La corsa a creare le ronde di partito
di Renzo Guolo
in “la Repubblica” del 23 febbraio 2009
E così, a forza di indifferenza verso le trasformazioni indotte nella "costituzione materiale" del
tempo, eccoci piombati in piena era di vigilantismo.
L'istituzionalizzazione delle cosiddette "ronde" - mai come questa volta il nome indica la sostanza
delle cose, al di là del tentativo della destra di matrice aennina e dello stesso Berlusconi di
riconvertirlo nel più burocratese e fintamente rassicurante "sicurezza partecipata" - segna una svolta
pericolosa.
Perché, nonostante i correttivi introdotti nel decreto, mina lo storico primato dello Stato in materia
di sicurezza, "privatizzandolo" a favore di gruppi che possono diventare una sorta di milizia
personale o di partito: come dimostra la corsa in queste ore, in un Nordest sempre più Far East, dei
partiti a mettere le mani sulle ronde. Altro che ex-poliziotti o ex-alpini, come ammette senza falsi
pudori un Carroccio che si fida solo dei "suoi". Si tratta di pure milizie di partito: "verdi", azzurre,
nere. A ciascuno la sua. Un mix di collateralismo di partito utile alla mobilità sociale e di
protagonismo locale a varie tinte. Con il rischio che nella nuova società della sorveglianza
itinerante, le "telecamere umane" mettano nel loro occhiuto campo visivo non solo i rischi per la
sicurezza, politicamente selezionati, ma anche i comportamenti non ritenuti ortodossi. E, perché
no?, anche persone a qualsiasi titolo, sessuale, religioso, politico, sgradite ai vigilantes in pettorina.
Una deriva gravida di rischi. Perché produce conseguenze destinate a mettere in discussione proprio
quella sicurezza che si vorrebbe tutelare, dal momento che non sempre sarà possibile controllare
l'operato dei "volontari", fortunatamente non armati, così come la reazione dei potenziali
sorvegliati. Perché tende a fare dell'ordine pubblico mobilitato il terreno prevalente della politica.
Mescolando, in una preoccupante confusione di ruoli, istituzioni, organi di governo, milizie private.
Con il concreto rischio che si snaturino gli stessi caratteri dello Stato democratico.
Al di là della prevedibile inefficacia delle ronde in quanto produttrici di sicurezza, il vero pericolo è
dato dal diffondersi come senso comune della falsa idea del "popolo che si fa Stato" senza
mediazioni istituzionali; di una subcultura politica che vive la Costituzione, la magistratura, lo
stesso operato delle forze dell'ordine, come orpelli ingessanti, se non come ostacoli da superare.
Una novità, quella del vigilantismo, che accanto alla progressiva trasformazione delle polizie
municipali in organo di ordine pubblico generale politicamente orientato e in concorrenza con i
corpi di polizia nazionale, rischia di alimentare non solo conflitti istituzionali ma anche
drammatiche torsioni dei diritti: come ricorda il caso di Parma.
Un percorso che, se sottovalutato perché confuso, come fanno gli eterni sottovalutatori di turno, con
il folclore, rischia di accentuare la corsa verso una sorta di "democrazia totalitaria" che ha come fine
l'adesione del cittadino a una supposta "volontà generale". Una concezione di "Stato della paura"
che mette paura. Non è un caso che il presidente della Repubblica, pur obbligato a dare via libera al
provvedimento, ne abbia immediatamente preso le distanze, precisando come i contenuti del decreto
siano di "esclusiva responsabilità del governo". Timori che aleggiano in ampi strati della società
italiana, consapevoli che, nelle intenzioni dei suoi promotori, il vigilantismo è destinato a mettere
sotto controllo le nuove "classi pericolose", immigrati in primo luogo. Timori, nonostante la presa
di distanza del Vaticano, diffusi anche in parte rilevante dello stesso mondo cattolico che si
riconosce in quanti, pure Oltretevere, hanno definito il rondismo come un'"abdicazione dello Stato
di diritto".
Una deriva che le forze più responsabili del Paese, quelle che storicamente lo hanno salvato nei suoi
momenti più difficili pur essendo spesso espressioni di "minoranze attive", devono non solo
respingere decisamente ma contrastare culturalmente. Mostrandone, senza i complessi dovuti
dall'aver colpevolmente sottovalutato in passato il tema sicurezza, i possibili rischi. Magari
cercando di far comprendere alla società italiana che il fondamentale diritto all'incolumità e alla
protezione fisica delle persone dovrebbe essere accompagnato a quello alla protezione sociale degli
individui. Spezzando, così, la spirale che caratterizza questa incerta fase della globalizzazione e
riduce a vicende secondarie una crisi economica che si annuncia durissima, lo sgretolamento del
welfare, il drammatico collasso del capitale sociale, a partire dalla formazione e dall'istruzione, il
degrado di quel bene indisponibile che è l'ambiente. Su questi versanti la destra populista non ha
nulla da dire: il cittadino viene mobilitato solo per sorreggerne il progetto carismatico e securitario.
Per il resto, che si arrangi: un salto all'indietro di due secoli