SENZA SCAMPO LA TEOLOGIA DEL PLURALISMO RELIGIOSO. MA PER TORRES QUEIRUGA LA SENTENZA È SOSPESA


da ADISTA n° 71 del 27.6.2009

DOC-2156. SANTIAGO DE COMPOSTELA-ADISTA. Nessuno dei teologi impegnati in vario modo su questioni relative all’unicità salvifica di Cristo, alla funzione della Chiesa nel piano di salvezza, al valore salvifico delle altre religioni può più sentirsi tranquillo. Dopo p. Tissa Balasuriya dello Sri Lanka (v. Adista n. 87/96), il belga p. Jacques Dupuis (v. Adista n. 19/01), il gesuita statunitense p. Roger Haight (v. Adista 20/05 e 4/09), lo statunitense di origine vietnamita p. Peter Phan (v. Adista n. 89/07), il claretiano di origine spagnola José María Vigil (v. Adista n. 6/08), finisce sotto sospetto anche il noto teologo galiziano Andrés Torres Queiruga, professore ordinario di Filosofia della religione presso l'Università di Santiago de Compostela e membro del comitato internazionale di redazione della rivista teologica Concilium. Contro di lui, infatti, secondo la notizia diffusa da Religión Digital il 10 giugno scorso, sembrava fosse imminente una nota di condanna da parte della Commissione episcopale spagnola per la Dottrina della Fede, presieduta dall’arcivescovo di Granada mons. Javier Martínez. Pare che, addirittura, il segretario della Commissione, José Rico Pavés, già reso celebre dal caso del "Gesù storico" di José Antonio Pagola (v. Adista n. 7/08) - non per nulla negli ambienti progressisti viene chiamato il "Torquemadito" - avesse già preparato il documento di condanna. Almeno per il momento, tuttavia, nessun provvedimento raggiungerà il teologo galiziano.

Secondo quanto informa Religión Digital del 16 giugno, all’incontro svoltosi il 15 a Madrid, immediatamente prima della riunione della Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola, i vescovi hanno deciso di non assumere per ora alcuna misura nei confronti del teologo. Sarebbero stati, sempre secondo Religión Digital, il vescovo di Orense mons. Luis Quinterno e quello di Lugo mons. Alfonso Carrasco Rouco, entrambi membri della Commissione episcopale per la Dottrina della Fede, a mettere in guardia gli altri membri dal clamore (peraltro già abbondantemente innescato dalla notizia ufficiosa del provvedimento) che avrebbe suscitato una condanna emessa senza neppure un avviso all’interessato e senza intervento da parte di Roma.

Non a caso la notizia era caduta come un fulmine a ciel sereno sul capo di Torres Queiruga: "Non so nulla – aveva dichiarato a Religión Digital – e sono molto meravigliato, perché nessuno ha parlato con me. Non c’è stato alcun tipo di dialogo su questioni che meritino di essere chiarite o discusse". Sottolineando la propria convinzione di non aver "mai posto in discussione l’interpretazione tradizionale di alcuna verità di fede", mantenendo oltretutto molto chiara la distinzione tra "l’esperienza della fede e la sua interpretazione teologica che, in quanto tale, è discutibile", il teologo aveva affermato che "emettere un giudizio di condanna nei riguardi di un teologo senza ascoltarlo previamente" sarebbe stato "totalmente contrario al Vangelo", oltre che estraneo al più elementare senso democratico: "Sinceramente – aveva aggiunto – mi costa molto credere che si possa dar seguito ad un procedimento di questo genere".

E da Chicago, dove si è recato l’11 giugno per partecipare alla riunione annuale della rivista Concilium, Torres Queiruga aveva poi inviato una mail agli amici, ringraziando i tanti attestati di solidarietà ricevuti: "La mia unica preoccupazione in questi momenti – ha scritto il teologo – è che non ne soffra la credibilità della fede e si mantenga viva la nostra speranza. Io sono tranquillo e con la voglia di portare avanti la mia teologia nella comunione della fede e nella fiducia nel Dio che ci crea per amore".

