“Questa Chiesa diventerà una setta”
intervista a Hans Küng a cura di Nicolas Bourcier e Stéphanie Le Bars
“La Stampa” del 25 febbraio 2009
Alto e magro, con il volto glabro e il ciuffo ribelle, Hans Küng, considerato il massimo teologo
cattolico dissidente vivente, riceve nel suo studio di Tubinga dai muri tappezzati di libri, dove i suoi
- tradotti in tutte le lingue - occupano il posto d’onore.
Professore, come giudica la decisione del Papa di togliere la scomunica ai quattro vescovi
integralisti di monsignor Lefebvre, uno dei quali, Richard Williamson, è un negazionista?
«Non ne sono rimasto sorpreso. Già nel 1977, in una intervista a un giornale italiano, Monsignor
Lefebvre diceva che “alcuni cardinali sostengono il mio corso” e che “il nuovo cardinal Ratzinger
ha promesso si intervenire presso il Papa per trovare una soluzione”. Questo dimostra che la
questione non è né un problema nuovo né una sorpresa. Benedetto XVI ha sempre parlato molto
con queste persone. Oggi toglie loro la scomunica, perché ritiene che sia il momento giusto per
farlo. Ha pensato di poter trovare una formula per reintegrare gli scismatici i quali, pur conservando
le loro convinzioni personali, avrebbero potuto dare l’impressione di essere d’accordo con il
concilio Vaticano II. Si è proprio sbagliato».
Come spiega il fatto che il Papa non abbia misurato la dimensione della protesta che la sua
decisione avrebbe suscitato, anche al di là dei discorsi negazionisti di Richard Williamson?
«La revoca delle scomuniche non è stato un errore di comunicazione o di tattica, ma un errore del
governo del Vaticano. Anche se il Papa non era a conoscenza dei discorsi negazionisti di monsignor
Williamson e lui personalmente non è antisemita, tutti sanno che quei quattro vescovi lo sono. In
questa faccenda il problema fondamentale è l’opposizione al Vaticano II, in particolare il rifiuto di
un rapporto nuovo con l’ebraismo. Un Papa tedesco avrebbe dovuto considerare centrale questo
punto e mostrarsi senza ambiguità nei confronti dell’Olocausto. Invece non ha valutato bene il
pericolo. Contrariamente alla cancelliera Merkel, che ha prontamente reagito.
Benedetto XVI è sempre vissuto in un ambiente ecclesiastico. Ha viaggiato molto poco. E’ sempre
rimasto chiuso in Vaticano - che è assai simile al Cremlino d’un tempo -, dove è al riparo dalle
critiche. All’improvviso, non è stato capace di capire l’impatto nel mondo di una decisione del
genere. Il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che potrebbe essere un contropotere, era un suo
subordinato alla Congregazione per la dottrina della fede; è un uomo di dottrina, completamente
sottomesso a Benedetto XVI. Ci troviamo di fronte a un problema di struttura. Non c’è nessun
elemento democratico in questo sistema, nessuna correzione. Il Papa è stato eletto dai conservatori e
oggi è lui che nomina i conservatori».
In che misura si può dire che il Papa è ancora fedele agli insegnamenti del Vaticano II?
