RELAZIONI

 

FARE COMUNITA’

MINISTERI/SERVIZI: QUALI? COME ESERCITARLI?

 

 

Il mio intervento scaturisce da due incontri del Gruppo donne e da una riunione di segreteria della Comunità. Nel gruppo ci siamo poste alcuni interrogativi che vi proponiamo come spunti di riflessione.

 

·                                Siamo ancora una comunità “vivente”? (“Diventare comunità vivente” era il titolo del convegno delle teologhe europee che si è tenuto a fine agosto a Vico Equense)

 

- sia nel senso di essere composta da persone “vive” che desiderano ancora costruire, creare nuovi simboli, trovare parole nuove;

- sia nel senso di persone che danno “vita”, che sono alimento per quelli che partecipano, capaci di profezia ma anche di ascoltare e stare accanto.

L’arrivo di persone nuove ci sembra il segno che il discorso della Comunità interessa ancora.

Noi stesse partecipiamo naturalmente all’eucarestia domenicale o a iniziative di gruppi della Comunità, in genere di carattere sociale, come quelle del Soccorso Palestinese, di Amistrada, della scuola per immigrati, ecc.

 

·        Cosa ci ha spinto a venire in comunità, e le motivazioni sono ancora le stesse?

 

C’è chi dice che viene in Comunità perché è il luogo del “movimento”. Lì dentro trova le motivazioni, le spinte, per un percorso di “sconfinamento”. Il luogo dove trova gli stimoli per essere messa continuamente in discussione, per travalicare i ruoli … Discorso iniziato col femminismo negli anni ‘70 e che va bene  anche per il cristianesimo che  è la negazione della stabilità. Se una comunità cristiana è stabile e autoreferente lei scappa via.

Un’altra dice che in Comunità impara ogni domenica una cosa nuova su cui riflettere. Non è mai tornata a casa senza un pensiero nuovo che può scaturire dalle parole di qualcuno, dalle canzoni, dai canoni. Rileggiamo spesso canoni già ascoltati (anche se nostri, alcuni scritti da donne), cantiamo canzoni già cantate, ma c’è quella frase che in quel momento ti tocca dentro e ti fa ragionare in maniera nuova su quello che stai vivendo.

C’è chi dice di essere venuta in Comunità perché è un luogo dove si intreccia fede e politica; e c’è chi dice di essere fuggita da una Chiesa capace solo di imporre pesi e di lesinare amore per cercare un luogo dove poter vivere una fede liberante.

Se all’inizio molti e molte di noi sono venuti in Comunità (o, prima, in Basilica) perché attratti dal carisma di Giovanni Franzoni, dobbiamo dire che in tutti questi anni siamo maturati e maturate sia per il cammino di esperienza ma anche perché Giovanni ha saputo fare spazio, si è ritratto, come dovrebbero fare tutti i genitori nei confronti dei figli che crescono. Ci è stata di aiuto anche la suddivisione in gruppi che ha fatto emergere nuove figure di coordinamento e di allargamento della base.

Fabiola racconta che la prima volta che è venuta in Comunità, circa 4 anni fa,  è rimasta esterrefatta, la domenica in cui Tania tenne una specie di comizio. Lei e Stefano venivamo da un luogo molto serio e spirituale; con le loro bibbie… un telefonino suonava. Ma poi quella freschezza, un po’ d’aria di cui avevano proprio bisogno…. Hanno continuato a venire. Lei si è sentita subito a suo agio e poi la cosa che le è piaciuta molto è che c’erano tanti gruppi e attività. Le piaceva il fatto che tutti potessero parlare anche se a volte si sentivano cose inascoltabili, ma questo fa parte della diversità e bisogna accogliere. A Fabiola faceva effetto vedere Elio che girava confabulando tra sé e sé e nessuno diceva niente … bellissimo..

A un certo punto, mano a mano che noi donne andavamo avanti con un nostro cammino autonomo, specialmente attraverso gli incontri nazionali dei gruppi donne delle cdb, abbiamo cominciato a provare disagio di fronte ad un linguaggio sempre al maschile e alla mancanza di attenzione per l’emarginazione delle donne nelle Scritture e nella Chiesa. E lo scostamento si è fatto più evidente dopo aver affrontato il discorso su Dio/Dea/Divino. Un discorso sul Divino che è molto impegnativo e destabilizzante e che non è mai stato discusso dalla Comunità nel suo insieme. Infatti recentemente abbiamo chiesto di fare una o più assemblee su questo argomento.

