Odio per gli immigrati chiamiamolo razzismo. Ormai è cultura di popolo
intervista ad Annamaria Rivera a cura di Tonino Bucci
“Liberazione” del 24 novembre 2009
Il sindaco leghista di Coccaglio, provincia bresciana, manda i
vigili nelle case degli stranieri residenti per controllare se sono in regola
col permesso di soggiorno. A San Martino dall'Argine, venticinque chilometri da
Mantova, l'amministrazione comunale Lega-Pdl ha firmato e diffuso un manifesto
in cui invita la popolazione a denunciare eventuali «immigrati clandestini»
presenti sul territorio. E, se non bastasse, a Milano la Regione Lombardia ha
promosso il progetto di vigilanza di quartiere sostenuto dal Pdl lombardo
(qualcuno dice in concorrenza con le ronde leghiste) perché siano gli stessi
cittadini residenti a segnalare «auto e persone sospette».
Casi di cronaca, ma non solo. L'equazione immigrato uguale clandestino uguale
criminale è l'asse della politica della destra nelle amministrazioni locali. Si
potrebbe minimizzare la questione dicendo che Lega e Pdl fanno demagogia e
alzano il tiro della propaganda per uscire dal logoramento dei rapporti interni
alla maggioranza di governo. Per guadagnare qualche consenso in più.
L'impressione, invece, è che ci sia dell'altro. Che il razzismo non riguardi più
soltanto la propaganda di qualche forza politica (minoritaria o no, poco
importa) e che sia ormai entrato nella (sotto)cultura di massa di questo paese
per diventarne una componente costitutiva. Lo dimostra il fatto che i sindaci
leghisti non hanno alcun bisogno di mascherare le politiche razziste con l'alibi
della sicurezza. Cacciare via gli immigrati, anzi, è cosa da rivendicare
apertamente se ci si vuole mettere in linea con gli umori popolari. Ne parliamo
con Annamaria Rivera, antropologa e docente di Etnologia all'università di
Bari.
Fioccano iniziative sul modello di Coccaglio. Segno che ad
esse fa riscontro un'adesione popolare. O no?
L'iniziativa della Regione Lombardia dimostra in modo perfetto ciò che vado
sostenendo da tempo. La "comunità razzista" è anche un surrogato
della comunità solidale. Laddove si sono inaridite le relazioni sociali basate
sulla reciprocità e la solidarietà, laddove non c'è più buon vicinato perché
è prevalsa la cultura dell'individualismo, del consumismo, dell'egoismo, del
sospetto verso chiunque "altro", attecchisce l'ideologia leghista. Che
offre non solo un surrogato di socialità ma anche identitario. Il
"noi" si coagula così intorno al sentimento dell'avversione verso gli
"estranei", verso gli occupanti abusivi del "nostro
territorio". Parafrasando Michel de Certeau, si potrebbe dire che l'identità
degli "altri", drammatizzata, serve a compensare la propria
indifferenziazione. L'immigrato diventa l'antidoto dell'anonimo.
I territori non sono luoghi del buon vicinato. Anzi, l'unico
legame tra residenti è la paura per l'immigrato. Non è così?
Un tempo i rapporti di vicinato erano uno dei pilastri della socialità e della
costruzione di comunità solidali. E' davvero paradossale che essi vengano
riproposti in funzione sicuritaria e xenofobica. Laddove si è spento o
attenuato il conflitto di classe, il conflitto prende di mira il compagno di
lavoro, il "meteco", più vulnerabile perché privo di diritti di
cittadinanza. Anche questo può contribuire a spiegare perché tanti operai
votino per la Lega Nord: è il principale imprenditore della xenofobia, che
promette di difendere i loro interessi contro quelli degli ultimi arrivati.
Il razzismo è oggi cultura di massa?
Non è la prima volta nella storia che dei ceti popolari si fanno interpreti
attivi delle campagne xenofobiche contro gli ultimi arrivati o i "nemici
interni". Basta ricordare, fra i tanti, il pogrom del 1893 ad Aigues-Mortes
che fece morti e feriti fra i lavoratori italiani delle saline. Gli esecutori
materiali di quel pogrom furono degli operai francesi. E quanto al nazismo
tedesco, sappiamo bene che le posizioni ultranazionaliste e antisemite avevano
conquistato non solo gruppi conservatori ma anche una parte delle classi
popolari, colpite dalla terribile crisi economica che agitava il paese.
Forse il razzismo ha conquistato le classi popolari perché
non ci sono altri modelli culturali, no?
