Il papa dei troppi silenzi

di Marco Politi

il Fatto Quotidiano 22 dicembre 2009

Santo no. Anche se appare un leader importante della Chiesa del Novecento. Pio XII, che papa Ratzinger sta portando sugli altari, resta una figura controversa. Difficile presentarlo come simbolo e modello da seguire. È bastato che Benedetto XVI firmasse il decreto sulle “virtù eroiche” di Eugenio Pacelli (ultimo passo, oltre al riconoscimento di un miracolo, prima della beatificazione ufficiale) perché esplodesse nuovamente la crisi fra Ratzinger e il mondo ebraico. Il Papa dovrebbe recarsi in visita alla Sinagoga il 17 gennaio, ma ora tutto è in forse. Già l’anno scorso, proprio a causa dell’esaltazione di Pio XII fatta da Ratzinger, l’assemblea rabbinica italiana aveva cancellato la tradizionale giornata d’incontro cattolico-ebraica.

Faticosamente si era riallacciato il dialogo e adesso arriva la nuova gelata. Dietro le quinte sono in corso negoziati molto tesi perché il Vaticano garantisca che la beatificazione di Pacelli non abbia luogo almeno nel 2010 assieme a quella di Karol Wojtyla.

Continua a pesare su Pio XII l’atteggiamento di diplomatica prudenza di fronte all’Olocausto, quel “silenzio” che gli fu rimproverato dal drammaturgo Rolf Hochhuth nell’opera teatrale “Il Vicario”, che nel 1963 si conquistò risonanza mondiale. Ancora oggi i maggiori rappresentanti dell’ebraismo gli rimproverano di non avere detto una parola quando i nazisti rastrellarono a Roma, quasi sotto le finestre del Palazzo apostolico, e oltre mille ebrei che vennero deportati ad Auschwitz il 16 ottobre 1943.

Negli ultimi vent’anni l’immagine di papa Pacelli è rimasta schiacciata sulle vicende della Shoah, paradossalmente dopo che nell’immediato dopoguerra esponenti ebraici di primo piano come il premier israeliano Golda Meir lo avevano elogiato come difensore delle vittime dell’Olocausto. In effetti immaginare Pio XII tollerante verso il nazismo o peggio suo complice - secondo la tesi adombrata nel titolo del libro “Hitler’s Pope - Il Papa di Hitler” dello scrittore britannico John Cornwell - è una falsità. Pacelli aveva orrore di Hitler e dell’ideologia neopagana e razzista del nazismo. Negli archivi sono state trovate anche tracce di un suo cauto, ma convinto appoggio ai tentativi di circoli dell’establishment tedesco di eliminare il Führer. Né si può dimenticare l’impulso da lui dato a istituzioni e conventi cattolici per salvare in ogni modo un numero grandissimo di ebrei.

E tuttavia, nella stagione cruciale del duello mortale ingaggiato tra il nazifascismo e lo schieramento antifascista, divenuto poi in guerra il fronte degli alleati, Eugenio Pacelli è rimasto vittima di una concezione tutta politica e diplomatica della sua missione. Era preoccupato di salvaguardare per la Santa Sede una posizione al di sopra delle parti nel conflitto mondiale, preoccupato di garantire i diritti della Chiesa cattolica tedesca attraverso il Concordato offertogli da Hitler, preoccupato di mantenere per la Germania una funzione di baluardo nei confronti del bolscevismo, convinto di scegliere il male minore non chiamando per nome la bestiale persecuzione degli ebrei nell’intento di salvarli dietro le quinte.

Così Pio XII non ha saputo essere all’altezza del momento storico. Quanto più negli ultimi cinquant’anni è cresciuta la consapevolezza internazionale del carattere radicalmente disumano della Shoah tanto più appare chiaro che Pio XII ha mancato nel ruolo profetico che dovrebbe svolgere un “vicario di Cristo”. Ci sono tappe precise che testimoniano dei fallimenti di papa Pacelli, non riscattati dalla sincerità delle sue intime angosce. Come segretario di Stato vaticano Pacelli preme nel 1933 sul partito cattolico tedesco Zentrum affinché voti i pieni poteri a Hitler, prologo della dittatura organica. A Pacelli interessava ottenere il concordato con il Terzo Reich. Eppure i cattolici del Zentrum e i socialdemocratici avevano voti abbastanza per impedire l’approvazione della legge, ma Pacelli, diffidente della democrazia e avverso ai socialdemocratici, volle altrimenti. Subito dopo la conferenza episcopale tedesca fu costretta ad abrogare i suoi precedenti pronunciamenti antinazisti. E quando si verificò il gigantesco pogrom antiebraico della Notte dei Cristalli, la Chiesa stette in silenzio.

Appena eletto pontefice Pacelli mise nel cassetto il progetto di un’enciclica contro l’antisemitismo, progettata dal suo predecessore Pio XI. Non condannò decisamente la violazione della neutralità di Belgio e Olanda da parte delle truppe tedesche. Suscitò amarezza nei cattolici polacchi, che non si sentirono abbastanza difesi. Non denunciò apertamente lo sterminio degli ebrei, pur mandando messaggi chiari di simpatia e solidarietà al popolo ebraico usando un linguaggio allusivo. È in questo quadro che si situa il tragico silenzio sul rastrellamento dei 1021 ebrei romani nel 1943. Silenzio osservato, nella sua ottica, per aiutare le vittime.

Papa Wojtyla, nel suo viaggio in Germania nel 1996, elogiò i vescovi olandesi che avevano protestato pubblicamente contro le persecuzioni antisemite. La reazione nazista fu spietata, ma la citazione di Giovanni Paolo II rivelò eloquentemente che il pontefice polacco riteneva che dinanzi all’“Anticristo” non bisognasse fermarsi a fare di conto tra profitti e perdite.

Pio XII stesso sapeva che il suo silenzio sarebbe stato giudicato. Lo documenta l’interessante biografia di Andrea Tornielli (Mondadori). Tormentato, ne parlò già nell’ottobre del 1941 con l’allora nunzio Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII. E appelli a levare profeticamente la sua voce gli vennero da personalità cattoliche francesi come Mounier e Mauriac, da Edith Stein, dal gesuita tedesco Friedrich Muckermann che già negli anni ‘30 si chiedeva perché la Chiesa si fermasse alla “tattica” e non denunciasse il nazismo con la stessa forza con cui combatteva il bolscevismo.

E così i silenzi di Pacelli hanno finito per oscurare anche il suo ruolo rilevante all’interno della Chiesa dopo la guerra. A studiarlo attentamente, il suo pontificato mostra importanti aperture nell’incoraggiare gli studi di esegesi biblica. È lui a dare un primo placet alle teorie evoluzioniste di Darwin come “ipotesi” accettabili. È lui ad autorizzare nei paesi del nord le messe nelle lingue nazionali. Lui a occuparsi per primo della regolamentazione delle nascite attraverso l’osservanza dei periodi fecondi e infecondi della donna. Lui, persino, a progettare un Concilio che mai si terrà. Poi c’è il capitolo della politica italiana, ma questa - come direbbe Kipling - è un’altra storia.