Alla fine, commenta José Manuel Vidal su Religión Digital del 17 giugno, ha avuto la meglio il buon senso "di alcuni vescovi che hanno deciso di gettare acqua sul fuoco e calmare l’ardore inquisitoriale dei talebani di sacrestia", più preoccupati della propria carriera che del bene della comunità ecclesiale e decisi a sbarazzarsi di tutti i teologi che non siano "meri ripetitori di formule che non dicono quasi più nulla a nessuno". Torres Queiruga, aggiunge Vidal, "è una personalità. Tra le poche voci della Chiesa che dialogano e possono dialogare con la cultura attuale. E vogliono metterla a tacere! Dovrebbero fargli un altare e promuoverlo. E sostenerlo ed esibirlo. È tra i pochi che sono all’altezza. Tra i pochi che possono dialogare a tu per tu con gli intellettuali di oggi. Non è questo che vuole Benedetto XVI?".

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, la presentazione che, all’indomani della notizia diffusa da Religión Digital sulla sua imminente condanna, ha fatto di Torres Quieruga e della sua opera il teologo spagnolo Xabier Pikaza e, tra i tanti comunicati di solidarietà, quello emesso dal Forum dei Preti di Madrid e la lettera inviata al direttore di Religión Digital da don Ferdinando Sudati, teologo della diocesi di Lodi e traduttore delle opere del prete e teologo galiziano (claudia fanti)

 UN TESTIMONE DELLA BONTÀ CREATRICE DI DIO


 di Xabier Pikaza

Ci conosciamo da tempo io e Andrés Torres Queiruga, da quando eravamo entrambi agli inizi del nostro percorso teologico in Galizia, pieni di ingenuità, di grandi illusioni. Ci univa Amor Ruibal (Ángel María José Amor Ruibal - 1869-1930 - rinomato pensatore galiziano, linguista, teologo, storico, ecc. ndt) e una grande passione per la verità e il vangelo. Gli anni non ci hanno cambiato. È cambiato il nostro pensiero, ma in uno sviluppo coerente, senza rotture.

Non pensiamo le stesse cose, ma condividiamo uno stesso cammino, una fiducia nella ragione e nel vangelo, nell’uomo e in Dio, all’interno di una Chiesa nella quale stiamo con gioia, con amore, ma anche con domande e desideri di cambiamento. Così oggi, avendo saputo che vogliono condannarlo, ho messo insieme alcune annotazioni sul suo pensiero. Un abbraccio, Andrés, e coraggio: non potranno toglierti gli amici, non potranno rubarti il vangelo che tu sai esporre in modo così profondo.

 

Buona notizia di vita

Andrés Torres Queiruga (1936-) è prete, teologo e filosofo cattolico, originario della Galizia (Spagna). È stato professore del Seminario di Santiago de Compostela, ma ("e-spulso" di fatto da questo seminario) attualmente insegna alla Facoltà di filosofia della stessa città e pone al centro della sua ricerca è il dialogo fra cristianesimo e pensiero moderno. È uno dei preti della Chiesa galiziana e spagnola più rispettati, un profondo conoscitore della filosofia moderna e delle sue relazioni con la teologia, un animatore di gruppi e di comunità cristiane, e non solo in Spagna.

È un uomo di vangelo e un pensatore nato, un fermo punto di riferimento nel panorama teologico spagnolo, un testimone del vangelo, un pungolo per la ragione. I suoi lavori più importanti sono focalizzati sull’analisi della rivelazione, intesa da un punto di vista teologico (come manifestazione di Dio nella storia) e filosofico (come apertura dell’uomo alla sua dimensione assoluta). In questa ottica, sta sviluppando uno dei progetti filosofici-teologici oggi più importanti in ambiente di lingua spagnola (in castigliano e in galiziano/portoghese).