Io credo che la situazione italiana odierna sia caratterizzata dalla saldatura
fra razzismo istituzionale e razzismo "ordinario" o popolare. In certe
aree del Nord sembra essere anche una connessione "sentimentale". Non
voglio sostenere che la xenofobia o il razzismo riguardino la maggioranza delle
classi popolari. Ma certo una parte di esse, non rappresentata e privata della
lingua del conflitto sociale, indirizza la propria frustrazione, rabbia, rancore
verso lo straniero, che diventa il capro espiatorio.
Il ruolo della Lega nella costruzione di un razzismo popolare
è innegabile. Non dovremmo parlare di un partito con chiari accenti nazisti?
E' soprattutto il leghismo che ha offerto un codice alternativo a quello del
conflitto sociale. Per questo non può essere derubricato a fenomeno goliardico.
La Lega ha esercitato ed esercita una pedagogia di massa e per le masse. Ha reso
dicibile ciò che era indicibile, ha detabuizzato l'interdetto della razza. E lo
ha fatto pescando a man bassa nei repertori più classici del razzismo, fino a
quello nazionalsocialista. Il leghista Salvini, che afferma che i topi sono più
facili da debellare degli zingari perché sono più piccoli, ripete, credo
consapevolmente, una delle metafore zoologiche più tipiche dell'antisemitismo
nazista.
E' esatto parlare di razzismo quando non è in gioco
un'esplicita dottrina della razza fondata su tratti somatici? O il termine ha un
significato più largo?
E' molto riduttivo, per non dire altro, sostenere che si può parlare di
razzismo solo in presenza di una dottrina delle gerarchie fra le razze, intese
in senso biologico, oppure in presenza di una fissazione sulle differenze
somatiche. Anche perché nel discorso neorazzista categorie come
"etnia" o "cultura" possono essere sostituite a
"razza" con lo stesso significato e funzione. E di fatto questo
avviene… "Non c'è razzismo perché non c'è dichiarata superiorità di
una razza su un'altra" è un luogo comune, che di tanto in tanto riemerge,
anche per opera di studiosi o comunque persone colte. Lo ha riproposto di
recente il presidente della Camera, la cui evoluzione nel senso dei principi
liberali pure è apprezzabile. Il dibattito sul neorazzismo ha quasi
quarant'anni. Nel lontano 1972, una grande studiosa francese, Colette Guillaumin,
in un bel libro sull'ideologia razzista, mai tradotto in Italia, aveva sostenuto
che quel che conta sono i processi di "razzizzazione", cioè di
considerazione e trattamento degli "altri" come se appartenessero a
razze inferiori. E avvertiva che qualunque gruppo può essere razzizzato,
indipendentemente dalla sua differenza somatica o culturale. Basta pensare
all'antisemitismo. Ma anche il razzismo contemporaneo funziona così: in Italia
di volta in volta vengono razzizzati gli albanesi, gli "slavi", gli
"islamici", i rumeni, i rom…
Termini come "xenofobia" non sono altrettanto validi
quanto "razzismo"?
Il luogo comune del quale ho detto interdice la possibilità di comprendere il
razzismo contemporaneo, perfino di coglierlo, alimentando una sorta di
negazionismo. Certo, a creare confusione c'è anche l'etimologia di
"razzismo". Dovremmo sforzarci di inventare un'altra parola, ma non
riduttiva come "xenofobia" o "intolleranza". Per me la
parola "razzismo" indica un sistema di idee, norme e pratiche sociali.
Un sistema che attribuisce a dei gruppi umani differenze essenziali,
generalizzate, definitive, naturali o quasi-naturali, allo scopo di legittimare
pratiche di stigmatizzazione, discriminazione, sfruttamento, segregazione,
esclusione o sterminio. E' una definizione approssimativa, come tutte le
definizioni. Ma almeno coglie uno dei dispositivi-cardine del razzismo: la
naturalizzazione, cioè la riduzione a natura di ciò che è sociale, culturale,
storico. Quella di Salvini non è solo una boutade o una metafora: penso che
egli sia convinto dell'inferiorità naturale e della sterminabilità degli
"zingari" come dei topi.
C'è una sottovalutazione del fenomeno?
Avere una buona teoria del razzismo può aiutare non solo a riconoscerlo, ma
anche a dargli il giusto peso e a combatterlo. Io ritengo che la gravissima
crisi democratica italiana si manifesti soprattutto attraverso la forma del
razzismo, come ha scritto fra gli altri Giuseppe Prestipino. Non conviene
sottovalutarlo. Sarebbe ugualmente nefasto sottovalutare come goliardia venata
da xenofobia l'ideologia e la politica della Lega. Le nuove leggi razziali (il
pacchetto-sicurezza) sono in una certa misura il risultato del ricatto e
dell'oltranzismo leghisti. Perfino quello che chiamiamo "razzismo
democratico" è stato influenzato dall'opera di avvelenamento quotidiano
svolto dalla Lega