Il paradosso dei CATTOLICI
Gustavo Zagrebelsky
Repubblica 06 ottobre 2009
L' esistenza nella galassia cattolica di "cattolici
democratici" è di per sé stessa la dimostrazione di una difficoltà non
risolta nel rapporto tra democraziae cattolicesimo. Se la difficoltà non ci
fosse, l' aggettivo specificativo sarebbe superfluo. Il fatto che vi siano
cattolici che si auto-definiscono democratici significa sì che il
cattolicesimo è compatibile con la democrazia, ma anche che la democrazia non
è coessenziale al cattolicesimo, perché esso contempla anche l'
antidemocrazia. Se poi consideriamo che i cattolici democratici, per loro
stesso riconoscimento, nel loro mondo sono oggi minoranza, la conclusione
preoccupante è che, dalla maggioranza, le regole della democrazia, se sono
accettate, lo sono non per adesione, ma per sopportazione o per opportunità:
se e finché non si prospettino convenienze migliori. Queste affermazioni
possono sembrare temerarie, considerando il contributo cattolico alla lotta di
liberazione, all' elaborazione della Costituzione e alla partecipazione alla
vita democratica nei decenni che ne sono seguiti. Ma, per l' appunto, il mondo
cattolico è una galassia dove c' è di tutto e quel contributo alla
democrazia, che nessuno potrebbe negare o sminuire, si accompagna al permanere
di atteggiamenti d' altro genere, riserve mentali e aperte contraddizioni. Una
frattura profonda ha separato, fin dalle origini, la democrazia moderna dal
mondo cattolico e questa frattura, evidentemente, non è completamente sanata.
La ricorrente accusa di "relativismo" rispetto ai "valori"
è solo una denuncia aggiornata dei "deliramenti" democratici d' un
tempo (enciclica Diuturnum illud del 1881). Nel contesto di questa diffidenza
antica si sviluppa la testimonianza che Rosy Bindi, una delle voci più
impegnate a difendere l' identità e l' eredità dei cattolici democratici, ha
reso in un libro-intervista con Giovanna Casadio ( Quel che è di Cesare,
Laterza, pagg. 144, euro 10). È una testimonianza di quel che la fede cris t
i a n a p u ò p o r t a r e c o m e contributo all' ethos democratico. Ma è
anche la prova della tensione che deriva non - come talora erroneamente si
dice - dall' essere cittadino e credente al tempo stesso (come se la
democrazia dovesse essere necessariamente atea o agnostica), ma dall' essere
al tempo stesso cittadino e membro della Chiesa cattolica, quando essa - per
così dire - si pone (in misura più o meno stringente, si è sempre posta)
come organizzazione dell' obbedienza nelle cose temporali. Non sono le fedi,
laiche o religiose, a creare difficoltà. Esse, in quanto vissute nella libertà
e nella responsabilità, non impediscono la democrazia, anzi l' arricchiscono.
È nella duplice appartenenza allo Stato democratico e alla Chiesa come potere
disciplinare, la radice della difficoltà. Due lealtà possono entrare in
conflitto; doveri diversi possono contrapporsi. Il cittadino, per rispettare
se stesso, dovrebbe negare il credente; il credente, per non contraddire il
suo vincolo confessionale, dovrebbe negare il cittadino. Non è vero, infatti,
che le due appartenenze si completino a vicenda. Il conflitto è in agguato.
La democrazia presuppone l' apertura al dialogo fecondo, cioè non per finta,
in vista di accordi e, ove occorra, di compromessi. Esige, in una parola,
atteggiamenti non dogmatici ma laici. L' appartenenza alla Chiesa può invece
creare situazioni drammatiche di autaut: o dentro o fuori, o obbedienzao
tradimentoe scomunica. Due logiche che, quando si scontrano radicalmente,
creano difficoltà e sofferenze che possono risolversi solo con la
capitolazione di una delle due parti. Anche il famoso caso, citato anche nell'
Intervista, di Alcide De Gasperi che resiste al Diktat politico del Papa
minacciando le dimissioni da presidente del Consiglio, ne è la riprova. Fu
Pio XII a recedere, cioè a capitolare. Non fosse stato così, le dimissioni
di De Gasperi, dal punto di vista dei suoi doveri civili sarebbero state non
una dimostrazione di laicità, ma a sua volta una capitolazione di fronte a
una pretesa clericale. Trai doveri civili, non c' è infatti quello di
lasciare il proprio posto, se la Chiesa si inalbera. La riflessione di Rosy
Bindi tocca molti problemi, di teoria e di pratica politica, e li tocca in
modo tale da mostrare le possibilità d' integrazione del cattolicesimo
democratico nella vita politica comune, al di là dello steccato
confessionale. E mostra altresì il contributo di umanità, giustizia e
solidarietà ch' essoè in grado di dare, un contributo al quale i non
cattolici non possono essere indifferenti. Ma questa riflessione non tace le
difficoltà che derivano dalla posizione politica che la Chiesa Cattolicaè
venuta assumendo negli ultimi anni, con l' allontanamento progressivo dallo
spirito del Concilio Vaticano II. È un regresso, le cui conseguenze sono
denunciate a chiare e brucianti lettere, con espliciti riferimenti alla
politica della CEI del cardinal Ruini: «Purtroppo, smarrita la memoria
