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Quelle minoranze senza diritti

di Gad Lerner

“la Repubblica” dell'8 febbraio 2009

«È un lungo applauso, accompagnato da uno sventolio di fazzoletti verdi, quello che accoglie il

voto finale al provvedimento sulla sicurezza», riferisce la cronaca dal Senato del quotidiano La

Padania.

Gli spavaldi portavoce leghisti, con quel fazzoletto-distintivo bene in vista nel taschino, lanciano

attraverso i telegiornali la buona novella della padronanza recuperata sul "nostro" territorio. Basta

col lassismo. Mantenuta la promessa elettorale. E' finita la cuccagna. Ma quale cuccagna?

Troviamo la risposta sempre sul giornale padano, nel titolone sarcastico del giorno prima. "Bossi:

ormai i clandestini siamo noi. Al Pronto Soccorso noi diamo le generalità, loro sono esenti". Falso,

ma funziona. E' la narrazione di una maggioranza di cittadini perbene oppressa da una minoranza

straniera pretenziosa di vivere a spese nostre, esente da vincoli. La fotografia di un'Italia a rovescio,

dove l'immigrato la fa da padrone e assoggetta il nativo.

Con sapienza propagandistica la Lega esibisce come innocenti i suoi emendamenti. Ma come, di

ciascuno si può dire che è vigente nella legislazione di un altro Paese europeo. In effetti, cogliendo

fior da fiore, la nuova normativa introduce d'un colpo tutte le regole più severe che altrove, ma non

in Italia, vengono abbinate a percorsi certi e codificati di regolarizzazione. Per esempio viene resa

più onerosa la tassa sul permesso di soggiorno (oggi di 72 euro) senza ovviare alle lungaggini per

cui, quasi sempre, esso viene rilasciato quando ne è ormai prossima la scadenza.

Si complica la procedura con test e punteggi, si disincentivano i ricongiungimenti familiari,

s'introduce il reato di clandestinità, senza fornire in cambio un trattamento "europeo", cioè

dignitoso, agli aventi diritto.

Al contrario, non solo i medici ma tutti i cittadini che lo vogliano sono sollecitati a una

partecipazione volontaria – con le ronde – nel setaccio territoriale degli irregolari. Poco importa se

abbiano varcato la frontiera con un visto poi scaduto, o se siano vittime della nostra inadempienza

burocratica: tutti clandestini. E guai ai senza fissa dimora, agli abitanti delle baraccopoli, ai minori

emarginati, tutte categorie minacciose da contenere mediante pubblica schedatura.

La débacle della politica democratica, consumatasi nella resa alla paura di un'invasione criminale,

ha già da tempo ridotto le scelte sull'immigrazione a false categorie primitive: noi e loro; buoni(sti)

e cattivi. Giungono così tardive e inefficaci le proteste del Pd, le resipiscenze di settori moderati del

Pdl; oggi travolti insieme dalla vittoriosa cavalcata leghista perché a suo tempo rinunciarono alla

necessaria contrapposizione di valori civili e religiosi. Con la solita, vile motivazione confidata

sottovoce: il popolo non ci capirebbe, la sicurezza è un bisogno dei più deboli.

Il progressivo cedimento culturale alla xenofobia, lo slittamento semantico verso il linguaggio della

pura forza, produce ora una novità imprevista dagli stessi leader leghisti. Perché è vero che in tutti i

governi, di destra e di sinistra, al ministro dell'Interno tocca sempre il ruolo del duro, del "cattivo".