Le sue opere sono già un punto di riferimento obbligato per lo studio della "razionalità ampliata" in direzione "maieutica" (socratica), cioè del dispiegamento della stessa identità umana (e del senso della storia) in chiave di apertura e rivelazione, vincolando così le migliori intuizioni di Hegel, in una linea più vicina a Karl Rahner, ma con una maggiore sottolineatura del senso della storia e dell’apertu-ra all’orizzonte religioso dell’umanità.

Alcuni settori più tradizionali lo hanno accusato di mancanza di rigore concettuale e di sistematizzazione dogmatica. Ma questa accusa discende proprio dalla mancanza di comprensione del nuovo paradigma filosofico/teolo-gico di Torres Queiruga, che è passato da una ontologia delle essenze ad una metafisica delle correlazioni (Amor Ruibal), da una atemporalità platonica alla visione del pensiero e della vita come storia, e da una concezione assolutista della verità ad una esperienza di comunicazione, nella quale il Dio cristiano non va compreso in opposizione ad altre visioni di Dio, ma nel contesto di un dispiegamento molteplice del divino.

Negli ultimi anni, Queiruga ha studiato in particolare il significato di Dio come Padre, mettendo in rilievo la necessità di un incontro tra il cristianesimo e le religioni, in una prospettiva di illuminismo religioso e di apertura al complesso della storia umana. La sua visione sembra aprire nuove strade, obbligandoci e ripensare il "dogma" trinitario a partire da prospettive filosofiche e religiose diverse, che fino a quel momento non erano state esplorate.

Torres Queiruga non ha finito di elaborare il suo progetto teologico (ha davanti a sé ancora molta strada), cosicché la sua opera continua ad essere aperta, ed è in questo modo che la vogliamo presentare, soffermandoci specialmente sulla visione del fatto religioso. Ma vogliamo sottolineare la sua comprensione "positiva" di Dio e del-l’uomo. Secondo lui, la realtà di Dio è da intendersi come un "bene" sommo, come buona notizia di vita, all’interno di un mondo che, malgrado le sue tragedie, è luogo di affermazione vitale. In questa linea ha elaborato una teodicea della razionalità e dell’amore, in un linguaggio che vuole essere comprensibile, aperto a tutti, in dialogo con il pensiero della modernità.

 

1. Inreligionare

Torres Queiruga è un uomo di frontiera, situato fra la filosofia della religione e l’analisi del cristianesimo, in un quadro che, mantenendo una grande simpatia per la Teologia della Liberazione, si focalizza su problemi che appaiono maggiormente vincolati alla tradizione illuminista dell’Europa. La sua visione di Dio lo ha portato ad elaborare un pensiero maieutico (socratico) dove la rivelazione soprannaturale si vincola alla realizzazione umana, nella linea della grande eredità illuministica europea. Le religioni, per essere fedeli a se stesse, devono essere disposte a dialogare con altre religioni, lasciandosi fecondare da esse. Questo significa che le religioni sono vere in sé nella misura in cui possono esprimere la loro verità in altri spazi religiosi.

