In
risposta all’articolo: “Canarone, a rischio i nomadi”.
Senza accoglienza non c’è integrazione.
Ci risiamo. Si continuano a diffondere, sulla vicenda dei Rom,
affermazioni quanto meno pretestuose con ipotesi
di conclusioni fatte passare come
certezze.
Ne viene fuori un polverone che rende tutto nebuloso e indistinto, sicché l’opinione pubblica ne ricava la sensazione di un colossale “buco nell’acqua”. Quasi che per un anno intero il Comitato Pace e Cooperazione, le Associazioni che aderiscono al Tavolo per i Rom, diversi esponenti dell’Amministrazione comunale si siano prodigati per un nulla di fatto.
Per la verità, ci sembra di capire – da alcuni interventi riportati nel Corriere - che si voglia gettare discredito su chi si è impegnato per un anno, e continua a impegnarsi, semplicemente perché queste famiglie abbiano una vita più dignitosa.
Cominciamo da alcune
affermazioni dell’ Assessore Zullo.
Non voglio chiudere gli
occhi come ha fatto la Giunta di Agostino Gay.
Chiudere gli occhi su che cosa? Sul fatto che sedici persone, fra cui
dieci minori, sfrattati da un terreno di loro proprietà, abbiano poi trovato
una sistemazione provvisoria in una cascina? Sarebbe stata meglio la strada? O
il girovagare per i campi nomadi? Già, ma allora non ci sarebbe stato neppure
bisogno di chiudere gli occhi: i Rom sarebbero diventati invisibili. Scomparsi
alla nostra vista, il problema sarebbe stato risolto, anzi, non si sarebbe
neppure posto.
Se ci fosse uno spiraglio
legale sarei disponibile ad andare incontro ai nomadi, ma non ne vedo.
Lodevolissimo intento! E su cosa lo spiraglio legale? Sul fatto che esistano? La stragrande maggioranza di loro è nata in Italia. Vive in Italia da decenni. Il loro Paese di provenienza – distrutto dalla guerra – non esiste più. In casi come questi forse gli spiragli legali si devono cercare con grande impegno. E magari si trovano. Perché, nella buona sostanza, si tratta di persone che – come ci risulta – non hanno commesso reati penali. Finora hanno sempre ottenuto una regolarizzazione giuridica, per quanto provvisoria. Affiancarli in un percorso di conoscenza reciproca e di integrazione, significa anche cercare le strade per una regolarizzazione definitiva. E’ quello che noi auspichiamo, non il rigettarli – in nome della legalità - nel nulla dell’esclusione e nel rischio dell’illegalità.
Poi, la cascina non abitabile! Ma perché non abitabile? Vediamo di capire:
a) non conformità del riscaldamento e degli infissi (rilevato dall’ASL)
b) un solo bagno, non sufficiente per 16 persone (sempre rilevato dall’ASL).
Inoltre, sempre l’Assessore
Zullo si premura di farci sapere che, come notificato da una lettera del
Consorzio Socio Assistenziale, oltre ai suddetti problemi si sarebbe rilevato
c)
umidità e pericolo di caduta degli intonaci.
A questo punto, faremmo due
considerazioni:
a)
se la cascina è davvero così inabitabile da mettere in serio
pericolo la vita di chi la abita, non si risolve il problema mettendo per strada
la gente. Non ci risulta che la strada o eventuali container nei campi nomadi
siano più abitabili e più dotati di servizi igienici.
b)
occorrerebbe usare lo
stesso metro per tutti gli abitanti del Comune e vedere quanti di loro vivono in
case dove i servizi igienici sono insufficienti, vi sono macchie di umido, entra
qualche spiffero e ci sono scrostature di intonaco.
Diversamente, a noi sembrerebbe “eccesso di zelo” nei confronti dei
Rom, salvo poi ad abbandonarli al loro destino.
Su questo problema, sempre
per correttezza di informazione, aggiungeremmo le seguenti cose:
a)
prima dell’ingresso dei Rom, in cascina sono stati fatti dei
lavori per rendere l’abitazione il più confacente possibile alle norme di
sicurezza e agli standard di abitabilità;
b)
tutti gli impianti sono a norma, e questo può essere certificato;
c)
altri lavori di manutenzione dello stabile saranno ancora
effettuati;
d)
è vero che c’è un solo bagno, ma è anche vero che abbiamo
notato un maggior rispetto delle norme igieniche, specialmente nei casi di vita
sociale. Le ragazzine che frequentano la scuola elementare sono più ordinate e
pulite. Certo, due bagni farebbero comodo, ma un solo bagno è sempre meglio che
nessun bagno!
Non ci sono sfuggite altre due osservazioni dell’Assessore:
Non sono stati
rispettati gli accordi: non c’è stata né
integrazione, né regolarizzazione.
Questo ci sembra davvero un voler giocare con le parole, e nemmeno tanto in buona fede. Che significa non c’è stata integrazione? L’integrazione è un percorso lungo e non avviene mai in un solo senso. Certo che c’è stata integrazione, laddove l’integrazione si è cercata, favorita e voluta! Citiamo solo due casi: l’ottima accoglienza nelle scuole e i gesti di amicizia di alcuni abitanti del vicinato. Segno di una disponibilità all’accoglienza. Senza accoglienza, possiamo solo vedere che non c’è integrazione. E anche questo è un caso di cecità voluta: non c’è bisogno di chiudere gli occhi.
Quanto alla regolarizzazione, anche questo è un processo lungo. Ma occorre farsene carico.
E’ mancata la
collaborazione del Comitato Pace e Cooperazione.
Con chi sarebbe mancata la collaborazione? Non certo con i Rom. Andate a
chiederglielo. Con chi allora? Non
con quegli esponenti dell’Amministrazione che ci hanno capiti e appoggiati! E
anche questo possono dirvelo loro stessi.
Infine, una precisazione alla domanda di Giampiero Toaldo (Lega Nord) che si chiede:
Perché il Comitato Pace ha
ricevuto soldi pubblici per la ristrutturazione dell’edificio?
Il Comitato Pace, come ogni anno, ha un budget da spendere per le sue attività. Ha semplicemente anticipato parte di questo budget all’Associazione Robe dell’Altro Mondo per i lavori di ristrutturazione, ma con l’impegno ben preciso che quei soldi sarebbero tornati indietro grazie al contributo versato mensilmente dai Rom per il comodato d’uso della cascina. Cosa che sta avvenendo.
Se poi il Comune ha voluto, da parte sua, dare un contributo per le attività di sostegno all’integrazione, questo è un altro discorso.
Un’ultima precisazione. Sia l’Assessore che il Comitato per la difesa del territorio di Canarone affermano: non c’è stato un vero progetto.
Il nostro progetto (di cui abbiamo sempre avute molto chiare le linee guida) nel concreto si è realizzato e continua a realizzarsi giorno dopo giorno piuttosto con l’azione che non con dieci fogli scritti.
Noi abbiamo inteso costruire iniziative di relazione umana, conoscenza reciproca e sostegno nelle difficoltà di ogni genere. In questo, ci siamo molto impegnati. Certo, non abbiamo le bacchette magiche e avremmo anche commesso degli errori. Se chi ci critica, è più bravo di noi, dia a queste famiglie una speranza, un futuro, una situazione di vita meno incerta. Altrimenti, ci dispiace, ma non lo riteniamo credibile né in buona fede.
Il Comitato Pace e
Cooperazione Internazionale
del Comune di Chieri.