“PAPOCCHIO”: TRA GAFFES ED USCITE IMPROVVIDE, STORIA DI TRE ANNI DI SCIVOLONI PONTIFICI
di
Valerio Gigante
ADISTA n° 16 del 14.2.2009
34828. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. La questione della revoca della scomunica ai lefebvriani non smette di far discutere. Prima le imbarazzanti parole del vescovo Richard Williamson, seguite da quelle di don Floriano Abrahamowicz; poi l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale, la crisi diplomatica con Israele, il grave vulnus ai rapporti con il mondo ebraico; infine, le tardive precisazioni di Benedetto XVI; la richiesta di ulteriori chiarimenti da parte del cancelliere tedesco Angela Merkel (un fatto senza precedenti), quella contenuta in una lettera al pontefice (29/1) da circa 50 membri cattolici del Congresso Usa e la parziale retromarcia di Ratzinger, che tramite la Segreteria di Stato vaticana ha fatto sapere che Williamson dovrà ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste della Shoah “per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa” (negli stessi giorni interveniva anche il presidente francese che commentava: "È inammissibile, increscioso e choccante ‑ ha detto Sarkozy ‑ che nel XXI secolo si possa negare la Shoah”).
Così, per l’ennesima volta, il papa è stato costretto a riparare in tutta fretta a un incidente provocato da sue intempestive decisioni o dichiarazioni. Teologo conservatore, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, stimato come ecclesiastico per la sua profonda conoscenza della Curia e per la fermezza della sua azione a difesa del magistero, da quando è stato eletto papa - nell’aprile 2005 - Ratzinger ha però dimostrato una totale mancanza di sensibilità diplomatica e saggezza politica. Scelto dal Conclave perché ritenuto in grado di traghettare la Chiesa in una difficile fase di transizione, Benedetto XVI ha invece sinora contrassegnato il suo pontificato con incidenti diplomatici, scelte improvvide e continui ripensamenti.
Un cammino pieno di inciampi
La lunga scia di gaffes del papa inizia poche settimane dopo l’elezione al soglio pontificio. Il 7 luglio 2005 Londra fu colpita da una serie di attentati terroristici che provocarono 52 morti e circa 700 feriti. Il giorno successivo, le agenzie battevano il testo del telegramma che Benedetto XVI stava per inviare al cardinale di Londra Murphy O' Connor. Il testo definiva gli attentati come "atti inumani e anticristiani". Un concetto, quello di anticristiano che, in relazione alla matrice islamica degli attentati, non faceva che rinfocolare quell’idea di conflitto di civiltà e fedi che poi Ratzinger avrebbe ripreso in molte altre circostanze, ma che in quel momento parve a molti inopportuno. E infatti, accortisi dell’incidente che il telegramma avrebbe provocato, all'ufficio stampa vaticano provvidero ad eliminato la frase incriminata. Nel testo ufficiale, diramato poche ore dopo i lanci delle agenzie, l'aggettivo "anticristiani" fu fatto sparire. La lettera del papa parlava genericamente di "atti barbarici contro l'umanità".
Ancora più grave l’infelice sortita del papa ad Auschwitz, (v. Adista n. 44/06). Nel discorso pronunciato il 28 maggio nel campo di sterminio – al termine del viaggio in Polonia iniziato il 25 – Benedetto XVI, non nominando mai Hitler, parlò del nazismo come di "un gruppo criminale", che “raggiunse il potere mediante promesse bugiarde” al popolo tedesco. Un popolo quindi, sollevato di responsabilità collettive, tutte attribuite ai “potentati del terzo Reich”, “criminali” che avevano ingannato i tedeschi in nome “di prospettive di grandezza, di recupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza”. Ratzinger cercò di attenuare le polemiche seguite al suo intervento durante l'udienza generale del 31 maggio, nel corso della quale, ripercorrendo le tappe del viaggio in Polonia, parlò finalmente di "antisemitismo" e di "odio razziale", chiamando esplicitamente in causa Hitler. Nessun cambiamento sostanziale, invece, rispetto alla questione delle responsabilità dei tedeschi rispetto alla Shoah: nell'udienza Ratzinger parlò genericamente di "regime nazista".
