“Repubblica”
del 28.08.2009
Nella Chiesa antica la penitenza era una cosa seria. Riguardava peccati come
l'omicidio, l'apostasia, l'adulterio e veniva
amministrata in forma pubblica.
Dopo che il peccatore era stato escluso dalla comunità liturgica per un congruo
periodo di tempo e aveva confessato al vescovo il proprio peccato. Il perdono
liturgico si poteva ottenere solo una volta nella vita, e se poi si peccava di
nuovo non c'era più possibilità di essere riammessi a pieno titolo nella
comunità cristiana.
All'inizio del
medioevo la penitenza divenne reiterabile, ma non per questo perse di rigore: i
confessori (ruolo che prese a essere esercitato anche dai semplici preti) avevano
a disposizione appositi libri, i cosiddetti "penitenziali", dove a
determinati peccati si facevano corrispondere determinate pene secondo un
tariffario oggettivo per evitare favoritismi e disposizioni "ad personam",
possibili anche a quei tempi.
Per esempio il
penitenziaro di Burcardo
di Worms, databile intorno all'anno
Mille, stabiliva che per un omicidio ci fossero 40 giorni consecutivi di digiuno
a pane e acqua e poi 7 anni costellati da privazioni di ogni sorta, soprattutto
astinenze sessuali; per un giuramento falso, sempre i canonici 40 giorni di
digiuno da estendere poi a tutti i venerdì della vita; per un adulterio
"penitenza a pane e acqua per due quaresime e per 14 anni
consecutivi". E' importante notare che nel primo millennio l'assoluzione
dei peccati veniva concessa solo dopo aver compiuto
le opere penitenziali.
Con l'estendersi della mondanizzazione della Chiesa
la procedura legata alla penitenza si fece più flessibile: l'assoluzione venne
concessa subito dopo l'accusa a voce dei peccati da parte del penitente e a
prescindere dall'esecuzione della penitenza assegnata, per soddisfare la quale,
peraltro, nacque presto la pratica delle indulgenze. E' noto che fu
proprio il persistente abuso della vendita delle indulgenze a costituire la
causa della ribellione di Martin Lutero e la
successiva divisione della Chiesa.
Nonostante ciò
anche la perdonanza celestiniana
del 1294 era, ed è, una cosa molto seria. Nella bolla d'indizione papa
Celestino V fa ampio riferimento a Giovanni Battista, in particolare al suo
martirio, visto che la perdonanza ricorre proprio il
29 agosto, giorno della celebrazione liturgica della decapitazione dell'ultimo
grande profeta biblico.
E' noto
infatti che Giovanni Battista finì in galera e poi venne decapitato per
la sua severità morale, in particolare per aver richiamato il re Erode al
rispetto della morale matrimoniale, infranta pubblicamente dal sovrano che
conviveva illecitamente con la moglie del fratello Filippo, Erodiade,
"donna impudica", come la definisce papa Celestino V nella bolla.
E' a tutti
evidente che Giovanni Battista, seguendo lo stile degli altri profeti biblici,
non aveva ancora sviluppato la sottile arte della
diplomazia ecclesiastica, capace di distinguere tra vita privata e ruolo
istituzionale dell'uomo politico, e così utile a navigare tra le tempeste del
mondo senza perdere (fisicamente) la testa.
Nella sua
ingenuità il Battista riteneva che per un uomo politico non fosse ipotizzabile
nessuna distinzione tra vita privata e ruolo istituzionale: era così inesperto
di come va il mondo da essere addirittura convinto che se un uomo non è in
grado di governare bene e con equità la propria famiglia, meno che mai potrebbe
governare bene e con equità la propria nazione.
Evidente che
era un primitivo, ben al di sotto delle sottili distinzioni che si teorizzano in
questi giorni al Meeting di Rimini e che consentono al segretario di Stato del
Vaticano di cenare serenamente con l'attuale capo del governo italiano
elevandosi mille miglia più in alto rispetto alla rozzezza del Battista con
quel suo modo irrituale di sindacare sulla vita
sentimentale del leader del suo tempo.
Ma se era seria la penitenza antica ed era seria la Perdonanza
di papa Celestino, ancor più serio, terribilmente drammatico, è lo sfondo su
cui tutto questo oggi si ripresenta, cioè il terremoto del 6 aprile coi suoi
308 morti, 1500 feriti e le decine di migliaia di sfollati.
Nella
celebrazione della perdonanza celestiniana
di quest'anno all'Aquila si intrecciano quindi tre realtà che meritano rispetto
incondizionato da parte di ogni coscienza adeguatamente formata, tanto più se
cattolica visto il patrimonio spirituale che è in gioco.
Sarebbe
stato quindi auspicabile che la gerarchia ecclesiastica non avesse consentito di
sfruttare un evento del genere per speculazioni politiche, concedendo visibilità
e "perdonanza mediatica"
a chi, accusato di aver avuto a che fare con un buon numero di Erodiadi,
non ha mai accettato di rispondere pubblicamente e analiticamente alle precise
domande in merito, come invece il suo ruolo istituzionale gli impone.
E' chiaro a
tutti infatti che all'homo politicus,
a ogni homo politicus, non interessano le
indulgenze ecclesiastiche, neppure quelle plenarie (le quali peraltro si possono
ottenere in ognuna della nostre chiese con relativa facilità, rivolgersi al
proprio parroco per sapere come).
All'homo politicus interessa solo la sua
riserva di caccia, l'elettorato, e sa bene che la vera indulgenza al riguardo
non la si ottiene confessandosi e comunicandosi e
facendo tutte le altre pratiche devote prescritte da papa Celestino otto secoli
fa, ma semplicemente apparendo in tv accanto al potente porporato sorridente e
benevolente.
E' questa
l'indulgenza che il capo del governo, abilissimo homo politicus,
cerca, ed è questa l'indulgenza che il segretario di Stato Vaticano gli
concederà, con buona pace della testa di san Giovanni Battista, di Celestino V
e della sua Perdonanza.
Non posso concludere però senza chiedermi se questo spensierato teatro di
potenti che si legittimano a vicenda non abbia qualcosa a che fare con quel
nichilismo a proposito del quale Benedetto XVI ha avuto di
recente parole di pesantissima condanna.
Il fatto che
la gerarchia della Chiesa cattolica teoreticamente condanni il nichilismo e poi
praticamente lo alimenti, si può spiegare solo con una sete infinita di potere,
la quale non giace nelle coscienze dei singoli prelati ma
è intrinsecamente connaturata alla struttura di cui essi sono al servizio.
La cosa è
tanto più drammatica perché forse mai come ora gli uomini sentono il bisogno
di apprendere l'arte del perdono e della riconciliazione.