Di
Da
Tempi di fraternità n°1- gennaio 2009
Questa
nota, in sè abbastanza scontata, ha il pregio di consentirmi di partire da una
fonte autorevole e quasi magisteriale, anche se certo non indiscutibile, vale a
dire dalla relazione che mons. Ravasi ha tenuto al Sacro Volto lunedì 3 ottobre
a Torino, nel ciclo di lezioni sulla Parola, organizzate dalla diocesi sotto il
patrocinio del Cardinal Poletto. Relazione da cui prendo larghi spunti,
liberamente integrandoli col frutto di letture e riflessioni fatte in anni di
laico esercizio esegetico su riviste e in corsi biblici parrocchiali.
I
“Canoni” come scelta teo -ideologica
Come tutti sappiamo la Bibbia (“ta Bybla”, “I Libri”) non è un libro, ma una biblioteca
o, meglio, la raccolta dei testi “classici” fondamentali della tradizione
cultural-religiosa ebraica e cristiana. Raccolta chiusa in “Canone” dagli
ebrei tra il II e VII sec. d. C., dai cristiani tra il III e il XVI. Essa si
distingue dunque in Bibbia ebraica e Bibbia cristiana, comunemente note come
Antico e Nuovo Testamento, che ci sono giunti sostanzialmente in un ‘ ordine,
più o meno tematicamente e cronologicamente fissato, sulla base delle
conoscenze critico-letterarie e storiche dei suoi antichi redattori, vissuti tra
il
E così che la Bibbia contiene: testi narrativi mitici e leggendari emergenti da un passato
“immemorabile”, che solo studi antropologici e storici sulle origini della civilizzazione umana possono aiutare a chiarire; codici di leggi, rimandi ad usanze e culti, tutti idealmente collocati nell’età mosaica, ma per lo più riconducibili a epoche storiche diverse, alcune nate nell’età dell’esilio e del post-esilio, tra gli anni della dominazione babilonese, persiana e proto-ellenistica, altre che si perdono nei meandri delle trasformazioni sociali, culturali e religiose della preistoria; collezioni di detti e di proverbi, discorsi ed invettive profetiche, passi poetici, lirici ed epici, in larga parte nati in contesti sociali a cultura prevalentemente orale; testi storici, più o meno antichi e successivamente teologicamente rielaborati; riflessioni sapienziali e raccolte di preghiere, novelle e abbozzi di romanzo, che risalgono all’età che precede e segue l’ellenizzazione del Medio-Oriente; lettere, vangeli, cenni biografici e visioni apocalittiche, stese negli anni del “Mare nostrum “.
Da tutto questo materiale, messo insieme nei ricordati “canoni”, scegliendolo, con criteri storici, filologici e teologici non sempre chiarissimi, all’interno di un congerie di tradizioni orali e scritte ben più ricche, sono nate la Bibbia ebraica e la Bibbia cristiana, su cui ci soffermiamo, ma anche la meno nota Bibbia Copta, che ospita scritti enochici e apocrifi neotestamentari, e l’ipotetica Bibbia della setta di Qumran, sulla cui reale consistenza il dibattito è accesissimo.