Ratisbona, correctio magistralis
Poi, in un crescendo, l’increscioso episodio di Ratisbona. Nella sua lectio magistralis su "Fede, ragione e università", tenuta di fronte ai rappresentanti del mondo della scienza riuniti all'Università di Regensburg (Ratisbona) il 12 settembre 2006 (v. Adista nn. 65 e 68/06), il papa sferrò un duro attacco all’islam. Facendo riferimento ad un dialogo del 1391 tra l’imperatore Manuele II Paleologo ed un dotto musulmano persiano su cristianesimo e islam, Ratzinger citò le parole usate dall’imperatore contro Maometto il quale, pur affermando che la fede deve essere libera, avrebbe sostenuto che essa va imposta anche con la spada: in questo modo il papa avallava implicitamente la tesi secondo la quale il concetto di jihâd equivarrebbe a quello di "guerra santa". Eppure molti teologi islamici da tempo sottolineano come l’identificazione tra la jihâd e la "guerra santa" sia sbagliata e fuorviante, perché nel suo genuino significato jihâd significa sforzo personale e interiore per conformarsi alla volontà di Dio. Inoltre, il papa aveva attribuito la stesura della Sura 2,256 del Corano - "Nessuna costrizione nelle cose di fede" - al periodo iniziale della predicazione di Maometto alla Mecca, quando il profeta "era senza potere e minacciato". Affermazione che per una parte del mondo islamico era capziosa, perché poteva sottintendere che Maometto, raggiunta una posizione più forte in seno alla sua comunità, si sarebbe invece messo a predicare la guerra Santa. Le reazioni del mondo islamico e dell’opinione pubblica mondiale furono durissime. Per tutti le parole del papa aprivano un solco profondo nel già difficile dialogo tra cristianesimo e islam. Il discorso di Ratisbona provocò un incidente talmente grave da indurre il Vaticano prima, e lo stesso papa poi, a fare un deciso dietro front: quando il discorso del papa fu pubblicato sul sito ufficiale vaticano fu fatto seguire da una nota: "Di questo testo - c’era scritto - il Santo Padre si riserva di offrire, in un secondo momento, una redazione fornita di note. L'attuale stesura deve quindi considerarsi provvisoria". Una scappatoia diplomatica del tutto inedita, che diede alla diplomazia vaticana il tempo di trovare un escamotage per salvare il salvabile. Così, quando il testo "rivisto" dal papa venne effettivamente pubblicato, il 9 ottobre 2006, venne corredato da ben 13 note, delle quali due dedicate ad esplicite prese di distanza del papa dalle dure affermazioni dell'imperatore Manuele II Paleologo da lui stesso utilizzate, esprimendo inoltre dubbi sulla datazione della Sura 2,256.
Mi spiace, non ho un discorso
Ancora nel 2006 (annus terribilis per Benedetto XVI), il 7 novembre, il Vaticano fu costretto ad un’altra clamorosa smentita, sostenendo che Benedetto XVI non aveva mai pronunciato ai vescovi svizzeri un discorso che pure i media vaticani avevano già diffuso. Dal 7 al 9 novembre, infatti, il papa aveva ricevuto l'episcopato svizzero, a conclusione di una visita ad limina. Nel discorso riprodotto quella mattina sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede il papa, rivolgendosi ai vescovi elvetici, aveva usato toni durissimi: la Svizzera - disse - è "caratterizzata da strutture e da sistemi che non sempre facilitano l'attuazione dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II". "Secolarizzazione e relativismo hanno provocato non solo la diminuzione della frequenza dei sacramenti, soprattutto la partecipazione alla messa domenicale, ma anche una messa in questione dei valori morali propri della Chiesa. Penso, in particolare, alla crisi profonda dell'istituzione del matrimonio e della famiglia, al numero crescente dei divorzi e degli aborti, alla possibilità di unioni tra persone dello stesso sesso". Il papa deplorava inoltre che vi fossero “dei fedeli, e purtroppo anche dei preti, che mettono in questione punti della dottrina e della disciplina della Chiesa”. Non solo: esecrava anche gli abusi liturgici, il declino della confessione individuale e la tendenza ad esaltare il ruolo del laicato fino da oscurare il "ruolo indispensabile dei sacerdoti".
