Repubblica - 29 novembre 2009
IL RACCONTO di Repubblica di come i mafiosi di Brancaccio ritengano di avere «un asso nella manica» da giocare contro la Fininvest ha provocato le proteste di Marina Berlusconi, presidente della holding, e l' annuncio di azioni penali e civili di Mediaset. La protesta di Mediaset è temeraria. FORSE per un equivoco o soltanto per offrire ai giornali della Casa un titolo aggressivo, sostiene che, nell' inchiesta, ci sia scritto: «il 20 per cento di Mediaset appartiene alla mafia». È falso. Nessuno ha scritto una frase di questo genere. Nessuno poteva scriverla. Mediaset nasce come società quotata in Borsa soltanto nel 1996 mentre la cronaca dà conto, per la prima volta, degli interrogatori dei mafiosi di Brancaccio che raccontano vicende degli anni ottanta e primi anni novanta, comunque precedenti al 27 gennaio 1994, quando Filippo e Giuseppe Graviano sono stati arrestati a Milano. L' inchiesta si occupa di Fininvest, non di Mediaset. Di quel che i mafiosi riferiscono della Fininvest (detiene il 38,618 per cento di Mediaset). Gaspare Spatuzza rivela ai pubblici ministeri di Firenze che «Filippo Graviano mi parlava come se Fininvest fosse un suo investimento, come se fossero soldi messi da tasca sua ». È una dichiarazione che ripropone la questione mai accantonata della provenienza dei capitali che hanno favorito l' avventura imprenditoriale di Silvio Berlusconi che di suo - è noto - risorse non ne aveva a disposizione. Per sintetizzare i dubbi che ancora ci sono su quell' inizio, Repubblica ha ritenuto di citare una breve frase dal libro di Paolo Madron, Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer: «Sono <di Berlusconi& non meno dell' 80 per cento delle azioni delle holding che controllano Fininvest. Sull' altro 20 per cento, per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire» (pag.137). Contro questa frase muove oggi con indignazione e qualche sovrattono Marina Berlusconi. Lasciamo in un canto i suoi insulti. La presidente della Fininvest dichiara: «Il 100 per cento della Fininvest, come emerge incontrovertibilmente da tutti i documenti, appartiene alla nostra famiglia, a Silvio Berlusconi e ai suoi figli. Cosìè oggie cosìè da sempre, non c' è mai stata una sola azione della Fininvest che non facesse capo alla famiglia Berlusconi». Se così è, perché la Fininvest non ha mai considerato calunnioso e diffamatorio il libro di Madron, diventato nel tempo anche autorevole direttore di Panorama Economy, periodico della Casa? Perché se ne duole soltanto oggi? Possibile che le sia sfuggito un libro pubblicato da una casa editrice dal 1995 di proprietà della Mondadori? Di quel lavoro, qualcosa si sa. Paolo Madron è forse il solo giornalista che abbia avuto modo di incontrare e intervistare a lungo il conte Carlo Rasini, patron della Banca Rasini che mise a disposizione del giovane Berlusconi fidejussioni, prima, finanziamenti, poi. Madron riesce a incontrare Rasini nella sua casa ai Bastioni di Porta Venezia, a Milano. La conversazione è lunga, piacevole e assai intrigante. Il conte banchiere racconta come «in realtà, le città giardino di Berlusconi sono servite a qualche famiglia milanese per far rientrare le valigie di soldi depositate a suo tempo in Svizzera». Ricorda di come, un giorno, Berlusconi «va da Rasini e gli chiede di appoggiarlo su quei suoi amici, clienti o meno della banca, che hanno portato fuori tanti soldi e che, se lui ci metterà una buona parola, potrebbero dargli fiducia». Rasini ne parla con il padre di Berlusconi, Luigi, che non vorrebbe. Ha paura che il figlio «resti schiacciato dalla sua ambizione». Ma Rasini, come ha fatto altre volte, non gli fa mancare il suo aiuto. «In fondo, quale migliore occasione per far tornare il denaro dal paese degli gnomi e farlo fruttare bello e pulito nelle mani di quel giovanotto che dove tocca guadagna?». Ora Madron è a colazione da Carlo Rasini. Gli chiede conto di quei finanziamenti e il conte banchiere gli rivela che Berlusconi ha restituito, di quelle somme, soltanto l' ottanta per cento. «E l' altro venti?», chiede Madron. Rasini sorride e gli dice: «L' altro venti per cento non è stato restituito; so come sono andate le cose e a chi appartiene quel venti per cento, ma non glielo dirò». Marina Berlusconi, nel suo sdegno, sostiene ancora: «Anni e anni di indagini e perizie ordinate proprio dalla procura di Palermo si sono concluse con l' unico possibile risultato: (...) nell' azionariato Fininvest (...) non esistono zone d' ombra». L' affermazione è imprudente, se si legge la sentenza della II sezione del Tribunale di Palermo che ha condannato Marcello Dell' Utri, braccio destro di Berlusconi. La consulenza dell' accusa, scrivono i giudici, nonostante la «parziale documentazione» messa a disposizione, «evidenzia la scarsa trasparenza o l' anomalia di molte operazioni effettuate dal gruppo Fininvest negli anni 1975-1984. Questa conclusione non ha trovato smentita dal consulente della difesa Dell' Utri», il professor Paolo Maurizio Iovenitti, docente alla Bocconi di Finanza mobiliare e Analisi strategiche e valutazioni finanziarie. Iovenitti ha ammesso in aula che alcune operazioni erano «potenzialmente non trasparenti». Scrivono allora i giudici: «Non è stato possibile, da parte dei consulenti <del pubblico ministero e della difesa&, risalire in termini di assoluta certezza e chiarezza all' origine, qualunque essa fosse, lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest. (...). La consulenza Iovenitti non ha fatto chiarezza sulla vicenda in esame <e&, pur avendo la disponibilità di tutta la documentazione esistente presso gli archivi della Fininvest, non ha contribuito a chiarire la natura di alcune operazioni finanziarie "anomale" e a evidenziare la correttezza delle risultanze societarie, contabili e bancarie del gruppo Fininvest». Naturalmente sull' intera questione, avrebbe potuto far luce con autorevolezza Silvio Berlusconi. Si sa come andarono le cose. Interrogato il 26 novembre del 2002 a Palazzo Chigi, il presidente del consiglio si è «avvalso della facoltà di non rispondere». Così le perplessità sulle origini della fortuna di Berlusconi restano ancora vive. Ora che Cosa Nostra sembra ricattare il premier, sarebbe necessario illuminare quel che ancora oggi è oscuro, più che gridare a un «disegno politico di annientamento». -