 

·        Sempre il solito rito?

 

La celebrazione dell’eucarestia domenicale (e delle non frequenti feste di battesimo, di comunione dei bambini e liturgie di saluto a fratelli e sorelle scomparsi) rappresenta il momento assembleare più numeroso perché più ricco di spiritualità e di significati simbolici presenti nello spezzare del pane in memoria e nella sequela di Gesù. La  preparazione dell’eucarestia avviene a turno dai vari gruppi della Comunità. Questa lunga consuetudine mostra le differenze che esistono tra un gruppo e l’altro: chi è legato al calendario liturgico della Chiesa, chi sceglie un tema di attualità o su cui il gruppo sta studiando; chi cerca di attualizzare le letture della settimana con brani laici e preghiere appositamente preparate.

Noi del gruppo donne ci riconosciamo in un nostro modo particolare di stare insieme. La preparazione della liturgia domenicale, quando è il nostro turno, ha un’atmosfera corale. Ci teniamo ai particolari come la tavola bene apparecchiata con frutta fiori e pane fatto in casa.  I nostri commenti alle letture sono sempre a più voci e con la massima libertà di espressione da parte di ognuna. C’è una fiducia reciproca di fondo che non ha bisogno di verifiche

Certo, un conto sono le eucaristie/liturgie/celebrazioni che facciamo quando siamo in gruppi di sole donne (in genere ai convegni) e un altro sono le eucaristie che prepariamo per la domenica in comunità. E’ come se ci trattenessimo per non “scandalizzare”, perché non tutti hanno alle spalle lo stesso percorso (e non parliamo qui solo di uomini, ma di alcune persone  che non condividono la nostra ricerca). Siamo consapevoli che l’eucarestia deve essere un momento di condivisione e non di conflitto e quindi cerchiamo di ricordarcelo, introducendo comunque ogni volta qualche elemento che si riallacci alla ricerca sul Divino e che parta dalla nostra esperienza. Diceva Letizia Tomassone al nostro incontro nazionale di Trento del 2005 (“Quel divino tra noi leggero” – titolo che da solo è la sintesi di un percorso): “ La ricerca del divino nel corso della storia è stata collocata in riti, in codici e linguaggi riconoscibili. A noi donne manca ancora questa possibilità di lasciar sedimentare nuovi linguaggi e riti condivisi e riconoscibili. Prendiamo a prestito quello che ci offre la tradizione (anche la tradizione delle cdb, naturalmente), andando a scavarci sotto per ritrovare radici femminili disperse”. “Il nostro desiderio è di appropriarci delle forme della spiritualità, e non soltanto dei suoi contenuti. (…) Come se non potessimo esporre i nostri corpi nei gesti di una liturgia, nei momenti in cui vogliamo lodare, ringraziare o piangere”.

Una cosa che manca, infatti, è la dimensione corporea della relazione che noi esercitiamo nei convegni di sole donne.

Ci tornano in mente le parole di Daniela di Carlo al nostro recente incontro di Pinerolo e cioè che per attraversare il presente è necessario trovare quello che bell hooks chiama “spazi incisi nell’ombra”: Quando le popolazioni nere del Sud erano schiave, a un certo punto della giornata si trovavano a mangiare nelle stanze buie e fresche per trovare il senso della propria identità. Bell hooks  li chiama  “spazi incisi nell’ombra”, necessari per acquisire la forza per amare la vita e resistere all’ordine dominante. E’ necessario trovare spazi separati nei quali recuperare l‘energia e il desiderio per governare con criteri credibili. Anche gli spazi misti sono necessari per andare contro corrente e anche riscoprire la pratica della disobbedienza.(brano tratto dai miei appunti).

Forse dovremmo recuperare anche questo, fermo restando il discorso sulla quotidianità della vita, perché abbiamo sempre detto che il Divino è stato separato dalla quotidianità della vita nella quale ci sono i nostri corpi di donne e uomini

Nelle nostre eucaristie abbiamo notato a volte scarsa partecipazione al momento dei commenti, forse per paura, forse per rispetto. Ma si eccepisce che se la Comunità deve essere luogo di relazione, che sia paura o sia volontà di non invadere lo spazio, si blocca comunque la relazione e su questo dovremmo interrogarci tutti/e.

Comunque nel tempo abbiamo acquisito una maggiore tranquillità, competenza e autorevolezza e veniamo ascoltate anche di più. Il nostro desiderio di relazione ci fa superare il disagio di “ genere umano”, ecc.) perché reputiamo più importante lo stare insieme, anche se ormai ci sono ben chiari gli assetti simbolici.

