la
Repubblica del 13 maggio 2009
Chi racconta che l'arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali,
chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due
episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella
storia della nostra Repubblica. Le due più importanti rivolte spontanee contro
le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani. In dieci anni
è successo soltanto due volte che vi fossero, sull'onda dello sdegno e della
fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da
associazioni, sindacati, senza pullman e partiti.
Manifestazioni spontanee. E sono stati africani a farle. Chi ha urlato:
"Ora basta" ai capizona, ai clan, alle famiglie sono stati africani. A
Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in
cui vengono uccisi sei immigrati africani: Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku e
Alaj Ababa, del Togo, Cristopher Adams e Alex Geemes della Liberia e Eric Yeboah
del Ghana. Joseph Ayimbora, ghanese, viene ricoverato in condizioni gravi. Le
vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di
trent'anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro.
La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini che
vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere
attenzione e giustizia. Nei sei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un
numero impressionante di innocenti italiani. Il 16 maggio Domenico Noviello, un
uomo che dieci anni fa aveva denunciato un'estorsione ma appena persa la scorta
l'hanno massacrato. Ma nulla. Nessuna protesta. Nessuna rimostranza. Nessun
italiano scende in strada. I pochi indignati, e tutti confinati sul piano
locale, si sentono sempre più soli e senza forze.
Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e
centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli
italiani la loro indignazione. Succedono incidenti. Ma la cosa straordinaria è
che il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai
danni provocati. L'obiettivo era attirare attenzione e dire: "Non osate mai
più". Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un
intera popolazione schierata, no. E poi a Rosarno. In provincia di Reggio
Calabria, uno dei tanti paesini del sud Italia a economia prevalentemente
agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in
questo caso le 'ndrine, fatturano cifre paragonabili al PIL del paese.
L'egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori
ivoriani vengono feriti, uno dei due in gravissime condizioni. La sera stessa,
centinaia di stranieri - anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e
sfruttati nei campi - si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno
promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di
dicembre, ovvero a due soli giorni dall'aggressione, il colpevole viene
arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi
della comunità degli africani. La popolazione in piazza a Rosarno, contro la
presenza della 'ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai
accaduto negli anni precedenti.
Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva
sempre avuto il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in
piazza disse: "Non ci piegheremo", riferendosi al caso in cui avesse
vinto le elezioni comunali. E quando accadde fu ucciso. Dopo di allora il
silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani
lo fanno.
E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli
italiani. Difendono il diritto di lavorare e di vivere dignitosamente e
difendono il diritto della terra. L'agricoltura era una risorsa fondamentale che
i meccanismi mafiosi hanno lentamente disgregato facendola diventare ambito di
speculazioni criminali. Gli africani che si sono rivoltati erano tutti venuti in
Italia su barconi. E si sono ribellati tutti, clandestini e regolari. Perche da
tutti le organizzazioni succhiano risorse, sangue, danaro.
Sulla rivolta di Rosarno, in questi giorni, è uscito un libretto assai
necessario da leggere con un titolo in cui credo molto. "Gli africani
salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l'Italia" di Antonello Mangano,
edito da Terrelibere. La popolazione africana ha immesso nel tessuto quotidiano
del sud Italia degli anticorpi fondamentali per fronteggiare la mafia, anticorpi
che agli italiani sembrano mancare. Anticorpi che nascono dall'elementare
desiderio di vivere.
L'omertà non gli appartiene e neanche la percezione che tutto è sempre stato
così e sempre lo sarà. La necessità di aprirsi nuovi spazi di vita non li
costringe solo alla sopravvivenza ma anche alla difesa del diritto. E questo è
l'inizio per ogni vera battaglia contro le cosche. Per il pubblico
internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di
criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l'Italia, che ha
esportato mafia in ogni angolo della terra, le cui organizzazioni criminali
hanno insegnato al mondo come strutturare organizzazioni militari e politiche
mafiose. Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i
loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose
italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all'estero.
Oggi, come le indagini dell'FBI e della DEA dimostrano, chiunque voglia fare
attività economico-criminali a New York che siano kosovari o giamaicani,
georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che
hanno perso prestigio ma non rispetto. Altro esempio eclatante è Vito Roberto
Palazzolo che ha colonizzato persino il Sudafrica rendendolo per anni un posto
sicuro per latitanti, come le famiglie italiane sono riuscite a trasformare
paesi dell'est in loro colonie d'investimento e come dimostra l'ultimo dossier
di Legambiente le mafie italiane usano le sponde africane per intombare rifiuti
tossici (in una sola operazione in Costa D'Avorio, dall'Europa, furono scaricati
851 tonnellate di rifiuti tossici).
E questo paese dice che gli immigrati portano criminalità? Le mafie straniere
in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non
esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani.
Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia.
Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall'Ucraina dalla
Bielorussia. Gestiscono flussi di danaro che spesso reinvestono negli sportelli
Money Transfer. Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e
fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia
nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per
aereo. Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena
atterrano trasportano in pancia ovuli di coca. Anche loro non arrivano sui
barconi. Mai.
Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie. Loro vivono di questa
generalizzazione. Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati
diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro
rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro. La
mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i
nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari
dell'eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte
minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana.
Nessuna di queste organizzazioni vive senza il consenso e l'alleanza delle mafie
italiane.
Nessuna di queste organizzazioni vivrebbe una sola ora senza l'alleanza con i
gruppi italiani. Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le
organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle
mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli
annunci sui giornali e l'assistenza legale. E non si tratta di interpretare il
ruolo delle "anime belle", come direbbe qualcuno, ma di analizzare
come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti. Meno
queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il
paese in cui è bello riconoscersi - insegna Altiero Spinelli padre del pensiero
europeo - è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella
parte d'Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è
quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò
che qui non siamo riusciti a mutare. L'Italia in cui è bello riconoscersi e che
porta in se la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà
che questo riaccada sulla propria terra.
Published by arrangement with Roberto
Santachiara Literary Agency