Necessità di «dissenso creativo» contro la violenza della Chiesa
di Enzo Mazzi
in “il manifesto” del 20 ottobre 2009
Ci sono gesti politici il cui significato e la cui valenza vanno ben oltre gli aspetti contingenti perché
derivano dalle radici di violenza presenti nella cultura profonda di una società e le alimentano come
nuovi virgulti capaci di sfidare il futuro con tutta la loro carica di distruttività. L'affossamento della
legge sull'omofobia è uno di questi. La gravità del rifiuto di inserire fra le aggravanti degli atti di
violenza contro gli omosessuali «le finalità inerenti all'orientamento o alla discriminazione sessuale
della persona offesa», oltre che negli aspetti giuridici specifici, sta nella cultura di negazione
violenta della diversità che ancora condiziona le coscienze e le istituzioni.
«L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale,
esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso.(...) Appoggiandosi sulla Sacra
Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre
dichiarato che 'gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati'. Sono contrari alla legge
naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera
complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. Tra i peccati
gravemente contrari alla castità, vanno citati la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le
pratiche omosessuali».
Sono affermazioni d'incredibile gravità contenute nel Nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica che
da secoli e tutt'ora seminano nelle coscienze germi di esclusione se non di vero e proprio odio verso
la diversità sessuale.
Ma c'è di più. Coinvolgono Dio stesso come attore primario nella cultura della esclusione e della
violenza. Lo stesso Catechismo ribadisce che «quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale e
quindi anche chi compie atti omosessuali sono condannati alla dannazione eterna; contro di loro
l'invettiva di Cristo: 'Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno'».
Questa è la cultura cattolica che viene diffusa ovunqe e inculcata nelle malleabili coscienze in
formazione attraverso le prediche, i catechismi e lo stesso insegnamento della religione cattolica
nella scuola pubblica. Quell'insegnamento che molti genitori considerano utile per la formazione dei
loro figli e che i laici sottovalutano cone sostanzialmente innocuo. Quell'insegnamento che la
ministra Gelmini vorrebbe restituire alla dignità di materia curricolare quasi obbligatoria.
C'è una pagina di Ernesto Balducci che denuncia con rigore e radicalità la radice violenta della
cultura cattolica dominante: «Abbiamo esaltato all'infinito, sacralizzandoli, i nostri istinti di
aggressività nell'idea di Dio. Dio è la cifra assoluta dell'aggressività umana. Il Dio a cui siamo stati
assuefatti è un Dio aggressivo, discriminante, implacabile, giusto nel modo con cui noi pensiamo
che si debba essere giusti, capace di mantenere in totale estraneità da sé i cattivi per tutti i secoli dei
secoli. All'interno di un Dio così pensato abbiamo collocato il Vangelo di Gesù Cristo».
Di fronte alla lucida analisi di esistenze profetiche come padre Balducci, risulta disarmante il
candore di cristiani che si gettano, e quanto giustamente, nella lotta contro la violenza espressa dai
poteri politici o economici ma trascurano completamente di prendere consapevolezza e di
denunziare la violenza insita nelle strutture religiose, evitando di cercare percorsi di fede alternativi.
Si affacciano a denunziare gli eccessi di una pastorale escludente propria di alcuni settori della
Chiesa ma non pongono la scure alla radice millenaria della struttura stessa del cristianesimo che va
rovesciata come un guanto, dalla cultura dell'antagonismo alla cultura della non-violenza. Bisogna
sporcarsi col «dissenso creativo».