La leggenda del premier eletto dal popolo
ILVO DIAMANTI
Repubblica 11 ottobre 2009
"PRESIDENTE eletto dal popolo". Così si definisce
Silvio Berlusconi. Sempre più spesso, da qualche tempo. Per rivendicare
rispetto dai molti nemici che lo assediano. Ma, al tempo stesso, per marcare
le distanze dall' altro presidente. Giorgio Napolitano. Il Presidente della
Repubblica. Il quale, al contrario, è "eletto dal Parlamento". Anzi
da una parte di esso. Perché Napolitano non è "super partes", ma
di sinistra. Come tutte le altre istituzioni dello Stato. Corte
Costituzionalee magistratura in testa. Non garanti. Ma soggetti politici. Di
parte. Per questo Berlusconi non ne accetta le decisioni, ma neppure il ruolo.
In pratica: considera le istituzioni dello Stato - e quindi la Costituzione -
inadeguate. Peggio: illegittime. Meno legittime di lui, comunque. Presidente
eletto dal popolo. Queste affermazioni, sostenute a caldo e a tiepido dal
premier, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, si
fondano su premesse discutibili, anzitutto sul piano dei fatti. Dati per
scontati. Che scontati non sono. Il primo fatto è che Berlusconi sia un
presidente "eletto dal popolo". È quanto meno dubbio. Perché l'
Italia non è (ancora) un sistema presidenziale.I cittadini, gli elettori,
votano per un partito o per una coalizione. Non direttamente il premier o il
presidente. Anche se, dopo il 1994, abbiamo assistitoa una progressiva
torsione delle regole elettorali e istituzionali in senso
"personale". Senza bisogno di riforme. Così, nella scheda
elettorale, accanto ai partiti e alle coalizioni viene indicato anche il
candidato premier. (Come ha lamentato, spesso, Giovanni Sartori). Tuttavia,
non si vota direttamente per il premier, ma per i partiti e gli schieramenti.
Silvio Berlusconi, per questo, non è un presidente eletto dal
"popolo". Semmai dal "Popolo della Libertà". Da una
maggioranza di elettori, comunque, molto relativa. Alle elezioni politiche del
2008 il partito di cui è leader Berlusconi, il Pdl, ha, infatti, ottenuto il
37,4% dei voti validi, ma il 35,9% dei votanti e il 28,9% degli aventi
diritto. Intorno a un terzo del "popolo", insomma. Peraltro, prima
di unirsi con An, fino al 2006, il partito di Berlusconi era Forza Italia, che
non ha mai superato il 30% dei voti (validi). Al risultato del Pdl si deve,
ovviamente, aggiungere il 10% (o l' 8%, a seconda della base elettorale
prescelta) ottenuto dalla Lega. I cui elettori, però, non hanno votato per
Berlusconi. Visto che al Nord la Lega ha sottratto voti al Pdl, di cui è
alleata e concorrente. E quando ha partecipato al governo (come in questa
fase) si è sempre preoccupata di fare "opposizione". Questa
considerazione risulta ancor più evidente se si fa riferimento al risultato
delle recenti europee. Dove siè votato con il proporzionale e con le
preferenze personali. Il Pdl, il partito di Berlusconi, ha infatti ottenuto il
35,3% dei voti validi, ma il 33% dei votanti e il 21,9% degli aventi diritto.
Lui, il Presidente, ha personalmente ottenuto 2.700.000 preferenze. Il 25% dei
voti del Pdl, ma meno del 9% dei votanti. Il risultato "personale"
più limitato, dal 1994 ad oggi. Tutto ciò, ovviamente, non intacca la
legittimità del governo e del premier. Semmai la sua pretesa di interpretare
la "volontà del popolo". D' altronde, si vota una volta ogni cinque
anni, mentre i sondaggi si fanno quasi ogni giorno. Per cui, più che sul
voto, il consenso tende a poggiare sulle opinioni. Sulla "fiducia".
Ma stimare la "fiducia" dei cittadini è un' operazione difficile e
opinabile. Che non coincide con il consenso elettorale. Non si capirebbe,
altrimenti, perché, se davvero - come sostiene Berlusconi - il 70% degli
italiani ha fiducia in lui, alle recenti elezioni europee il Pdl si sia
fermato al 35%, la coalizione di governo al 45% e le preferenze personali per
il premier al 9% (dei voti validi). La fiducia, inoltre, è difficile da
misurare. Per ragioni sostanziali, ma anche metodologiche. Soprattutto
attraverso i sondaggi. Dipende dalle domande poste agli intervistati. Dagli
indici che si usano. Alcuni fra i principali istituti demoscopici (come Ipsos
di Nando Pagnoncelli e Ispo di Renato Mannheimer) utilizzano una scala da 1 a
10, per analogia al voto scolastico. Per cui l' area della "fiducia"
comprende tutti coloro che danno a un leader (o a un' istituzione) la
sufficienza (e quindi almeno 6). Oggi, in base a questo indice, circa il 50%
degli italiani esprime fiducia nel premier Berlusconi (le stime di Ipsos e
Ispo, al proposito, convergono). Mentre a fine aprile, dopo il terremoto in
Abruzzo, superava il 60%. Ciò significa che negli ultimi mesi la
"fiducia" del popolo nel premier si è ridotta, anche se risulta
ancora molto ampia. Tuttavia, anche accettando questi indici, un 6 può
davvero essere considerato un segno di "fiducia"? Ai miei tempi,
nelle scuole dell' obbligo - ma anche al liceo - era una sufficienza stretta.
Come un 18 all' università. Che si accetta per non ripetere l' esame. Ma
resta un voto mediocre. Basterebbe alzare la soglia, anche di pochissimo, un
solo punto. Portarla a 7. Per vedere la fiducia nel premier (e in tutti gli
altri leader) scendere sensibilmente. Al 37%. Più o meno come i voti del Pdl.
Con questi dati e con queste misure appare ardita la pretesa del premier di
parlare in "nome del popolo". Tanto più che, con qualunque metro di
misura, il consenso personale verso il Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, risulta molto più elevato. Fino a una settimana fa, prima della
recente polemica, esprimeva fiducia nei suoi confronti circa l' 80% degli
italiani, utilizzando come voto il 6. Oltre il 50%, con una misura più
esigente: il 7. Lo stesso livello di consenso raccolto dal predecessore, Carlo
Azeglio Ciampi. Anche da ciò originano le tensioni crescenti tra il premier e
il Presidente della Repubblica. Nell' era della democrazia del pubblico.
Maggioritaria e personalizzata. Dove i media sono divenuti lo spazio pubblico
più importante. E il consenso è misurato dai sondaggi. Nessuno è
"super partes". Sono tutti "parte". Tutti concorrenti.
Avversari o alleati. Amici oppure nemici. Anche Napolitano, soprattutto
Napolitano. Per la carica che occupa e la fiducia che ottiene. Agli occhi di
Berlusconi, impegnato a costruire la leggenda del "presidente votato e
voluto dal popolo". Non può apparire amico. -