storicae rimossii fondamenti della Costituzione e del Concilio Vaticano II,
siamo finiti dentro la contraddizione strumentale che la destra sta facendo
della religione. C' è un ritorno al passato, abbiamo bruciato un secolo di
storia». C' è solo da aggiungere due cose: che "quest' uso blasfemo
della fede" non è solo della "destra" e trova spesso la calda
riconoscenza della gerarchia ecclesiastica. Gli ambienti curiali, cattolici e
atei, denigrano questo genere di considerazioni come trita lamentazione sul
"concilio tradito". Non è così. È invece la puntuale
registrazione di una strategia fatta innanzitutto di irrigidimenti
disciplinari nei confronti dei fedeli, frequentemente richiamati all' ordine
gerarchico perfino in occasioni elettorali, e poi di accordi di potere tra
vertici della Chiesa e vertici politici, dove l' obbedienza prestata dai
cattolici alla gerarchia diventa strumento di pressione, se non di ricatto,
nei confronti dell' autorità civile. Tutto questo si è visto all' opera con
i "non possumus", i "richiami impegnativi", l' appoggio o
il ritiro dell' appoggio a questa o quella formazione politica, a questo o
quel governo, fino a condizionarne l' esistenza o la sopravvivenza. Una Chiesa
così potrà pure richiamarsi, davanti al popolo dei suoi credenti, alla
propria funzione di traghettatrice delle loro anime nel mondo che ha da
venire; ma, per l' intanto nel mondo che c' è, essa è una struttura di
potere (cioè di peccato), che divide gli animi e fa della fede religiosa,
usata in quei modi, una ragione di conflitto. Rosy Bindi cita un insegnamento
di Pierre Claverie, il domenicano ucciso nel 1996 in Algeria, a causa del suo
impegno alla comprensione tra i popoli, un insegnamento che contiene la chiave
per comprendere come una fede religiosa può integrarsi nella democrazia, cioè
in una "vita buona" per tutti: «Esiste solo un' umanità plurale e
quando pretendiamo di possedere la verità o di parlare in nome della verità,
cadiamo nel totalitarismo e nell' esclusione. Nessuno possiede la verità,
ognuno la cerca (...) spigolando nelle altre culture, negli altri tipi di
umanità, ciò che anche gli altri hanno compreso, hanno cercato nel loro
cammino, verso la verità: Sono credente, credo che c' è un Dio, ma non
pretendo di possedere quel Dio. Non si possiede Dio. Non si possiede la verità
e io ho bisogno della verità degli altri». Questo è l' atteggiamento di
umiltà e, al tempo stesso, di fiducia negli esseri umanie di disponibilità
al lavoro comune che costituiva l' anima del Concilio Vaticano II, di cui la
Gaudium etspesè l' espressione: la libertà dei credenti in re sociali,
accanto agli uomini di buona volontà, la loro responsabilità di fronte a Dio
e ai propri fratelli, il divieto di invocare l' autorità della Chiesa a
sostegno delle loro posizioni, divieto che, simmetricamente, non poteva non
implicare l' astensione della Chiesa stessa da interventi vincolanti la
coscienza dei cattolici. La presenza cattolica nelle società umane era
concepita come lievito che opera dall' interno, dipendendo dalla forza
persuasiva della testimonianza che può venire dalla vita cristiana, vissuta
con coerenza. C' è un' immagine, nell' enciclica Ecclesiam suam (1964) del
papa Paolo VI che esprime bene quest' idea:i centri concentrici in cui si
diffonde la testimonianza cristiana, fino a raggiungere l' intera umanità.
Nell' insegnamento del Concilio, quella che, legittimamente, per i credenti è
verità si trasforma, nei confronti della società nel suo complesso, in
esempio, carità. È l' unico modo per porsi in posizione amichevole. Invece,
ora assistiamo, nell' insegnamento del papa Benedetto XVI, all' insistenza
sempre più marcata sulla verità unita in binomio alla ragione: la verità
della Chiesaè unica verità di ragione, e la ragione è universale. Così, la
verità cattolica pretende che non solo i credenti ma anche i non credenti
pieghino il ginocchio. Quest' audace operazione teologica si trasforma in una
pretesa universalistica della Chiesa. I non credenti, per così dire,
impenitenti, diventano nemici non solo della verità, ma anche della ragione.
Un innegabile capovolgimento del Concilio. In questo contesto si spiega l'
invito che il papa Benedetto XVI rivolge ai non credenti affinché essi, per
quanto privi di fede, si adattino ad agire veluti si Deus daretur, come se Dio
(anche per loro) esistesse. Non sarebbe la fede a esigerlo, ma la ragione. A
questo detto papale Bindi, nelle pagine finali, esprime la sua adesione.
Questo è forse l' unico mio punto di dissenso, tra le tante cose che l'
intervista ci dice e che testimoniano dell' appassionata ricerca dell' Autrice
circa il modo d' essere, senza contraddizione, cristiana e cittadina, insieme.
Gli inviti al come se sono inaccettabili. L' agire come se Dio esistesse è
una provocazione nei confronti dei non credenti. Essi dovrebbero contraddire
la loro coscienza e seguire non la loro ragione, ma quella proclamata dalla
Chiesa come verità. Il rispetto reciproco non è compatibile con questo
genere di inviti.