Ora, per limitarci ai testi delle Bibbie
conosciute, famosissimo è quello noto come Salmi o Salterio,perchè scritto non
per essere letto in silenzioso raccoglimento, ma per essere cantato in liturgie
più o meno pubbliche e complesse. Nessun testo biblico ha avuto la diffusione e
la fortuna dei salmi ed è stato letto e commentato come Parola di Dio che deve
ispirare l’umana parola rivolta a Dio nella preghiera
della comunità o del singolo. Eppure innegabilmente i Salmi, come preghiera di
Israele, ripresa da cristiani e non-cristiani, credenti e non-credenti, sono
preghiera umana, parola nata dal cuore e dalla bocca di uomini che hanno cercato
di mettersi così in contatto con Dio, di cantarne le lodi e le opere, di
invocarne l’aiuto, di presentargli le proprie gioie, le proprie sofferenze, le
proprie speranze, i propri sentimenti nobili e ignobili, le proprie angosce, i
propri dubbi. Ma a ben vedere, come
i Salmi sono parola umana, che parla degli uomini a Dio e di Dio agli uomini, è
parola umana ogni altro testo che compone la Bibbia, da Genesi all’Apocalisse,
passando per Esodo, I-II Re, Proverbi e Giobbe, Amos ed Isaia, Paolo, Marco e
Giovanni. Parola umana, legata alla sensibilità morale e spirituale dei singoli
autori, agli sviluppi culturali, storico-giuridici ed etici dei loro contesti
sociali, alla trasmissione, prima orale e poi scritta, delle tradizioni che ce
li hanno formati e trasmessi, conservandoli, ma anche correggendoli e
aggiornandoli al proprio sentire, almeno fino alla loro chiusura in Canone, ad
opera, non dimentichiamolo mai, di altri uomini, che li hanno giudicati degni di
essere considerati “ispirati”, quindi, “Parola di Dio”, sulla base della
autorità tradizionale di tali testi, ma anche della propria sensibilità
religiosa e morale, anzi, spesso a servizio e fondamento della propria autorità
morale, sociale e religiosa. Mai
potrà capire ciò che la Bibbia insegna sull’uomo e su Dio, chi
Questa concezione dell’ispirazione della Bibbia, se mai è stata quella di qualche vero uomo di fede dei secoli passati, è una concezione sbagliata e inaccettabile, perche la formazione della Bibbia segue esattamente il cammino inverso. La Bibbia nasce come parola dell’uomo che dice Dio, in quanto sente urgere dentro di se l’interrogativo sull’origine della propria esistenza e dell’esistenza di quanto lo circonda e gli consente di vivere. Nasce come espressione del bisogno dell’uomo, in-terpellato dal mistero del suo nascere e del suo morire, colpito dalla meraviglia per la bellezza e l’orrore di quanto sente e vede nel mondo, di cogliere il senso di tutto ciò. Nasce dal fatto che egli lo coglie come nascosta presenza di una sorgente di vita che tutto trascende, nell’ordine del tempo, dello spazio e in quello del potere. Presenza che egli chiama El (Dio), Elohim (Dei), JHWH, o con altri nomi ancora, e che percepisce come presenza attiva nel suo pensiero e nel suo operare, non però in quanto frutto del proprio sforzo di capire e di fare, ma come messaggio e stimolo che da oltre gli viene, proprio come la vita e la morte, qualificandosi dunque come rivelazione. Nasce, infine, via via, portando con se, le caratteristiche del contesto sociale, culturale, etico ed esistenziale di colui e di coloro che la precorrono, la compongono e l’interpretano.
Ecco perchè non potrà mai capire la
Bibbia chi, collocandosi su tutt’altro versante da quello dell’integralismo
religioso, vale a dire sul fronte dell’integralismo laicista, ritiene di
poterla ridurre a naturale prodotto storico dell’evoluzione culturale umana, a
prodotto dell’umana proiezione fuori di sè dei propri bisogni e dei proprio
sogni od ossessioni. Certo, anche questo può e rischia di essere
Ogni buon lettore della Bibbia, infatti, capisce subito dai testi biblici che legge che questi si richiamano continuamente l’un l’altro e spesso sono una ripresa e una continuazione interpretativa di quelli precedenti, della rivelazione-ricerca di Dio in essi contenuta e ritenuta ancora e sempre valida ed attiva, disponibile cioè a nuovi annunci e a nuovi passi nel processo di ricerca-rivelazione che mai sarà chiusa, fino a che continuerà ad esistere qualche essere pensante.
Così deve lavorare l’interprete lettore di oggi, sia che lo faccia in privato, sia che lo faccia in pubblico, interpretando i testi con serietà esistenziale, vale a dire con tutti gli strumenti conoscitivi ed etico-pratici che la cultura del suo tempo gli mette a disposizione, comprese la storia, la filosofia, la letteratura, la sociologia, l’antropologia, e l’esperienza nel campo dell’impegno di vita sociale, politico e morale. E questo senza che sia necessario sapere se chi legge la Bibbia la legge come credente, che crede nella divina ispirazione del testo e del suo interrogarlo, o è un non credente che la legge per interesse esistenziale e culturale, per capire se stesso e le opere grandi della tradizione propria o altrui, perchè lo Spirito è come il vento, soffia dove e quando vuole e nessuno lo può fermare o codificare, può dire: è qui e non là. Dove è manifesta la sua opera.