"La verità religiosa è sempre il riflesso della pienezza di Dio nello spirito dell’uomo, pienezza alla quale, da parte nostra, può rispondere solo la ricerca congiunta, fraterna e condivisa di tutti, raccogliendo i frammenti di una verità che, rifratta nella finitudine, è destinata a tutti... Una conseguenza immediata è quella di una nuova modalità nell’in-contro reale delle religioni... Per questo ho cercato di parlare di inreligionazione: allo stesso modo in cui nell’‘incul-turazione’ una cultura acquisisce ricchezze da altre senza rinunciare ad essere se stessa, qualcosa di simile avviene sul piano religioso... Nel caso del cristianesimo, considerando la sua confessione del carattere assoluto e definitivo della rivelazione avvenuta in Cristo, il problema assume una difficoltà molto peculiare e intensa. E, proprio perché la situazione è nuova, ci mancano le parole e le categorie adeguate per caratterizzarla. L’esclusivismo risulta evidentemente insostenibile. Ma... non soddisfa neppure un universalismo indifferenziato. Come alternativa intermedia è stato proposto l’inclusivismo, che ha senza dubbio grandi vantaggi, fra i quali quello di riconoscere qualcosa di così fondamentale come l’affermazione che tutte le religioni hanno verità e sono cammini reali di salvezza; ma che, come suggerisce la parola, concependo le altre religioni in riferimento centripeto alla propria, considerata come quella piena e definitiva, tende a vederle "incluse" in questa, con la conseguenza quasi inevitabile di volerle assimilare. Per le altre religioni, il riferimento immediato a Dio in base alla tradizione e all’esperienza proprie viene minacciato dalla sua sostituzione con la relazione indiretta attraverso il cristianesimo" (El diálogo de las religiones, Santander 1992, 35-36).

Non si tratta dunque di affermare che tutte le religioni sono uguali, né di rifiutare le altre (esclusivismo), né di in-cluderle nella propria (inclusivismo), ma di dialogare in modo tale che ogni religione assuma e sviluppi i valori delle altre senza rinunciare alla propria identità. Ciò significa che le religioni sono distinte, ma possono dialogare e arricchirsi mutuamente.

 

2. Un universalismo asimmetrico

Torres Queiruga non dice che tutte le religioni sono uguali. Al contrario, sa che sono diverse. E dunque, dialogando, non possono identificarsi fra di loro, come se non ci fossero differenze. Certamente, l’essenza di tutte le religioni (la rivelazione originaria di Dio) è uguale. Ma ognuna accoglie in modo diverso il potenziale della rivelazione del divino.

"Per questo non mi sembra male proporre la categoria dell’universalismo asimmetrico.

(a) ‘Universalismo’, perché ha come base principale e irrinunciabile una doppia convinzione: che tutte le religioni sono in sé cammini reali di salvezza; e lo sono perché sono espressione da parte di Dio della sua presenza universale e senza limiti, senza favoritismi né discriminazioni, poiché dalla creazione del mondo ‘vuole che tutte le persone si salvino’ (1Tim 2,4).

(b) Ma ‘asimmetrico’, perché è impossibile ignorare l’e-sistenza di differenze reali fra le religioni: non - ripetiamo - perché Dio discrimini, ma perché da parte dell’essere umano la disuguaglianza risulta inevitabile. Si tratta della disuguaglianza imposta dalla finitezza creaturale. L’offerta divina è ugualitaria, ma l’accoglienza umana di questa offerta si realizza per forza in modo e gradi distinti, secondo il momento storico, il contesto culturale o la libera decisione. E questo avviene nell’evoluzione religiosa della vita individuale: non cerchiamo tutti di maturare, purificare e approfondire la nostra relazione con Dio? Questo succede nella storia di ogni religione: non si deve parlare, perciò, come dicevano i Padri della Chiesa, di una religio semper reformanda?

Pur riconoscendo carenze, deformazioni e difetti in tutte, non sarebbe realistico ignorare che esistono religioni che, anche giudicate nella loro struttura complessiva e considerando le circostanze, ci appaiono obiettivamente meno riuscite; per cui non è ingiusto pensare che esistono già nella storia forme, elementi o aspetti che, se accolti ("inreligionati"), le renderebbero più ricche... Tutte le religioni, compresa la nostra, devono mostrarsi perciò, nella loro essenza più intima, come decentrate in maniera estatica verso il Centro comune che le suscita e promuove. Tutte ci appaiono come un immenso fascio di cammini che, da distanze diverse, convergono verso il Mistero che le attrae e le supera; come frammenti distinti nei quali si rifrange la sua ricchezza inesauribile.

