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L'indecenza di "Libero": sparare sui migranti

di Raniero La Valle

“Liberazione” del 23 aprile 2009

Una volta, per indicare un comportamento efferato fino all'assurdo, si diceva: sparare alla Croce

Rossa. Il messaggio di Libero va oltre e dice: niente Croce Rossa, sparare. Un uomo in mare? Se è

da solo, ammette Libero, lo si salva, perché "voglio vedere chi è contrario". Nessun turista in

crociera sul Mediterraneo, se uno cadesse giù, vorrebbe che lo lasciassero lì. Se invece sono molti, a

volerli salvare «è come se i clandestini ce li andassimo a prendere a mezza strada con le navi

militari». E allora, se non è la Marina a sparare (e anzi Frattini se ne dice orgoglioso); se non sono

gli europei a sparare (dato che noi li solleviamo da questo "disturbo"); se non è Malta a prenderseli,

stipata com'è «come un tram all'ora di punta»; se non sono i Paesi di provenienza o di transito a

bloccarli; e se è escluso che noi possiamo prenderci tutti questi "disperati" senza «scegliere chi far

entrare e a chi chiudere le porte in faccia», a sparare dovrebbero essere i cittadini, che sono poi

quelli a nome dei quali parla un giornale, soprattutto se lo fa sotto un titolo a nove colonne che

grida: "Basta immigrati". Certo, Libero non dice "spariamo", dice "vogliono farci sparare". Ma il

messaggio è lo stesso. Se non fossimo disposti a sparare, nessuno ci potrebbe spingere a farlo; e

così il giornale di Vittorio Feltri fa da apripista, prepara l'opinione, parla alle menti e ai cuori

perché, intanto, si distolgano dalla "melassa umanitaria" e si preparino al peggio.

Solo parole? Ma tutto comincia con le parole. È piuttosto atroce che ci siano queste tre parole a

campeggiare, vicine, in testa a un giornale: Libero, basta immigrati, sparare. Perché ogni parola

interagisce e dà il senso alle altre: si è liberi se non ci sono gli altri a disturbare, e se gli altri

disturbano, si tolgono di mezzo. La libertà è che gli altri non ci siano; del resto è una vecchia

tradizione dei coloni americani: quando nella marcia verso l'ovest vedevano levarsi il fumo del

camino del vicino, decidevano che era il momento di togliere le tende ed andare più lontano.

A leggere parole come queste verrebbe fatto di dire ai giovani: non vi fate convincere da chi

disdegna la politica, la dichiara marginale, la addita al ludibrio: perché la politica vuol dire decidere

queste cose, come fondare i rapporti pubblici tra sé e gli altri, che cosa fare della vita degli altri; per

questo non la si può lasciare.

Certamente la questione delle migrazioni in atto è un grande problema di questo tempo, che né

l'Italia, né Malta, né alcun altro può risolvere da solo. Ed è vero, come dice Libero , che è un

problema europeo. Ma appunto l'Europa dovrebbe risolverlo né sparando, a titolo comunitario

invece che nazionale, né stabilendo avare quote di ingressi secondo il suo esclusivo tornaconto,

scegliendo tra badanti, manovali, raccoglitori di frutta stagionali e magari, a numero chiuso,

prostitute. L'Europa che ha colonizzato e depredato la terra, affermando l'idea che il mondo è uno,

dovrebbe ora aprire le porte e riconoscersi una sola cosa col mondo, e insieme a tutti gli altri

costruire una comunità mondiale di diritto in cui i beni, il cibo, il lavoro, la salute e la speranza di

felicità siano più equamente distribuiti tra tutti.

Dice Libero che non si deve confondere «il giusto principio dell'uguaglianza di tutti gli esseri

umani, con l'autentica scemenza secondo cui tutti gli immigranti devono essere trattati allo stesso

modo». Tra uomini e immigranti c'è dunque uno scarto, come una volta tra servi e signori, schiavi e

liberi, bianchi e neri, ebrei ed ariani, europei ed indigeni. Questa è la discriminazione, mentre

l'uguaglianza vuol dire che non si è trattati diversamente per ciò che si è, e che pur nella diversità

c'è uguaglianza nei diritti fondamentali, i quali appunto per questo sono detti "umani". Non si tratta

dunque di decidere, muovendo la Marina, come afferma Libero, se «fare gli umanitari». Si tratta di

decidere se essere uomini. O no.

23/04/2009