Le critiche suscitarono dure reazioni da parte dell’opinione pubblica elvetica. Così, nel tardo pomeriggio del 7 novembre, la Sala stampa vaticana diffuse questo comunicato: "Il discorso del Santo Padre, pubblicato questa mattina sul Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede in occasione dell'incontro con i vescovi della Svizzera, non è stato pronunciato. Esso rifletteva il contenuto di una bozza preparata precedentemente". Ma il testo del discorso rilanciato dal radiogiornale vaticano del 7 novembre, stava per essere stampato anche dall'Osservatore romano. Il quotidiano vaticano, che esce nelle edicole nel pomeriggio, fu bloccato e mandato al macero prima di essere distribuito nelle edicole e inviato agli abbonati. Il numero fu frettolosamente ricomposto e uscì nuovamente senza il discorso già mandato in onda dall'emittente pontificia. Poi, il papa stesso, nell’omelia pronunciata durante la messa celebrata con l’episcopato svizzero quel pomeriggio del 7 novembre si giustificò: "Non ho potuto preparare un vero discorso". Scuse assolutamente non credibili perché era la prima volta che il papa (e lo staff della segreteria di Stato) non trovano il tempo per preparare un discorso da pronunciare di fronte ad un intero episcopato. E infatti l’imbarazzo fu tale che sul numero di Avvenire dell'8 novembre l'udienza ai vescovi svizzeri non fu nemmeno menzionata, e anche i giorni successivi il quotidiano della Cei non scrisse nulla dell’incidente (v. Adista n. 81/06).
La Conquista della fede
Non fu invece possibile cancellare le parole con cui Benedetto XVI, nel discorso inaugurale della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano pronunciato il 13 maggio 2007, negò l’imposizione violenta del cristianesimo in epoca coloniale, definendo per di più “un’involuzione” l’attuale processo di recupero delle religioni precolombiane (v. Adista n. 38/07). Anche in questo caso polemiche a non finire in America Latina e parziale retromarcia del pontefice nell’udienza generale del 23 maggio (v. Adista n. 39/07), con il riconoscimento delle “sofferenze ed ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene”. Un riconoscimento che sorvolava però sulle precise responsabilità della Chiesa.
Etere maligno
Un altro colpo ai rapporti con il mondo ebraico il papa lo assestò il 5 agosto 2007, ricevendo nella residenza estiva di Castel Gandolfo il direttore dell'emittente polacca Radio Maryja Tadeusz Rydzyk, accusato in patria di essere un antisemita. I sostenitori di Rydzyk interpretarono l'accoglienza ricevuta come un sostegno di Benedetto XVI alla linea ultraconservatrice della sua radio. “Siamo scioccati”, commentò in una nota il Congresso ebraico europeo, per l’udienza privata e la benedizione concessa “ad un uomo e a un'istituzione che hanno macchiato l'immagine della Chiesa polacca”: “Le affermazioni antisemitiche di Tadeusz Rydzyk - sottolineava inoltre la nota - sono state largamente trasmesse attraverso la sua radio”.Battesimo in mondovisione
Grande scandalo, non per il merito (la conversione), ma per il metodo (il sacramento amministrato dal papa a S. Pietro e trasmesso in “mondovisione”), suscitò poi il battesimo del musulmano Magdi Allam durante la veglia pasquale del 22 marzo 2008 (v. Adista n. 30/08). Per ben tre volte il direttore della Sala stampa vaticana p. Federico Lombardi dovette intervenire per gettare acqua sul fuoco della polemica scatenata sulla stampa nazionale ed internazionale tentando di sedare le reazioni seguite alle dichiarazioni anti islamiche rese da Allam al Corriere della Sera (23/3/08).
“Angola” una gaffe
E ancora, il 26 ottobre scorso, alla chiusura del Sinodo dei vescovi, il papa, nell’annunciare il suo primo viaggio in Africa, previsto per il marzo 2009, ha parlato di una tappa in Angola, “per celebrare solennemente il 500° anniversario di evangelizzazione del paese”. Peccato che l’anniversario fosse caduto nel 1991. Tanto più che, per la ricorrenza, i vescovi del Paese avevano indetto uno speciale anno giubilare, alla cui conclusione fu presente papa Wojtyla. Anche in questo caso, la toppa non riparò il buco. Il Vaticano, infatti, corresse - alla chetichella - lo svarione del papa, come se nulla fosse accaduto: sul sito della Santa Sede il discorso di Benedetto XVI fu “aggiustato”. Al posto del riferimento al 500° anniversario - questo inciso: “Dal Camerun proseguirò, a Dio piacendo, per l’Angola, per rendere omaggio a una delle Chiese sub-sahariane più antiche”.
Una “conversione” ad “U”
L’ultima toppa papale è invece datata 25 gennaio 2009. Al termine dell’angelus domenicale Benedetto XVI, celebrando la festa cristiana della conversione di Paolo, nel tentativo di ricucire almeno un po’ il rapporto con il mondo ebraico, ha dichiarato che prima di incontrare il Signore sulla via di Damasco San Paolo “era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo”. (valerio gigante)