Ogni religione riflette questo cammino a suo modo e da una situazione particolare, Ma, essendo frammenti di uno stesso Mistero, non possono ignorarsi fra di loro, bensì sommare i loro riflessi, cosicché, dando e ricevendo, ognuno di essi crescerà e si sentirà più unito agli altri. Accogliere la verità offerta, così come offrire la propria, è perciò parte indeclinabile della ricerca religiosa. Sarebbe mostruoso pensare che la ricchezza dell’altro impoverisce me, così come sarebbe intollerabile pretendere di accaparrare per sé, come privilegio proprio, quello che appartiene a tutti" (ibid).

 

3. "Dialogo delle religioni e autocomprensione cristiana"

Questo è il titolo di una delle ultime opere (Santander, 2005; libro tradotto in italiano dalla Edb, 2007, ndt) nelle quali Queiruga pone l’accento sull’unità delle religioni nella loro diversità; per questo, non è sufficiente uno sforzo di inculturazione (l’introduzione del vangelo nelle diverse tradizioni culturali), ma è necessario, come ho detto, un impegno di "inreligionazione": l’introduzione del cristianesimo nelle diverse religioni, non per conquistarle, ma per ascoltare quello che esse dicono e per stabilire un dialogo senza imposizioni, aperto al messaggio di Gesù, il quale (per i cristiani) sarà la pienezza della realizzazione dell’uo-mo, intesa come rivelazione di Dio. Così Queiruga, in ultima analisi, ci pone di fronte ad un "cammino teologico" che si può conoscere solo percorrendolo, come uno sforzo per comprendere il Dio che si rivela ed è Uno, pur essendo Molteplice nelle sue rivelazioni. In questa linea, si può affermare che la "rivelazione" di Dio si identifica in fondo con lo stesso dispiegamento umano, inteso da Queiruga in modo fondamentalmente positivo.

A partire da qui, senza rinunciare alla tradizione trinitaria della Chiesa, Queiruga ha sottolineato quello che potremmo chiamare un "binitarismo messianico" (Dio e Gesù), ma riferito sempre allo Spirito che agisce anche nelle altre religioni, in un cammino storico in cui si integra l’in-sieme dell’umanità. In questo modo, implicitamente, si apre una porta per uno studio diverso delle questioni che la teologia cristiana ha posto in termini trinitari. In base alla visione di Queiruga, il grande problema non è la soluzione del tema dell’unità e trinità di Dio, ma il tema della sua rivelazione positiva e salvatrice all’interno di una umanità che appare minacciata dalla sofferenza e dalla morte.

Su un piano generale, Queiruga è un testimone della bontà creatrice di Dio che si manifesta come fonte di a-more nelle religioni e, più profondamente, nel cristianesimo. In questa linea, egli ha voluto superare la visione di un Dio violento e vendicativo, che sarebbe contrario alla felicità dell’uomo. Certamente il male esiste, perché è una conseguenza della finitezza (e, in un certo senso, della stessa malvagità degli uomini nella storia). Ma il bene della vita e dell’uomo è maggiore di tutti i mali. In questa linea, Queiruga ha costruito una teologia ottimista e impegnata, al servizio della vita umana che, a suo giudizio, è segno ad espressione di Dio che si va manifestando nella vita degli uomini.

Una testimonianza di questa rivelazione e della speranza di futuro della storia viene dallo sforzo di continuare ad aprire la strada alle diverse religioni che devono dialogare fra di loro, per fecondarsi mutuamente. In questa prospettiva di apertura universale e di speranza di salvezza, Queiruga ha voluto essere un testimone della rivelazione cristiana. Alcuni "famosi" teologi spagnoli hanno condannato già Queiruga o hanno avanzato forti dubbi sulla sua teologia. Prima di affrontare i presupposti e i sentieri del suo pensiero, sarebbe opportuno collocarsi al centro di una ragione moderna, che è assolutamente in grado di dialogare con il vangelo.