«A modo suo è fedele al Concilio. Insiste sempre, come Giovanni Paolo II, sulla continuità con la
“tradizione”. Per lui questa tradizione risale al periodo medioevale ed ellenistico. Soprattutto non
vuole ammettere che il Vaticano II ha provocato una rottura, ad esempio sul riconoscimento della
libertà religiosa, combattuta da tutti i papi vissuti prima del Concilio». L’idea di fondo di Benedetto
XVI è che il Concilio vada accolto, ma anche interpretato: forse non al modo dei lefebvriani, ma in
ogni caso nel rispetto della tradizione e in modo restrittivo. Per esempio è sempre stato critico sulla
liturgia. E ha una posizione ambigua sui testi del Concilio, perché non si trova a suo agio con la
modernità e la riforma, mentre il Vaticano II ha rappresentato l’integrazione nella Chiesa cattolica
del paradigma della riforma e della modernità. Monsignor Lefebvre non l’ha mai accettato, e
nemmeno i suoi amici in Curia. Sotto questo aspetto Benedetto XVI ha una certa simpatia per
monsignor Lefebvre. D’altra parte trovo scandaloso che, per i 50 anni dal lancio del Concilio da
parte di Giovanni XXIV, nel gennaio 1959, il Papa non abbia fatto l’elogio del suo predecessore, ma
abbia scelto di togliere la scomunica a persone che si erano opposte a questo concilio».
Che Chiesa lascerà questo Papa ai suoi successori?
«Penso che difenda l’idea del “piccolo gregge”. È un po’ la linea degli integralisti: pochi fedeli e
una Chiesa elitaria, formata da “veri” cattolici. È un’illusione pensare che si possa continuare così,
senza preti né vocazioni. Questa evoluzione è chiaramente una restaurazione, che si manifesta nella
liturgia, ma anche in atti e gesti, come dire ai protestanti che la Chiesa cattolica è l’unica vera
Chiesa».
La Chiesa cattolica è in pericolo?
«La Chiesa rischia di diventare una setta. Molti cattolici non si aspettano più niente da questo Papa.
È molto doloroso».
Lei ha scritto: «Com’è possibile che un teorico dotato, amabile e aperto come Joseph
Ratzinger abbia potuto cambiare fino a questo punto e diventare il Grande Inquisitore
romano?». Allora, com’è possibile?
«Penso che lo choc dei movimenti di protesta del 1968 abbia resuscitato il suo passato. Ratzinger
era un conservatore. Durante il Concilio si è aperto, anche se era già scettico. Con il ‘68, è tornato a
posizioni molto conservatrici, che ha mantenuto fino a oggi».
Lei pensa che possa ancora correggere questa evoluzione?
«Quando mi ha ricevuto, nel 2005, ha fatto un atto coraggioso e io ho veramente creduto che
avrebbe trovato la via per le riforme, anche se lente. In quattro anni, invece, ha dimostrato il
contrario. Oggi mi chiedo se sia capace di fare qualcosa di coraggioso. Tanto per cominciare,
dovrebbe riconoscere che la Chiesa cattolica attraversa una crisi profonda. Poi potrebbe fare un
gesto verso i divorziati e dire che, a certe condizioni, possono essere ammessi alla comunione.
Potrebbe correggere l’enciclica Humanae vitae, che nel 1968 ha condannato tutte le forme di
contraccezione, dicendo che in certi casi l’uso della pillola è possibile. Potrebbe correggere la sua
teologia, che data dal Concilio di Nicea (325). Potrebbe dire: “Abolisco la legge del celibato”. È
molto più potente del Presidente degli Stati Uniti! Non deve rendere conto a una Corte Suprema!
Potrebbe anche convocare un nuovo Concilio».
Un Vaticano III?
«Permetterebbe di regolare alcune questioni rimaste in sospeso, come il celibato dei preti e la
limitazione delle nascite. Si dovrebbe prevedere un modo nuovo per eleggere i vescovi, che
contempli il coinvolgimento anche del popolo. L’attuale crisi ha suscitato un movimento di
resistenza. Molti fedeli si rifiutano di tornare al vecchio sistema. Anche alcuni vescovi sono stati
costretti a criticare la politica del Vaticano. La gerarchia non può ignorarlo».
La sua riabilitazione potrebbe far parte di questi gesti forti?
«In ogni caso sarebbe un gesto ben più facile del reintegro degli scismatici! Ma non credo che lo
farà, perché Benedetto XVI si sente più vicino agli integralisti che alle persone come me, che hanno
lavorato al Concilio e l’hanno accettato».
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