Se da una parte Cady Stanton, studiosa dell’800 e ideatrice della Bibbia delle donne (1895) afferma radicalmente: “ la Bibbia non è un libro neutrale ma uno strumento politico contro la lotta di liberazione delle donne”,  a Elisabeth Schussler Fiorenza interessa recuperare le donne come categoria sociale al centro della storia evangelica. E la categoria “donne” si può espandere per includere anche una parte degli uomini, perché anche una parte di essi viene privata della propria dignità di persone.

Ci ritroviamo perfettamente negli appunti preparati da Pinerolo. Al punto 3 si parla del desiderio che le relazioni siano il motore del nostro essere comunità: in particolare tra chi cammina da oltre 30 anni, desiderando sperimentare modalità diverse, e chi vi arriva per la prima volta non conoscendo nulla dei nostri percorsi personali, comunitari e del movimento. E anche che questo nostro desiderio di relazioni rispetti la fragilità e parzialità di ognuno/a …. incoraggi il nostro bisogno di spiritualità, di ricerca, di affidamento ....

In un luogo dove si sta a proprio agio si possono sperimentare linguaggi (verbali, del corpo, silenzi). Come lo sentiamo questo luogo? Come lo vorremmo? Ci basta che si chiami comunità cristiana di base?

 

·        Quali ministeri/servizi, ruoli, carismi?

 

Nel gruppo donne abbiamo faticato a districarci tra ministeri, ruoli, carismi. Evidentemente non esiste più un problema su questo. I ministeri che conoscevamo rispondevano a un ordine di gerarchia che è superato già nella semplice esperienza.

Ci stiamo forse avviando verso quello che E. Schussler Fiorenza definisce un “discepolato di uguali” in una “ekklesia dei don/ni” (traduzione di wo/men)?

 Ci è chiaro che i carismi non si possono trasmettere ma possono aiutare a maturare, come la comunità può aiutare chi li esercita a non prevaricare. Paolo, nella I lettera ai Corinzi, sottolinea che tutti i carismi sono altrettanto utili, ma quelli considerati più importanti (la parola, il coordinamento, l’apostolato) possono anche essere i più pericolosi perché comportano la tentazione del potere. Sempre Paolo ci ricorda che comunque la carità li racchiude tutti e a questa deve aspirare ognuno/a di noi.

Rispetto ai ministeri o servizi nella nostra Comunità  è sufficiente rileggere cosa abbiamo scritto nel questionario dal quale risulta che non esistono ruoli fissi nella Comunità se non per incarichi di tipo pratico che possono con facilità essere affidati a persone diverse. La parola non è negata a nessuno, ma solo a volte ascoltiamo “parole non consumante”, che ci fanno ringraziare la vita per averci fatto incontrare la Comunità. Ci capita anche di leggere pensieri scritti da Giovanni Franzoni anni fa e trovarli attualissimi.

 

·        E il futuro?

 

Scrive Nietzsche in “Umano troppo umano” che finché si sta facendo un’esperienza, bisogna abbandonarsi all’esperienza e chiudere gli occhi, cioè non voler fare già in essa l’osservatore.

Trovo un’analogia tra questa frase e il racconto della cicogna di Karen Blixen ne “La mia Africa” riportato da E. Green nel suo libro “Il Dio sconfinato”. 

“Nel suo ‘La mia Africa’, la scrittrice danese Karen Blixen racconta la storia di un uomo il quale vive vicino uno stagno dove ci sono dei pesci. Una notte l’uomo viene svegliato da un rumore che viene dallo stagno. L’uomo si alza, ma è buio pesto, è mezzo addormentato e non si orienta bene. Pensa di dirigersi verso il laghetto ma inciampa, si rialza, cade in un fosso, si rialza di nuovo. A un tratto si accorge che sta andando nella direzione sbagliata, così torna indietro e si rimette di nuovo in marcia verso il rumore dell’acqua. Non vede niente, però, e anche questa volta inciampa, cade, si rialza, cade in un fosso, si rialza di nuovo. Va avanti così finché finalmente arriva allo stagno. Scopre che l’acqua sta uscendo da un buco nell’argine del laghetto e, insieme all’acqua, anche i pesci! Così si mette a riparare la falla, e solo ad opera ultimata torna a casa e si mette a letto. La mattina dopo, alzandosi, guarda dalla finestra e scorge per terra, tracciata dai suoi passi, la sagoma di una cicogna”. La scrittrice immagina ciò che l’uomo avrà pensato vedendo per terra il frutto della sua avventura notturna e fa tre considerazioni.  In primo luogo, afferma che l’uomo mentre stava correndo su e giù, inciampando, cadendo, cambiando direzione, non aveva alcuna idea che alla fine della sua fatica avrebbe prodotto il disegno di una cicogna. In secondo luogo, nonostante gli ostacoli che andava incontrando, l’uomo rimase fermo al suo proposito, “tenne duro fino in fondo”. In terzo luogo, soltanto quando il percorso fu ultimato, ossia il giorno dopo, quando l’uomo alzatosi si affacciò alla finestra, gli fu dato di vedere il risultato del suo lavoro che andava ben oltre la riparazione dello stagno”.

