Scrivetevi il testamento biologico
di Umberto Veronesi
in “La Stampa” del 7 maggio 2009
Lo slittamento della discussione della legge sul Testamento biologico è stato un bene per il Paese e
ringrazio questo giornale per averlo sottolineato ieri, in un momento in cui il dibattito sul tema più
che rimandato appare abbandonato.
Non pensino i tanti italiani che credono nella lotta a favore dei diritti fondamentali della persona e
del malato - fra cui in tutto il mondo evoluto rientra quello di rifiutare le cure - che chi, come me, ha
tentato di portare questo obiettivo in Parlamento, vi abbia rinunciato a causa delle fiaccolate e delle
polemiche. Né temano quelli che si sono apertamente dichiarati a favore di una legge che permetta
di rifiutare la vita artificiale - la maggioranza secondo tutti i sondaggi - che le loro aspettative siano
state disattese e dimenticate.
In realtà più ci si allontana dall’ondata emotiva scatenata dal caso di Eluana Englaro, maggiori sono
le chances che abbiamo di pervenire a una legge equilibrata e lontana dalla logica dei
provvedimenti «ad personam».
Uscire dall’ossessione delle foto di Eluana nello splendore della giovinezza, dalle accuse di
assassinio lanciate a un padre che ha perso la sua unica figlia, dal furore, insomma, delle immagini e
delle parole, è una condizione imprescindibile per una discussione lucida e pacata su un argomento,
come la vita artificiale, che ha già in sé valenze emotive molto forti. Deve invece essere chiaro che
il dibattito sul testamento biologico non verte sulla visione e i misteri della vita e della morte, ma
sulla libertà di autodeterminazione della persona. E lì deve ritornare.
Un pubblico complimento va dunque fatto al Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco
Fini: ha percepito che troppa commozione e troppa ideologia è stata riversata in un testo di legge e
ha chiesto di rimandarne l’approvazione. Del resto, la fretta è sempre una cattiva consigliera e
nessuna decisione politica andrebbe mai presa sotto la pressione dell’urgenza o degli allarmi. Tanto
più che nel caso del Biotestamento non c’è nessuna fretta. Se il Paese in questo momento non è
pronto culturalmente ad affrontare il tema senza cadere nelle trappole ideologiche e scadere nelle
contese partitiche, meglio aspettare per evitare un danno ai cittadini.
C’è chi ha iniziato a pensare «che cosa fare», in caso di un prolungamento artificiale della vita da
parte della medicina tecnologica, molto prima che accadesse l’incidente a Eluana Englaro. Abbiamo
atteso fino a oggi, abbiamo fatto ricerche a livello internazionale, abbiamo studiato molti casi di
persone in stato vegetativo permanente, abbiamo analizzato quasi tutti i diversi disegni di legge e
dunque non c’è motivo per buttare tutto all’aria, stringendo i tempi su un processo che ha richiesto
molti anni e molto impegno di tante intelligenze. Sono stato in Italia uno dei promotori del
movimento civile a favore del Testamento biologico; ho partecipato, insieme con alcuni dei
maggiori esperti in merito, alla stesura di quattro libri; ho lanciato, attraverso la mia Fondazione,
una campagna informativa e presentato in Senato un disegno di legge.
In virtù di queste esperienze ripeto che piuttosto che una cattiva legge è meglio non averne. Non
esistono vincitori o vinti quando ci sono di mezzo i diritti di cittadini e malati. Questo non vuol dire
sottrarsi al confronto in un dibattito che si è fortemente voluto, anzi direttamente provocato, ma
ritornare all’essenza del problema: il diritto di decidere per sé, il diritto di rifiutare o accettare una
vita artificiale, il diritto a vedere rispettate le proprie volontà, anche nel caso in cui non ci si potesse
esprimere di persona. Il mio invito è quindi, per chi lo ritiene giusto, a scrivere il proprio testamento
biologico anche in assenza di una legge specifica, nella certezza che le proprie volontà saranno
tutelate dalla Costituzione che ha stabilito tali diritti per tutti gli italiani