la Repubblica, 20-05-2009
È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse
fabbricato l´immunità con la "legge Alfano", sarebbe stato
condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le
illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi,
salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un
parlamento gregario.
Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell´anomalia italiana che trova
il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del
premier è soltanto un segmento della questione che oggi l´Italia e l´Europa
hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone
corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre
avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier
ha affrontato il caso "All Iberian/Mills" con parole definitive, con
impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: «Ho dichiarato
pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di
fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l´esistenza.
Sfido chiunque a dimostrare il contrario» (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17).
Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato
e di governo. Ripete: «Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se
fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l´Italia» (Il
sole24ore.com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a
intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader
politico, «responsabile di fronte agli elettori», e il suo passato di
imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine
indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell´ideologia
del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del
Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone
ineliminabile della «società dell´incanto» che lo beatifica; quasi la
condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone
ricchezza e infallibilità.
Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società
internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l´esistenza di un «comparto
estero riservato della Fininvest», chiedeva al premier di rispondere a qualche
domanda «non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di
buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico
riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell´ombra? Il vero nucleo
politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l´imprenditorialità,
l´efficienza, l´homo faber, la costruzione dell´impero ? in una parola, i
soldi ? sono il corpo mistico dell´ideologia berlusconiana» (Repubblica, 11
aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a
farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: «All Iberian?
Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità».
La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo "All Iberian"
(condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che «non emerge
negli atti processuali l´estraneità dell´imputato», le motivazioni della
sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento «diretto
e personale» di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di «64
società estere offshore del group B very discreet della Fininvest». Le creò
David Mills per conto e nell´interesse di Berlusconi e, in due occasioni
(processi a Craxi e alle "fiamme gialle" corrotte), Mills mentì in
aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l´avvocato
inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio «enormi somme di
denaro, estranee alle sue parcelle professionali», come si legge nella
sentenza.
È la conclusione che ha reso necessaria l´immunità. Berlusconi temeva questo
esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società
off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi
tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è
nato l´impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del «group B
very discreet della Fininvest» sono transitati quasi mille miliardi di lire di
fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l´approvazione
della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi
(se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come «i politici
costano molto? ed è in discussione la legge Mammì»). E ancora, il
finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell´Upa
(l´associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell´Auditel
(la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+
(violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le
"fiamme gialle"); il controllo illegale dell´86 per cento di
Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l´acquisto fittizio di azioni
per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la
risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli
acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato,
favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la
memoria che sbriciolano il «corpo mistico» dell´ideologia berlusconiana: al
fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c´è
la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e
testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio
in Italia e in Europa.
Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con
coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la
decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d´ala
rinunciando all´impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il
premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il
suo ufficio pubblico, l´immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero
di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un
bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una
volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno
«questi giudici» a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo
perché l´immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale
dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla
prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette
che in parlamento «dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura»,
come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci
si attende da lui non uno "spettacolo", ma una risposta per le sue
manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo
autoreferenziale e privatistico. S´aggrappa al solito refrain, «gli italiani
sono con me», come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere,
da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene "irresponsabile" può
continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in
Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue
responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non
può farlo.