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Nessuno ricorda lo sterminio degli zingari

di Dijana Pavovic

“l'Unità” del 31 dicembre 2009

«Dalle baracche vedevamo gli ebrei / colonne incamminate diventare colonne verticali, di fumo. /

Erano lievi, andavano a gonfiare gli occhi del loro dio affacciato. / Noi non fummo leggeri, la

cenere degli zingari non riusciva ad alzarsi in cielo. / Ci tratteneva in basso la musica suonata e

stracantata intorno ai fuochi degli accampamenti. / Noi, zingari d’Europa, da nessun dio presi a

sua testimonianza ,/ bruciammo senza l’odore della santità, / bruciammo tutti interi, / chitarre con

le corda di budella».

Illustrissimo signor Presidente,

nella Giornata della Memoria le massime autorità dello Stato hanno ricordato la Shoah, lo sterminio

del popolo ebraico. Ma anche il 27 gennaio di quest’anno per noi, zingari d’Italia, nessun

riconoscimento istituzionale per i nostri morti (più di un milione di cui, oltre 500.000 nei campi di

concentramento nazisti). Come se non fosse successo, come se non fosse stato anche per loro, come

per gli ebrei, la più grande vergogna della storia dell’uomo: lo sterminio su base razziale.

Una vergogna che riguarda anche l’Italia. Nella circolare del ministero degli Interni dell’11

settembre 1940 è scritto: «est indispensabile che tutti zingari nazionalità italiana certa aut presunta,

siano controllati et rastrellati più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in

località meglio adatte ciascuna provincia». Cominciarono retate e deportazioni negli oltre 50 campi

di concentramento italiani, tra cui: Perdasdefogu in Sardegna, Bojano e il convento di San

Bernardino ad Agnone, Gonars, provincia di Udine, Tossicìa, provincia di Teramo. E ancora:

Viterbo, Montopoli Sabina, provincia di Rieti, Collefiorito provincia di Roma, le isole Tremiti,

Ferramonti di Tarsia provincia di Cosenza, poi Gries a Bolzano, detta anche «l’anticamera di

Auschwitz» dove sono morti oltre 20.000 Rom e Sinti.

Lo sterminio i rom lo chiamano Porrajmos: divoramento, distruzione. Un ricordo carico di paura e

di dolore, ma anche qualcosa di più perché non ce lo riconoscono, perché ignorandolo è più facile

aggirare la spinosa questione di tanti “piccoli porrajmos” quotidiani nella segregazione dei “campi

nomadi”, con le persone discriminate, aggredite con le bombe molotov, linciate sui mezzi pubblici,

buttate in strada in pieno inverno con i loro bambini, accusate, come succedeva nel ‘38 di essere

«delinquenti antropologici» - tutti criminali.

Ricordarlo vorrebbe dire fare in modo che non si ripeta mai neanche una minima parte di questi

orrori.

Per questo ci rivolgiamo a Lei, signor Presidente, certi della Sua sensibilità e attenzione, per un

gesto di riconoscimento.

L’autrice della lettera è rom e cittadina italiana