE D' AVANZO
Repubblica 12 ottobre 2009
NON si riesce a tenere il conto delle menzogne e dei ricatti
che l' Egoarca riesce a distillare nei suoi flussi verbali, ormai oltre ogni
controllo di ragionevolezza, del tutto catturati dal suo disturbo
narcisistico. Stiamo ai fatti. Il lucidissimo furore di Berlusconi si accende
per i pasticci che si combina da solo, con la sua compulsività. Frequenta
minorenni; riempie palazzi e ville di prostitute arruolate da un ruffiano;
trascura gli affari di Stato per allegre scorribande amorose. Contestato dalla
moglie in pubblico, se ne va nel luogo pubblico per eccellenza - la
televisione - per recuperare (sa di doverlo fare) un' apprezzabile
accountability. Sbaglia la mossa. Esige che le sue favole diventino scritture
sacre. Se non accade - e non accade - s' infuria. Ingaggia maschere con mazza
ferrata che, dai giornali e tv che controlla, fanno per lui il lavoro più
sporco, "assassinando" la personalità di chi gli appare, anche da
lontano, «un nemico». Scatena gagliofferie, aggressioni, conflitti che
(lungo l' elenco) investono, nel tempo, la moglie; impauriti testimoni delle
sue imbarazzanti avventure; la Repubblica; il suo editore; il suo direttore;
l' Unità; addirittura il salmodiante Corriere della sera; la stampa
internazionale tutta; il servizio pubblico televisivo che non è al suo
servizio; un pugno di comici, il cinema nazionale; l' Avvenire; la Conferenza
episcopale italiana; il presidente della Camera; il presidente della
Repubblica; la Corte Costituzionale; la magistratura tutta; un' opposizione
che, peraltro, è oggi una bottega chiusa per inventario. L' Egoarca mostra,
dietro il sorrisone, come il suo potere sia pura, nuda violenza. Non guadagna
un punto. Ne ricava soltanto il discredito internazionale, un distruttivo «sputtanamento»
che si completa, nelle opinioni pubbliche e nelle cancellerie d' Occidente,
quando, con posa da bauscia al bar nell' ora del "camparino", si
vanta di aver convinto George W. Bush a mettere sul tavolo 700 miliardi di
dollari per far fronte alla crisi finanziaria; di aver detto a quei due,
Barack Obama e Vladimir Putin, di far la pace altrimenti non li avrebbe
invitati al G8 di cui deve essere il proprietario; di «aver mandato Sarkozy»
all' Est dopo avergli spiegato quel che avrebbe dovuto dire per risolvere la
crisi georgiana; di essere messaggero presso il Papa, in un incontro della
durata di minuti 3, dei «saluti di Obama», come se il presidente degli Stati
Uniti d' America avesse bisogno dell' Egoarca per discutere con Joseph
Ratzinger. Un premier così garrulo e vanìloquo, che crede di potersi muovere
sulla scena pubblica come tra le plaudenti prostitute ingaggiate per il
salotto di Palazzo Grazioli, non ha bisogno di essere screditato. Si scredita
da solo con le sue mani e, con le sue parole e condotte, disonora e danneggia
l' intero Paese. Oggi se c' è in giro un antagonista della rispettabilità
dell' Italia nel mondo è Silvio Berlusconi. Lo sappiamo noi, lo sanno i
caudatari e le congreghe che lo sostengono, lo sa chiunque guardi ai nostri
affari da oltre confine. L' Egoarca non se ne cura. Il suo Io ipertrofico non
ammette interlocutori, consigli, regole, critiche, misura istituzionale,
saggezza politica. Ubriaco dei sondaggi che gli servono (ma sono sinceri?), è
incapace di guardare in faccia la realtà che si è cucinato da solo e che
ogni giorno irresponsabilmente riscalda. Sarebbe un errore tuttavia credere
che i suoi coups de théatres siano dominati dall' istinto. Bisogna sempre
guardare che cosa bolle nella pentola dell' Egoarca. L' uomo è lucidissimo.
Nella brodaglia che ha scodellato a Benevento si coglie un cambio di
strategia, un ritorno all' antico. Come se quindici anni non fossero passati,
Berlusconi evoca i fantasmi mentali di allora, ricostruisce lo stesso contesto
di grande forza evocativa che gli portò fortuna a partire dal 1993. Suona così.