Certo, le nostre comunità sono nate in un particolare momento storico della Chiesa e della società, e anche l’età media delle persone è abbastanza elevata. E allora forse possono aiutarci le parole di  Letizia Tomassone per la quale resta fondamentale che noi riusciamo a vivere la relazione come punto di forza. E’ lì che ha origine la forza dello Spirito, della Ruah, e non semplicemente nel nostro intimo. E le relazioni sono pratica quotidiana e capacità di visione lucida, sono tenerezza e ascolto e critica capace di suscitare trasformazioni. Lì opera un’energia che è più grande di ciò che noi siamo, che ci viene da fuori, che possiamo appunto identificare con la Ruah , con lo spirito divino.

Se sapremo fare tesoro di questo, al di là della possibilità che le comunità continuino a vivere o si trasformino in qualcosa d’altro, non dovremo preoccuparci per il futuro.

 

                                                                                                              Gabriella Natta

 

 

Tirrenia, 8 dicembre 2007

 

 

ALCUNI PENSIERI PER LA NOSTRA RICERCA

 

 

 

1) Per me parlare di “servizi - ministeri” dentro la comunità cristiana significa ribadire che il senso della vita sta nel situarsi nel magma vitale della condivisione, fuori dalla cultura e dalla prassi o “signorile” o “schiavizzante”. Vivere in un’ottica e pratica fuori dal dominio  e dalla schiavitù come “stile” quotidiano, mondano.

In questo “cantiere” faccio esperienza di Dio e vivo la fede.

 

2) Sul piano “ecclesiale”, nella strutturazione comunitaria, non abbiamo modelli nei quali rientrare, ma modi da inventare, da tentare, da superare…

Gesù non ha fondato nessuna chiesa, non ci ha lasciato una struttura. Ci ha testimoniato una prassi.

Il Secondo Testamento ci documenta struttura molto diverse.

 

3) Penso più ad una chiesa di base che non alle comunità cristiane di base di cui mi sento parte. Interpreto la realtà delle cdb come parte del più vasto mondo della chiesa di base con realtà e pratiche ministeriali anche molto diverse (parrocchie, centri di spiritualità, gruppi, reti, Noi Siamo Chiesa, attività ecumeniche, preti sposati, gruppi di omosessuali-trans-lesbiche credenti, gruppi casalinghi…). Penso a concezioni ministeriali anche molto diverse in cui “fare comunità” sia più coinvolgimento di amore, di condivisone e di vita più che un pur necessario processo sul piano teoretico.

 

4) Penso a “chiese provvisorie” che si concepiscano sempre di più inserite nei processi storici e culturali del tempo: stare nel presente, trarre lezioni dal passato, lasciare ad altri/e il futuro.

La ministerialità plurale provvisoria significa, a mio avviso, non una destrutturazione della comunità, ma la capacità di inventare, trasformare, cestinare modalità e forme secondo i bisogni attuali della comunità in vista della testimonianza del Vangelo. Intendo la provvisorietà non come sinonimo di “comunità liquida” alla Baumann. E’ la mobilità itinerante per cui il “gioco comunitario resta vivo” se si individuano i doni di Dio e si tentano “spregiudicatamente” le risposte agli interrogativi e ai bisogni che emergono dentro i tempi del creato. E’ la vita che chiama alla vita e Dio rivolge i Suoi appelli al cambiamento dalle Scritture, dal teatro della storia, dai nostri piccoli percorsi personali e comunitari, dalle relazioni che viviamo.

Chiesa provvisoria è per me anche il segno di una grande libertà e di una non minore responsabilità. Se riprodurre un modello è imprigionate, è pur vero che è più facile. Qui si tratta di esperimentare con saggezza ed audacia in un confronto comunitario impegnativo. Guardare oltre, guardare avanti verso un arcobaleno culturale, ministeriale, ecclesiale molto più variegato con albe e tramonti più veloci.