Ma solo nell'Italia del 2009 un ministro come Maroni si ritrova ad assumere la funzione politica di

capo dei cattivi. Cioè di un movimento d'opinione che, facendo leva su diffusi istinti popolari,

teorizza la disuguaglianza dei diritti come difesa della nazione. Ormai chi fa politica si ritrova

mutilato perfino nel vocabolario. Davanti a una telecamera sarebbe controproducente esprimere

disagio per la dimensione umana degli sbarchi a Lampedusa, l'eccidio quotidiano, la tragedia di una

nuova frontiera epocale. Quelli lì non ce li possiamo permettere, punto e basta. Paghiamo la Libia

purché li rinchiuda in lager lontani dalla nostra vista. I difensori della vita recano inutili pagnotte e

bottiglie d'acqua al capezzale di Eluana Englaro, non tra i naufraghi africani, essendo anche la bontà

ridotta a ideologia.

E' questo formidabile capovolgimento della realtà che consente di presentare il decreto sicurezza

come la fine di una inesistente cuccagna: la bieca favola di un'Italia permissiva, paese del bengodi

per gli stranieri. Dunque non si illudano, gli immigrati residenti sul nostro territorio. Come

insegnano perfino gli operai inglesi, nella crisi bisognerà riservare il sostegno pubblico ai nativi. E

pazienza se anche "loro" pagano le tasse: sono paria destinati a un'eterna condizione provvisoria,

subalterna.

Costretto dai suoi stessi, insperati successi a premere sull'acceleratore della separazione fra aventi e

non aventi diritti, ben presto il ministro dei cattivi sarà chiamato a spiegare come intenda regolarsi

con i circa 800 mila cittadini stranieri privi di documento regolare che risiedono sul nostro

territorio. Persone che vivono nelle nostre case, lavorano al nostro servizio, vengono ospitate nelle

strutture sociali, sono curate dal servizio sanitario, bambini che frequentano la scuola primaria.

Nell'ottobre scorso Maroni ha reso noto un incremento del 28,1% delle espulsioni (percentuale su

cui fare la tara, visto che il 2007 segnò l'ingresso di Romania e Bulgaria nell'Ue). Con ciò, la cifra è

salita a 6553 espatriati. Stiamo parlando di circa 2 espulsi ogni 100 irregolari. Vogliamo ipotizzare

che il ministro dei cattivi riesca a raddoppiare, triplicare tale cifra nei prossimi anni? Difficile, ma

ammettiamo che sia possibile. Cosa ne faremo del restante 90% e passa di irregolari che

continueranno a vivere in Italia? Tutti gli altri paesi mirano a regolarizzarli, per ovvi motivi di

civiltà, convenienza economica, ordine pubblico. E noi?

Temo che queste domande resteranno a lungo senza risposta. Ma nel frattempo è facile intuire quale

possa essere la percezione di quattro milioni di stranieri residenti in Italia, posti di fronte a un

decreto sicurezza architettato come percorso minato, a rendere sempre più complicata la loro

integrazione. Una destra sottomessa alla Lega sta facendo di tutto per farli sentire ospiti

indesiderati, cittadini di serie B destinati al lavoro ma esclusi da un futuro di pari opportunità.

Subiscono la beffa di chi li addita come tenutari di privilegi. Le istituzioni non sanzionano i mass

media che diffondono il pregiudizio e l'ostilità nei loro confronti, anche perché spesso sono di

proprietà del capo del governo. Il clima è propizio a sempre nuovi soprusi nei rapporti di lavoro,

nell'erogazione di servizi, nell'affitto di case.

Ci troviamo così a un bivio. O i cittadini stranieri riusciranno a dare vita a una tutela democratica

dei loro diritti - nella quasi totale latitanza di una politica timorosa di rappresentarli e coinvolgerli -

oppure chineranno il capo lasciando i loro figli preda di leadership radicali e integraliste. L'Italia

non ha niente da guadagnare dallo sventolio dei fazzoletti verdi sulla faccia di milioni di persone

con cui è destinata a convivere. Non ci troviamo nella condizione di chi ha ottemperato ai suoi

impegni e perciò attende che il contraente si adegui. Con il combustibile delle appartenenze incivili,

ronda contro branco, la Lega ha già incenerito la nozione di cittadinanza universale, ma ora si

appresta a bruciare l'idea che le minoranze abbiano dei diritti.