Un manipolo di toghe «di sinistra» mi minaccia come già accadde nel 1994
quando azzopparono il mio primo governo con un avviso di garanzia. Con la
complicità della magistratura, «la sinistra» vuole espropriare il popolo
del suo voto. Per farlo, con la correità di un presidente della Repubblica «di
sinistra», la Corte costituzionale «di sinistra» ha dovuto contraddirsi
mentre un giudice «di sinistra» aggredisce le mie aziende. Non c' è una
parola di quel che dice l' Egoarca che corrisponda ai fatti. Nel 1993 la
corruzione inghiotte ogni anno 10mila miliardi di lire mentre l' indebitamento
pubblico - cresciuto del 92 per cento negli anni dei governi dell' «amico
Craxi» - oscilla tra i 150 e 250 mila miliardi, più 15/25 mila miliardi di
interessi annui. La Prima Repubblica crolla non per la pressione della
magistratura (una favola), ma per la disperazione di chi non può più pagare
il prezzo della corruzione alla politica e denuncia i corrotti. Berlusconi,
prossimo al fallimento, è creatura di quel sistema politico. Gli ha
assicurato ogni privilegio. Quaglia pronta al salto, si apposta però sotto le
insegne dell' antipolitica e vince. Entusiasta di quelle toghe che gli hanno
aperto la strada al potere, offre a due di loro (Davigo e Di Pietro) la
poltrona di ministro (rifiutano). Cade quando Bossi non ne può più dei
maneggi corruttivi dell' alleato che gli stanno mangiando la Lega e decide di
voltargli le spalle il 6 novembre del 1994, due settimane prima che Berlusconi
riceva l' avviso di garanzia che ancora oggi lo fa tanto strepitare. Come
accade per la disonorevole vita privata che conduce, l' inesauribile
ripetizione di concetti inconsistenti ci mostra come la menzogna abbia un
primato nella "politica narrativa" di Berlusconi. Sia il nucleo più
autentico del suo sistema politico. Abbia una funzione essenziale perché
abitua alla confusione e infine all' indifferenza, a un presente smemorato, a
una grottesca distanza tra quel che si dice e quel che è accaduto davvero. È
in questo varco che il Berlusconi «sputtanato» intende muoversi (e si muoverà)
con un nuovo obiettivo. Lo sollecitano due eventi, nulla che abbia a che fare
con l' interesse nazionale. Il primo, con tutta evidenza. È una controversia
tra due società private, la Fininvest di Berlusconi, la Cir di De Benedetti (è
l' editore di questo giornale). Anche il secondo evento, a pensarci, non è di
interesse pubblico. Non si discute - come pure sarebbe legittimo - la
reintroduzione nella Carta costituzionale dell' immunità per i rappresentanti
del popolo, cancellata dopo 45 anni nel 1993. Si discute dell' impunità di
Berlusconi. Di uno solo perché tra le quattro alte cariche che ne hanno
diritto con la "legge Alfano" soltanto Berlusconi ha gravi rogne
giudiziarie per comportamenti tenuti - peraltro - quando ancora non era né un
leader né il premier. Quindi, sono due fatti privati di un uomo diventato con
gli anni capo di governo, sostenuto da una granitica maggioranza cui il Paese
chiede di governare, a scatenare una paralizzante "guerra di
religione" che travolge ogni cosa e destino, uomini e istituzioni,
riattivando una falsa «narrazione» cara all' Egoarca e ai suoi corifei. Se
la "narrazione" sa di muffa, l' obiettivo è novissimo. Se nel 1994
gli venne buona per governare, oggi è utile per un' altra manovra che si
scorge ormai a occhio nudo. Che cosa sono le aggressioni al capo dello Stato?
Perché la denigrazione della Corte costituzionale? Perché l' annuncio di una
vendicativa riforma della giustizia? Come giustificare la segreta e abusiva
raccolta di informazioni (è accaduto negli archivi del Csm) che,
opportunamente manipolate, serviranno per bastonare il giudice che gli ha dato
torto? Come sempre per difendere se stesso e i suoi privatissimi interessi, l'
Egoarca non si accontenta più di fare le leggi che altri, da lui separati,
vaglieranno e applicheranno. Egli vuole liberarsi di ogni potere di controllo.
Non si accontenta, con 344 seggi alla Camera e 174 al Senato, di poter fare le
leggi. Esige anche il monopolio di farle valere. Screditandoli perché «di
parte», reclama anche il possesso diretto e legale degli strumenti di potere
statali. Ha soltanto una maggioranza, ma manco fosse un premio politico, un
plusvalore politico che gli è dovuto, pretende di essere lo Stato. Dice: il
popolo lo vuole. Dimentica che, dei 36 milioni di italiani che hanno votato il
13 e 14 aprile 2008, 17 milioni sono con lui e 19 milioni gli hanno voltato le
spalle, se non si vuol contare quei due italiani su dieci che, astenendosi, si
sono chiamati fuori dalla contesa. All' Egoarca va ricordato che non è l'
Italia, è solo il provvisorio capo di un governo. Purtroppo, come dargli
torto, molto «sputtanato».