 

5) Nella mia esperienza teologica e soprattutto ministeriale ritengo utile porre attenzione alla “pontalità”, cioè ad una dinamica e strutturazione - di cui ho ampiamente scritto in questi ultimi 40 anni (si veda il mio blog: http://donfrancobarbero.blogspot.com) - che permetta una riconoscibilità da persone che compiono percorsi diversi. Il ponte è uno strumento che permette il passaggio nelle due direzioni, che intercetta nuovi cammini, spazio di viaggio e di incontro e di scambio. Senza questa  “pontalità aperta” la comunità rischia di perdere l’ossigeno della vita e di impoverire l’evangelo. Sono le persone che creano i ponti… se mettono in atto questo dono di Dio di essere “costruttori/costruttrici di ponti”. Questa oggi a me sembra una delle forme più preziose del servizio, del ministero, ma anche una delle “arti” più difficili sia all’interno che all’esterno della comunità per intercettare la vita.

Va da sé che,  affinché tutti/e si sentano in cammino ma non imbottigliati/e in unica direzione, servono molte idee, molte pratiche e meno ideologie imbutizzanti e gli altri/e non sono maturi se progressivamente entrano nel mio/nostro raggio di pensiero o di azione.

6) Credo che il bello della nostra esperienza non solo italiana sia l’estrema varietà delle nostre “risposte” lungo il corso di questi anni. Ma nemmeno la  libertà e la varietà sono garanzie di fecondità.

Resto personalmente convinto che i fermenti più vivi continuano a nascere un po’ in tutta la chiesa di base, spesso fuori dalle comunità di base “recensite”. Penso al recente documento dei domenicani olandesi.

 

7) Siccome non sono un abbonato al diluvio o un nostalgico del ’68, penso che viviamo un frammento di storia insieme macabro e sorgivo.  Tanto fetore di  morte, tanta violenza appestano l’aria che respiriamo, ma dai femminismi, dalle lotte per i diritti dei minori, dai movimenti gay, lesbiche, transessuali, dalle pratiche ecumeniche e dalle lotte per la salvaguardia del creato fino alla svolta ermeneutica… ci sono molte albe che salutano i nuovi giorni.

Speriamo di esserci dentro con la nostra fiducia in Dio.

 

 

OGGI

 

Come gli scritti portati a questo seminario documentano, oggi la comunità vive una articolazione di servizi davvero ricca. Sta agli atti e non lo ripeto. Certo, occorre sempre crescere: eccome!

Quanto a me, vivo il mio servizio di presbitero privilegiando alcuni terreni e spazi. Il maggiore numero di ore è dedicato all’ascolto di persone emarginate dalle istituzioni ecclesiali, molti preti, molti gay e lesbiche, molti/e che vogliono riaprire il capitolo della fede. Al primo posto stanno nelle mie relazioni quotidiane tossicodipendenti, sofferenti mentali, genitori disperati, zingari e vagabondi. La richiesta di dialogo è sterminata.

Svolgo poi un piccolo ministero itinerante in Italia e all’estero per corsi biblici, dialoghi ecumenici, dibattiti e lo lego al mio blog.

In comunità mi occupo specialmente delle persone che sono più marginali e animo 2 gruppi biblici e il gruppo “la scala di Giacobbe”. Cerco di fare in modo che non cresca lo scollamento, a volte molto evidente, tra servizio di direzione e comunità reale.

Cerco progressivamente di favorire la crescita e l’assunzione diretta di responsabilità di un sempre maggior numero di persone. Sono contento che la rivista Viottoli abbia preso il volo. E’ diventato uno spazio ben autogestito senza la mia presenza in redazione. Negli undici gruppi che accompagno in modo stabile, sento che siamo in un terra nuova, più popolata, più giovane rispetto alle comunità cristiane di base in generale. Nel silenzio del servizio quotidiano sento le canzoni dell’aurora, sento che tanti cuori palpitano e che le nostre “anime” guariscono. Un rammarico? Beh… mi sembra che il più bello della vita e del ministero cominci proprio quando si arriva alla vecchia.. e bisogna traslocare tra le braccia di Dio. Mi godo, intanto, questo ultimo intervallo con gli occhi dell’attesa dell’aurora.

Franco Barbero

 

Pinerolo, 8 dicembre 2007