di Gad
Lerner
dal“Venerdì”
di “Repubblica”. del 26 giugno 2009
Domanda:
l’Italia è un paese razzista?
Risposta: sì.
Parte il coro di proteste: ma va là, sono generalizzazioni inaccettabili! I
veri razzisti siete voi, privilegiati e snob, che ce l’avete con il popolo.
Neanche ve lo immaginate cosa significhi vivere nel casermone di periferia con
certi brutti ceffi, e magari il campo rom lì accanto alla fermata
dell’autobus.
Se poi allo stadio parte il coro “non ci sono negri italiani”, subito arriva
il commissario tecnico della Nazionale pronto a spiegare: suvvia, trattasi di
quattro imbecilli, non confondiamo il razzismo con l’ignoranza che c’è
sempre stata e sempre ci sarà.
La collezione dei “singoli” episodi, detti anche “casi isolati”, in cui
una persona viene insultata, aggredita, discriminata per via della sua
appartenenza etnico-religiosa o anche solo per il colore della sua pelle è
ormai normalità quotidiana che difficilmente fa notizia. Quando è proprio
inevitabile darne conto sui giornali, l’increscioso fatto di cronaca viene
ascritto alla voce “esasperazione”: se la gente diventa razzista è perché
non ce la fa più a sopportare. Reagisce all’ipocrisia di chi vorrebbe
nascondere l’evidenza, cioè la propensione maggiore degli stranieri a
commettere reati. Un sociologo come Luca Ricolfi scrive editoriali sul tasso di
“pericolosità” degli immigrati confrontato con quello della popolazione
italiana. Ma non è razzista, sia ben chiaro. Al contrario, è coraggioso perché
sfida la censura del “Politically correct”.
Poi ci sono i pignoli. Ti spiegano che non bisogna parlare di razzismo ma semmai
di xenofobia, cioè di ostilità allo straniero. Grazie della precisazione
davvero essenziale. Ci mettiamo l’animo in pace perché il razzismo italiano
contemporaneo non incorpora più –se non in settori marginali- le teorie del
razzismo biologico otto-novecentesco secondo cui esisterebbero popoli superiori
e popoli inferiori. Per intenderci, ora non si dice più che i negri sono
selvaggi, gli ebrei subdoli e gli ariani invece nobili. Ci si mette a posto la
coscienza precisando: apparteniamo tutti alla medesima razza umana; ma è meglio
che quelli lì, anche per il loro bene, se ne stiano (tornino) a casa loro.
Vanno per la maggiore in tv e sui giornali i propagandisti della differenza.
Amanti del parlare chiaro, loro sì vicini al popolo che incontrano al mercato e
sulla metropolitana (mentre si sa che gli antirazzisti mandano il filippino a
fare la spesa e viaggiano su limousines con l’autista). Se i romeni stuprano
noi lo scriviamo, va bene? Se gli zingari rubano perché dovremmo nasconderlo? E
se i musulmani ci odiano perché far finta di non vedere?
Così si alimenta e si legittima il circuito del nuovo razzismo italiano.
Licenza di gridare il risentimento generalizzato contro intere comunità.
Comprensione per chi trasferisce in gesti individuali o azioni organizzate tale
ostilità. Lodi ai politici che promettono riforme in senso discriminatorio del
diritto.
A questo punto viene il bello. Perché di fronte alle denunce e alle proteste di
coloro che vengono irrisi come “buonisti” (anche la bontà in questo paese
è diventata una parolaccia) si leva l’accusa: ma come, non vi rendete conto
che parlando a sproposito di razzismo voi non fate altro che favorirne la
diffusione? Placatevi. Minimizzate come noi. Lasciate perdere le sparate
“paradossali” di sindaci, ministri, deputati europei –sotto elezioni anche
del presidente del Consiglio schierato, udite, udite, contro la società
multietnica- e pazienza se sono un po’ troppo “colorite”. Non cadete nella
trappola, lasciate che i capipopolo diano voce alla “pancia” del popolo.
Perché? Perché altrimenti sarete voi (saremo noi) a far crescere il razzismo
in questo paese che prima ne era immune. Un po’ come dire che se gli ebrei non
si fossero allargati troppo, in Germania, quell’Hitler lì mica ce l’avrebbe
fatta…
Il prossimo 6 luglio deporrò come parte lesa di fronte all’ottava sezione del
Tribunale di Milano, dove è stato rinviato a giudizio per diffamazione
aggravata da istigazione all’odio razziale un redattore di “Radio Padania
Libera”. Un tale che minacciava me, “nasone”, di “venirmi a prendere in
sinagoga per il collo, e non in senso figurato” perché colpevole di avere
paragonato gli ebrei a “quella banda di ladri dei rom”.
Ebbene, sul “Foglio” mi hanno accusato di vigliaccheria perché dall’alto
del mio potere ho querelato un povero megafono di malumori popolari. Già, perché
io sarei il privilegiato, l’ammanicato, l’amico dei banchieri (mica male
come replica del più classico stereotipo antisemita); e con il mio
comportamento arrogante ho anch’io favorito l’ascesa al potere delle camicie
verdi.
Non avevo bisogno di questa conferma per riconoscere il grado di assuefazione
cui siamo pervenuti, con l’aggravante dell’inconsapevolezza.
L’Italia è un paese razzista? Sì.