Il lato B dei rapporti Stato-Chiesa

di Marco Politi

 “il Fatto Quotidiano” del 27 novembre 2009

 

Sotto gli occhi allibiti delle nazioni europee è in corso in Italia un esperimento di macelleria giuridica senza precedenti. Non c’è giorno in cui i satelliti del Cavaliere non cerchino di tagliuzzare e rappezzare le leggi per mettere il bavaglio alla magistratura. La Chiesa, i cui vertici insistono costantemente nel dichiarare il loro legame con le sorti del popolo italiano, tace. Eppure il fulcro della sua “dottrina sociale” risiede in un concetto: bene comune. E’ il filo conduttore di encicliche, documenti, discorsi papali. E’ il principio in nome del quale per la dottrina cattolica l’egoismo, l’avidità, la prepotenza sociale, l’ingiustizia vanno respinti e combattuti dai credenti.  

   Spesso, se non quotidianamente, le autorità ecclesiastiche evocano l’etica della famiglia, l’etica della vita, l’etica della fecondazione, l’etica della salvaguardia del creato, l’etica della solidarietà sociale, l’etica della finanza, l’etica della ricerca scientifica. Stranamente dai Palazzi ecclesiastici non giunge invece, nemmeno fioca, una parola sulla torsione brutale cui il presidente del Consiglio sta sottoponendo le fondamenta del sistema legale italiano. La gerarchia sta cercando di presentare la situazione come un conflitto irrazionale tra eserciti vocianti. Non è così. Non si tratta dello scontro fra due tifoserie. Nelle stanze vaticane, dove si respira un’aria internazionale, si sa benissimo qual è il giudizio che nelle democrazie occidentali è riservato al caso B. Si sa, ma si tace.

   Ora è anche comprensibile che per diplomazia il Vaticano non voglia entrare nelle questioni interne di un altro Stato. Ma ciò non giustifica l’anomalia del silenziatore imposto alla Chiesa italiana nel suo complesso. Tanti, tantissimi fedeli, ubbidienti al magistero papale, appassionati del Vangelo, alieni dall’alzare la voce, aspettano da settimane che i vertici ecclesiastici pronuncino una parola chiara sulla pretesa che la legge non valga per tutti. Sono assieme alla stragrande maggioranza degli italiani, che ha approvato la Consulta quando ha bocciato il lodo Alfano e che oggi è contraria alla sospensione dei processi   e alla reintroduzione dell’immunità ai parlamentari.

Anche questo è “cattolicesimo popolare”. Ma la Chiesa tace. “Una viva coscienza della legalità esige che la formulazione delle leggi obbedisca innanzitutto alla tutela e alla promozione del bene comune… Se i comportamenti si slegano dalle norme, perché diventano legge a se stessi, perde senso ogni riferimento a un ordinamento legale. Se i mezzi vengono valutati esclusivamente in base ai loro esiti immediati, scompare la progettualità nella società degli uomini e quindi il riferimento a leggi comuni”. Sono affermazioni contenute in un documento ufficiale della Cei del 1991. Si intitola “Educare alla Legalità”. Basterebbe ricordarlo.

Ai piani alti della Chiesa si assiste a una contraddizione profonda.
Da un lato l’episcopato (affrontando i problemi della criminalità nel meridione) si propone una campagna permanente per inculcare il rispetto della legge, dall’altro chiude gli occhi dinanzi a quella che una personalità equilibrata come Ciampi definisce ormai una costante “manipolazione delle regole”.

   E’ il prezzo della ragion di Stato. Dalla maggioranza di centrodestra la gerarchia ecclesiastica si attende il sabotaggio della pillola Ru486, la negazione dell’autodeterminazione del paziente nel testamento biologico, i finanziamenti alle scuole cattoliche. Molti credenti si chiedono se siano regali talmente importanti da rimuovere ogni preoccupazione per la moralità pubblica, il bene comune, la legalità “intesa come rispetto e osservanza delle leggi (che) è una forma particolare di giustizia” (così la Nota del 1991).

   Tacciono i vescovi, tace finora l’Avvenire, tace evidentemente scoraggiata dall’alto, gran parte della stampa diocesana. Mosca rara, il settimanale del Patriarca Scola di Venezia. Su “Gente Veneta” si può leggere un’intervista all’ex procuratore generale Fortuna, che dice ciò che tutta l’Italia non ciecamente berlusconiana ha già compreso: “Con il processo breve un’assurda amnistia, la più grande del dopoguerra. Si rischia l’estinzione dei reati senza alcun criterio”. Berlusconi lo sa benissimo. Il silenzio ecclesiastico è l’ultima grande stampella a cui aggrapparsi.