Ma Benedetto XVI tira dritto "La nostra linea non cambia"
di Marco Politi
“la Repubblica” del 19 marzo 2009
Papa Ratzinger ha messo il dito nel vespaio. Bocciando l'uso del preservativo, ha scatenato le ire
della Ue e dei governi francese, tedesco e spagnolo, la protesta delle organizzazioni non governative
impegnate nel contrasto dell'epidemia, quelle dell'Onu, l'imbarazzo di vescovi, preti e missionari
che non condividono la demonizzazione dei profilattici. Perché nell'Africa sub-sahariana i morti di
Aids sono già 25 milioni, perché oltre 20 milioni (di cui un milione nel Camerun) sono oggi i
malati, perché - come ricorda Mario Giro della comunità di Sant'Egidio, pur evitando l'argomento
preservativi - «solo in Africa esiste la realtà drammatica dei bambini già infettati Aids». In
Germania il vescovo ausiliare di Amburgo monsignor Jaschke dichiara seccamente: «Chiunque ha
l'Aids ed è sessualmente attivo, chiunque ha rapporti plurimi deve proteggere gli altri e se stesso.
Dunque la questione dei profilattici, pur non essendo una panacea, non è un tabù».
Ma Benedetto XVI non cambia linea. E lo fa annunciare con forza dal suo portavoce. Quando
ancora i governi europei non hanno bersagliato di critiche il Pontefice (un'altra novità dell'attuale
stagione ratzingeriana), padre Lombardi già ribadisce: «Non bisogna aspettarsi da questo viaggio un
mutamento delle posizioni della Chiesa nei confronti del problema dell'Aids». Incoraggiare
l'ideologia della «fiducia nel preservativo», dichiara, non è corretto. Mentre l'Osservatore Romano
lamenta che il viaggio sia stato stravolto dai media.
Poi, dinanzi alla valanga di proteste, Lombardi diffonde una nota ufficiale: «Puntare essenzialmente
sulla più ampia diffusione dei preservativi non è la via migliore più lungimirante e più efficace per
contrastare il flagello dell'Aids». Il Papa, si legge, ha ribadito la «posizione della Chiesa cattolica».
E' una strategia basata su tre punti. Educare all'uso responsabile della sessualità, valorizzando
matrimonio e famiglia. Ricercare ed applicare le cure più efficaci e metterle a disposizione del
maggior numero di pazienti. Garantire assistenza umana e spirituale ai malati di Aids e a tutti i
sofferenti «che sono da sempre nel cuore della Chiesa».
E intanto il sito web vaticano si impappina. Prima censura il Papa, riportando il colloquio con i
giornalisti in aereo, e gli toglie dal discorso la parola preservativo, sostituita dal più neutro
«profilattico». Poi smoscia la frase di Ratzinger: «La distribuzione dei preservativi aumenta il
problema», modificandola in «Il rischio è di aumentare il problema». Viene anche aggiunto un
riferimento agli «slogan pubblicitari» sull'utilizzazione di condom, che il Papa non si è mai sognato
di pronunciare. Infine gli strateghi vaticani della comunicazione Internet ci ripensano. Torna la
parola tabù «preservativo», ma un po' sì e un po' no. Il bollettino della Sala Stampa la riporta e il
resoconto del viaggio in Africa no.
Guardi in faccia preti e suore, che stanno sul posto, e ti diranno che non ha senso il veto a priori sui
profilattici. Un sacerdote veterano dell'Africa mi conferma: «Non lo dirò in pubblico, ma ho visto
tanti missionari e suore distribuire preservativi». Il problema, aggiunge, «è che in tanti villaggi gli
uomini si rifiutano di usarli e i bambini ci giocano facendone palloncini!».
A Yaounde l'irriverente giornale
Le Messager afferma: «E' un segreto di Pulcinella che nella Chiesacattolica africana e in Camerun la maggioranza dei preti e parecchi prelati vivano in concubinaggio
notorio e hanno figli. La prima causa di mortalità dei preti è l'Aids».
D'altronde in Camerun si avverte una forte sensibilizzazione sulla lotta all'epidemia. Anche
all'Hilton, albergo del seguito mediatico papale, c'è in ogni scrivania un opuscolo e un preservativo
omaggio.
Vero è, come spiegano gli operatori di Sant'Egidio già presenti in dieci paesi africani con i Centri
Dream, che il contrasto esige una mobilitazione reale delle strutture sanitarie e un grande impegno
umano. Non si tratta di distribuire semplicemente medicine, ma di seguire costantemente con analisi
i malati e di fornire reale assistenza personale. E qui sono preziosi gli «attivisti» (molte le donne):
malati in cura che seguono a domicilio o negli ospedali altri pazienti, spesso analfabeti.